Michael van der Ham: da Warhol a Bjork.

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Bello.

Michael van der Ham, olandese, 24enne. Un evidente amore per la femminilità, un innato senso dell’armonia.

Giovanissimo ma con esperienze da Alexander McQueen e Sophia Kokosalaki, oltre a un bel riconoscimento da parte di Bjork, che vestirà nel suo ultimo concept album.

Sarà uno dei nuovi talenti? Io credo e spero di si.

Il disastro del Natale del 2013 – Margiela destroy.

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Brutto.

Qualche giorno fa sono andata a cena da un amico, che è anche un collega e uno stilista di una certa fama in ambito torinese: Monsieur Walter Dang.  Durante la cena la conversazione è scivolata, come al solito, sull’argomento moda e su ricordi comuni legati a questo tema. Non so come, ci siamo ricordati di un piumino di Martin Margiela che lui possiede e che ci ha scaldati entrambi durante una freddissima conferenza. Il piumino è più o meno quello che vedete in foto (solo un po’ più corto) ed è un pezzo iconico dello ‘stilista invisibile’, naturalmente è bianco. Bianco come deve essere, in base alla filosofia/estetica di Margiela e chiunque conosca un poco di storia della moda contemporanea sa che non c’è  altra possibilità.

Quale è stata la mia costernazione quando Walter ha ammesso candidamente (è proprio il caso di dirlo..) di aver tinto il piumino di NERO!  – Nero?- Ho chiesto, pensando di aver capito male, annebbiata da qualche bicchiere di prosecco di troppo.

Purtroppo la triste verità mi è stata confermata quando lui stesso ha tirato fuori il corpo del delitto e l’ha indossato.

Ora, io avrei voluto postare la foto di Monsieur Dang con indosso il piumino nero che una volta era bianco, di Margiela; giusto per farvi vedere lo scempio di quel capo diventato informe e insignificante, ma la decenza me lo vieta. E inoltre non posso fare questo ad un amico. Quell’immagine resterebbe come una macchia (nera!) indelebile sulla sua fulgida carriera.

Ma la stoccata finale l’ha inferta il compagno di Walter, Hamlet, che resosi conto del misfatto, ha concluso dicendo: – Beh, ma lo mettiamo in candeggina e ritorna bianco…-.

Lascio a voi immaginare i brandelli di piumino e piume di un bianco giallino con aloni grigiastri uscir fuori da quel bagno corrosivo..

Mi rimane un dubbio: chissà, forse Margiela avrebbe gradito.

Storia di una giacca – Il tempo ti fa bella.

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Bello.

In Giappone si chiama kintsugi, ed è una pratica che riguarda gli oggetti che hanno una storia e sui quali il tempo ha prodotto crepe e segni. Noi in Occidente diremmo molto semplicemente che si tratta di oggetti rotti.  Ma quando il tempo diventa un valore anche i suoi effetti sulle cose non sono più imperfezioni, ma la testimonianza di una storia percorsa.

Nelle crepe degli oggetti vissuti, o semplicemente danneggiati, i giapponesi colano dell’oro, proprio per valorizzare con il metallo più prezioso (a volte utilizzano persino platino) quel segno. Non un danno quindi, ma la bellezza dell’imperfezione.

La giacca vintage di paillettes quadrate opache color oro cucite su una base di chiffon di seta ha attratto la mia attenzione proprio perché era perfetta per mettere in pratica il kintsugi: mancavano strisce di paillettes un po’ dovunque, segno che era stata molto vissuta e anche molto amata, credo.  Il restauro avrebbe potuto essere di tipo tradizionale, ossia aggiungere paillettes più o meno simili lì dove mancavano.. L’idea non mi ha nemmeno sfiorata.  Ho cercato delle passamanerie metalliche color oro vintage, preziose proprio perché ormai fuori produzione. Con queste ho ricoperto le zone ‘vissute’.

Il tempo non è passato invano sulla mia giacca.

Clone di mamma!

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Brutto.

I condizionamenti sulle bambine in tema di abbigliamento sottendono a significati che vanno ben oltre la moda e che raramente le stesse mamme si soffermano ad analizzare.  Il pensiero comune le vuole iper-femminili, seduttive e persino compiacenti, mentre quando non si adeguano vengono definite maschiacci.

E’ triste constatare che nella sfera dell’infanzia l’emancipazione femminile sembri rimasta ferma agli anni ’60, o giù di lì. L’eroina delle bambine degli anni ’70 era Pippi Calzelunghe, l’eroina di queste bimbe è Violetta (nomen omen).

Nessuno si stupisce se le piccole si esibiscono in balletti da veline o mosse prese dall’ultimo video hard della pop star in voga.  Come se quel linguaggio corporeo fosse in fondo una palestra per esercitarsi al tipo di femminilità prevista e prevedibile.  Gli abiti, poi, arrivano di conseguenza: paillettes, micro-top e accessori che sono la replica in piccolo di quelli delle loro mamme. Piccole cose che pesano come macigni sulle spalle di queste bambine.

Le loro mamme le chiamano tutte principesse, pensando  forse di distinguersi; le vestono obbligatoriamente di rosa/fucsia/violetto.  Allestiscono per loro camerette che traboccano di questi colorini melensi tanto da farne indigestione, e poi le bimbe arrivano nei miei laboratori con un cliché ben stampato in testa.  A questo punto il lavoro di sottrazione per restituire loro libertà di espressione diventa davvero difficile..

Un soffio di luce.

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Bello?

Si chiama Audra Noyes questa stilista americana di stanza a Parigi. La sua collezione SS 14 è quasi tutta in bianco, realizzata in un materiale che non perdona: il voile.  Pur con alcune imprecisioni, il defilè appare discreto. Ancora più interessanti sono le incursioni in altri colori, dove il minimalismo lascia il posto a decorazioni e tessuti che sembrano volerlo contraddire. Quasi che la stilista stessa abbia timore di lasciarsi andare, di non essere sufficientemente cool.  Il risultato però è quello di far apparire le ultime uscite come schegge impazzite di una collezione che per il resto appariva compatta. Forse i germogli di una collezione successiva? O magari quel pizzico di trasgressione in rouge che mancava del tutto al candore virginale di tutto il resto dello show?

La solita schizofrenia della moda, mi verrebbe da dire, in realtà penso che si tratti più realisticamente di un po’ di confusione.

Leyii: a mystical female style.

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Bello.

Leyii è il marchio disegnato da una stilista coreana che mi aveva incantato nell’estate del 2011 con questi abiti:

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Poetici, meravigliosamente sapienti nei colori (pochi) e decorativi quanto basta. Si riconosce l’influenza di Hussein Chalayan, da cui la stilista è stata in stage. Ma non è un male se i risultati sono questi: abiti che non dimenticano di svolgere una funzione primaria, che usano i tessuti come superfici mobili e che dialogano con i sensi senza eccedere con il fraseggio.

Una storia di passione e Joy – Jean Patou.

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Bello.

Jean Patou era un uomo raffinato e audace, tanto audace da lanciare nel 1929, in piena crisi economica (ricordiamo il crollo di Wall Street) il profumo più caro del mondo: “Joy”. E già il nome era un manifesto contro l’abbattimento e il pessimismo generale.

Non aveva torto, e il successo strepitoso di quel profumo, che dura ancora oggi, lo conferma. Non che rischiasse poco, visti i tempi che correvano, ma rischiò. Rischiò di nuovo quando nel 1931 propose il primo profumo unisex: “Le Sien”, per uomini e donne che amavano correre a grande velocità. Pensate con quanto anticipo immaginò questo tipo di parità..

Patou creava vestiti che si adattavano alle persone e non il contrario. Inventò lo sportwear per le donne che finalmente potevano non solo muoversi comodamente, ma addirittura fare sport.  Erano suoi gli abiti con cui nel 1919 Susanne Lenglen vinse il torneo di Wimbledon, scandalizzando i benpensanti, perché il gonnellino così corto non lasciava molto spazio alla fantasia.

Era amico di Chanel (forse l’unico tra i couturier dell’epoca), non c’è da stupirsi, parlavano la stessa lingua. Quello che stupisce piuttosto è quanto un uomo abbia potuto immaginare quello di cui le donne avevano davvero bisogno, mettendosi letteralmente nei loro panni.

La storia ci suggerisce lezioni da tenere a mente. Ci indica possibili modelli di cui fare tesoro e soprattutto nei periodi di crisi ci insegna che l’immobilismo non è affatto una buona idea. Il coraggio e il talento possono fare la differenza.