Tutto quello che non so.

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Bello.

 

 

“Buonasera Sig.ra Delfino.

Leggo spesso il suo blog, e mi rattristo quando non lo aggiorna mantenendo una certa regolarità. Non condivido tutto quello che scrive, ma ne apprezzo molto spirito critico e argomentazioni.

Sono una ragazza di 22 anni con tre anni di studi economici alle spalle, ma con un’indole troppo portata per la moda per restare tra meri numeri. Scrivo per un magazine, di arte, costume e spesso moda. Mi piace leggere di quest’ultima, parlarne, approfondirla, ma comprendo che per scriverne è necessario un certo bagaglio di conoscenze. Le scrivo per chiederle quindi un consiglio, quali letture mi consiglia per iniziare ad arricchire la mia cultura in fatto di moda?

Ciò che più bramo di imparare è l’evoluzione della moda e del suo concetto. Voglio acquisire gli strumenti per poter elaborare un giudizio critico che vada oltre il mio gusto personale. Voglio capire, interiorizzare come distinguere le sottili genialità che taluni stilisti sanno partorire.

Se potesse aiutarmi Le sarei molto grata. E per favore, posti di piu’.

S.

Ps. Sarei inoltre curiosa di sapere quale sia il suo pensiero sul fatto che molti critici abbiano criticato i designers italiani durante l’appena passata fashion week, affermando che questi abbiano mancato di originalità.”

 

Questa è una mail che ho ricevuto la scorsa settimana. Ho deciso di pubblicarla (dietro consenso della mittente) per rispondere anche a numerosi altri messaggi che mi chiedevano consigli simili.

La premessa che mi sento di fare è che io non credo di essere la persona più qualificata per dare consigli in merito, essendo io stessa una quasi autodidatta. Quindi non aspettatevi da me una sfilza di titoli e riferimenti colti.  Posso solo raccontare il mio metodo, per quello che vale.

Il metodo è semplicissimo: assaggiare tutto e farsi guidare dall’istinto.

Certo, ci sono tomi che uno studioso del costume deve necessariamente aver letto (vedi quelli di Roland Barthes..), ma io non sono mai stata così categorica e a dire la verità quei tomi mi hanno sempre annoiata a morte, anche se mi sarei sentita troppo in colpa se li avessi ignorati.

Negli anni ho saltellato incoerentemente tra testi di semantica, biografie, critica, storia, gossip, illustrazioni..

Ho sempre pensato che per farsi un’opinione fosse necessario ascoltare le voci di più gente possibile e che non esista una cultura alta, tanto quanto non ne esiste una bassa. La cultura per me è un insieme di esperienze, non solo intellettive.

In definitiva io ho sempre frequentato molto le biblioteche e letto tutto ciò che potevo. Poi ho acquistato quei libri di cui mi sembrava non potessi fare a meno.

Un titolo tra tutti, che uso frequentemente per le mie lezioni?  Storia della moda XVIII-XX secolo di Enrica Morini.

Un altro piccolo consiglio è quello di leggere assolutamente le autobiografie e gli scritti dei padri e le madri della moda. Sentire raccontare dalla loro voce l’evoluzione e i cambiamenti della moda vale più di innumerevoli testi di critica o storia. Non ce ne sono molte (Dior, Poiret, Schiaparelli, Ferrè..), ma ognuna è imperdibile.

Non ho altri consigli, spero che altri facciano meglio di me.  Per quanto riguarda il postare di piu’.  Vorrei tanto, ma il tempo che mi rimane dopo aver seguito i figli,  progettato, cucito, insegnato, letto.. è talmente poco.  Questa del blog rimane un’attività che faccio, come si suol dire  “a tempo perso”, e mi stupisco ancora e sempre quando mi arrivano mail come questa, che mi restituiscono invece la sensazione di non aver perso il mio tempo.

Rispondo all’ultima domanda, riguardo alla critica di scarsa originalità della moda italiana durante l’ultima fashion week.   Ma quando mai la moda italiana ha brillato per originalità?

Si è sempre detto che il made in Italy è campione nelle vendite perché è in grado di accontentare il mercato, che siamo insuperabili in qualità e vestibilità, insomma l’originalità non è mai stata il nostro cavallo di battaglia. Allora qual è il punto?

Forse che certo giornalismo di moda ha scoperto che la critica tout court va tanto di moda?

 

 

 

 

I tempi sono maturi. Le donne pure.

Patrizia-Molechino-Cover

Bello.

Quella che vedete è la copertina di un iBook appena pubblicato che si occupa di una fetta di popolazione femminile mondiale tutt’altro che trascurabile e decisamente influente: le over 60.

Patrizia Molechino è l’autrice, mentre le foto sono di Alessia Barucchi.  Patrizia vanta una lunga esperienza nel settore della moda: ha lavorato come pr da Krizia, è stata assistente personale da Valentino Couture, e dal 2009 è presente in rete con il suo blog: http://www.patrizia-molechino.360fashion.net

La tesi del libro, che condivido, è che bellezza ed eleganza non debbano più essere vincolate a un semplice dato anagrafico e che addirittura sia possibile, per le signore, concedersi una libertà ben maggiore riguardo allo stile personale, rispetto alle figlie o nipoti.

A ben vedere diventa sempre più difficile catalogare abiti e accessori distinguendoli per fasce di età a cui sono destinati e non si tratta semplicisticamente di signore che vogliono sembrare giovani a tutti i costi. Si tratta piuttosto di stili di vita che sono radicalmente cambiati nel giro di un decennio o poco più.

Le signore navigano in rete e conoscono bene le potenzialità dei social network, viaggiano spesso, da sole o in compagnia, sono impegnate nel lavoro più che in passato, non avendo nemmeno più figli ancora piccoli da seguire. Hanno davanti un guardaroba variegato e ne approfittano, senza sensi di colpa, finalmente, e con una buona dose di libertà.

Guardando le immagini del libro scopriamo poi che le signore in questione sfoderano anche una sicurezza tale da consentir loro di adottare stili originali, qualche volta eccentrici, sicuramente non banali. Quello che salta agli occhi è anche un’idea di bellezza non classificabile, lontana dagli stereotipi: è probabile che l’esperienza abbia fatto fuori un buon numero di cliché, oltre ad affinare il gusto. Come dire che il passare del tempo infine qualche vantaggio ce l’ha!

Il libro, in lingua inglese, è disponibile attualmente su Mac e i-pad, ma l’intenzione dell’editore è quella di estenderlo su altre piattaforme e tradurlo in altre lingue.

Inoltre il libro verrà aggiornato periodicamente con le foto delle lettrici che avranno voglia di sottoporre il proprio look; una buona occasione per far uscire allo scoperto un serbatoio di bellezza ancora poco esplorato.

 

 

 

Lo strappo col passato (?)

FASHION-ITALY-PRADA

Brutto?

Lo vogliamo dire o no che il taglio a vivo sugli abiti è prevalentemente un escamotage per ridurre costi, tempi e dare una facile parvenza di modernità?

E che sfilacciati ad arte non significa niente, perché per sfilacciare non ci vuole arte?

La vera modernità, nei tagli, è quella di chi si inventa soluzioni inedite anche se difficili e costose. O magari semplicissime ed economiche.  Ma nuove.

Après moi le déluge..

jean paul gaultier

Bello?

Jean Paul Gaultier non ci sta più.

Ritmi troppo incalzanti, business che strangola la creatività.. Questa, che sarà presentata il 27 Settembre a Parigi, sarà la sua ultima collezione di pret-à-porter, l’ultima dopo 38 anni.  Monsieur Gaultier -che ha ormai smesso i panni di enfant terrible per ragioni anagrafiche- si dedicherà solo all’alta moda, agli accessori e ai profumi.

Che sia un segnale? Il pret-à-porter è morto?  Lo si diceva anche dell’alta moda e non ci hanno preso affatto..  Certo è innegabile che sempre più prende piede questa nuova commistione tra i due comparti, che è stata giustamente (e incoerentemente) chiamata pret-à-couture.  Ma mi chiedo se abbiano ancora senso i costi del pret-à-porter quando la grande distribuzione smercia collezioni copiate in tempo reale e a costi nettamente inferiori. E vogliamo parlare della qualità? E’ il pronto moda che ha alzato i propri standard o è il pret-à-porter che ha abbassato i suoi per tentare di realizzare l’algoritmo perfetto che permetta di sostenere i costi ingenti del baraccone (pubblicità, sfilate, distribuzione, ecc.) e mantenere un margine di guadagno?

In ogni caso Gaultier deve aver fatto bene i suoi conti, e con lui il gruppo che lo sostiene, altrimenti non si spiega.

Se la barca affonda, lui non ci sarà.  Oppure passerà per quello coerente che decide di fare solo ciò che gli piace di più.

Tanto lo sappiamo tutti che a far cassa oggi sono prevalentemente gli accessori e i profumi..

New York Fashion Lies

jimmy kimmel

 

Brutto.

Jimmy Kimmel è un comico americano che si diverte a fare scherzi interessanti. L’ultimo l’ha fatto durante la settimana della moda di New York che si è appena conclusa. Inevitabilmente i malcapitati presi di mira sono i cosiddetti fashionistas, che si arrampicano sugli specchi per descrivere inesistenti stili di altrettanto inesistenti marchi, giusto per non fare la figura di quelli fuori dal giro.

Interessanti sono le facce degli intervistati: gli ammiccamenti, le strizzate di occhi per lo sforzo di dire senza dire a sproposito, le risatine soffocate e tutti quegli  yeah e well.

Chiaramente i personaggi intervistati da Kimmel fanno parte di un reparto a sè stante del comparto moda: quello dei consumatori acritici e compulsivi. Reparto da cui non sono esclusi anche professionisti del settore. Gente così poco avezza a dire non lo so e altrettanto abituata a commentare con un great!

Mi sorge il dubbio che possa trattarsi di un prezzo accettabile per loro (la presa per il chiulo), pur di accedere ai fatidici cinque minuti di popolarità.

 

 

Lo zen e l’arte del ferro da stiro.

camicie bianche

Bello.

Posseggo molte camicie bianche, che sono una mania a cui non so resistere, anche se non le indosso spesso. Periodicamente, quindi, le tiro fuori dal guardaroba e le rinfresco. Si tratta di un lavoro lungo e meticoloso, ripagato però dalla soddisfazione di vederle poi tutte impilate e perfettamente stirate. La sensazione che mi rimanda quel candore organizzato è quella di un apparente (e illusorio) potere di controllo sulla materia.  Ma si tratta anche di una fatica di tipo quasi meditativo difficile da spiegare senza il pericolo di passare per matta.

Mi sono tornati in mente alcuni ricordi proprio mentre ero occupata in questa fatica periodica.  Ricordo una cliente, alcuni anni fa, per cui avevo realizzato un complicato abito da sera in chiffon di seta. Un lavoro paziente e preciso culminato in una stiratura altrettanto complessa.  Dopo un paio di anni la stessa cliente tornò da me per chiedermi se potevo fare alcune modifiche su quell’abito poiché era dimagrita. Le chiesi come mai non mi avesse portato direttamente l’abito in modo da poterlo provare e stabilire la fattibilità. Rispose che l’aveva portato e mi porse una busta di plastica, di quelle per la spesa, con dentro, appallottolato, l’abito.

Era più che evidente che quella donna non aveva mai stirato un abito in vita sua, né conosceva i principi basilari dello stare al mondo in modo appropriato e nemmeno possedeva un briciolo di classe. Ed era anche evidente che non toccava a me istruirla. Rimasi profondamente offesa.

John Galliano raccontava in un’intervista il suo apprendistato nella moda; aveva cominciato lavorando in teatro come aiuto-costumista, lavoro che consisteva prevalentemente nello stirare e mettere in ordine i costumi. Nonostante quello che si può pensare, Galliano diceva di aver imparato tantissimo da quella gavetta e di quanto sia fondamentale la stiratura per la riuscita di un abito. Ricordo che diceva che un abito non è niente se non è ben stirato, solo un mucchietto di stoffa.  Nei reparti confezione la stiratura è l’ultimo passaggio, uno dei più delicati ed è quello che dà la forma agli abiti, per non parlare dei capi-spalla…

Nei miei laboratori di micro-modellazione tessile mi imbatto costantemente in ragazzi (spesso anche adulti fatti) che non hanno letteralmente mai preso un ferro da stiro in mano e lo si intuisce immediatamente, dato che tendono a lasciare il ferro appoggiato sulla piastra!  Certo si può vivere senza saper stirare, d’altra parte si può sopravvivere anche mangiando senza posate e bevendo direttamente dal rubinetto…

Mi accorgo che nemmeno i negozi che vendono abbigliamento tengono più molto in conto la pratica della stiratura: mi è capitato molte volte di vedere in vetrina capi spiegazzati in modo vergognoso, evidentemente tirati fuori dagli scatoloni o dalle buste e appesi così com’erano.

Per come la vedo io, presentare un capo stazzonato è sinonimo di cafonaggine, tanto quanto spruzzarsi il profumo senza essersi lavati.

Cloni di Donatella.

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Brutto.

Per un marchio la riconoscibilità è fondamentale, ma da Versace sembra che la questione si sposti su chi lo indossa.

Mercificazione del soggetto.

Uno spunto interessante per ragionare sugli interlocutori della moda, o alla moda.

Donatella Versace ambirebbe presumibilmente ad assomigliare a una specie di Re Mida, che con il solo tocco trasforma ogni cosa in materiale desiderabile. Ma indossare un abito Versace evidentemente non basta più per completare questa operazione, bisogna che anche l’aspetto fisico sia in sintonia con la creatrice. Identificazione.

La domanda è: quanto è desiderabile oggi assomigliare a Donatella?

Prova a correre.

dior scarpe 1

 

dior scarpe 2

 

Brutto.

Dior che copia le scarpe di Miuccia?

E nemmeno le più belle. Si può camminare con leggerezza, calzare con ironia (persino), immaginare di danzare tra le nuvole, ma i piedi di una donna sono fatti di carne ed ossa (tantissime). Non come quelli di Jessica Rabbit.