Le donne di Nina.

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Bello.

Si chiama Nina Surel, qualcuno la definisce artista, io credo sia più adeguato il termine illustratrice, che non è certo una professione priva di luci.

E’ argentina (e si nota dalla ricchezza di dettagli e colori), ma di stanza ormai a Miami, città che influenza i suoi lavori con quella punta di kitsch controllato.

Le suggestioni dal mondo della moda sono evidenti, sia per la scelta di utilizzare spesso elementi provenienti dai negozi di abiti vintage, sia per quell’attenzione particolare verso abiti e accessori.

Nina assembla tutto con una tecnica simile al collage e il risultato spazia tra i rimandi a un Messico alla Frida Kahlo, le evanescenze delle fanciulle preraffaellite e un romanticismo lievemente pop.

Insomma un tripudio massimalista che dovrebbe piacere a parecchi fashion designer.

Ho una poesia per la testa.

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gabriela ligenza

Bello.

La stampa 3D è ormai un fatto. C’è chi la utilizza per collezioni di alta moda, chi realizza gioielli e complementi di arredo.. Ed è chiaro a questo punto che le frontiere della sperimentazione e della fantasia sono spalancate.

Un bell’esempio sono questi cappelli. I primi due disegnati dal designer belga Elvis Pompilio per MGX, riproducono una veletta e il classico Borsalino. Tra l’altro se passate da Bruxelles non mancate di visitare il negozio di questo cappellaio, che è coloratissimo e divertente.

Il terzo cappello è della polacca Gabriela Ligenza e si chiama Poem e riproduce una poesia di John Tessimond: Day Dream, pensato per il giorno del matrimonio. Un altro bell’esempio di poesia e tecnologia che si danno la mano.

Come dire che le macchine non sempre sono senz’anima.

Un sarto alla mia tavola.

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Bello.

Ho sempre pensato che si possa cucire praticamente su tutto (io l’ho fatto anche sulle pietre..) e quando ho visto queste ceramiche ne ho avuto l’ennesima conferma. L’autore si chiama Diem Chau, vive in America ma è originario del Vietnam. Ogni pezzo è arricchito con dei ricami di fili di seta e il risultato è talmente poetico da prestarsi più all’esposizione, credo, che all’utilizzo quotidiano.