Facce da cool.

cool

Brutto.

Se c’è una parola che non possiede un reale significato, questa è cool.

Volatile, opinabile, termine con cui si liquidano persone e situazioni in un attimo: non è cool la mostra su Krizia, fare il sarto, essere beneducati, mangiare carne, essere monogami, confessare di non essersi mai fatti una canna, andare in chiesa, non avere tatuaggi.

O forse no?

Magari oggi, senza che io me ne sia accorta, tutto questo è diventato cool.

Cosa significa essere cool?  Nessuno lo sa. Ti fanno degli esempi: tizio è cool.  Ma poi ti accorgi che il più delle volte si tratta solo del personaggio più mediatico del momento.

Resto comunque dell’idea che per auto-definirsi cool sia necessario avere una incommensurabile faccia da culo, e non è semplicisticamente un gioco di parole. D’altra parte non è un’occupazione che implichi un grande sforzo mentale: basta quel minimo di sciatteria mischiato con uno o due oggetti riconosciuti come status symbol. Il tutto portato con una verosimile  attitudine alla perversione e un grado di nonchalance che rasenta la banalità.

Dopodiché le riviste e i social network faranno a gara per avervi in vetrina.

La moda racconta la televisione.

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Bello..

A Palazzo Madama, Torino c’è una mostra che sembrerebbe interessante: 1924 -2014 La RAI racconta l’Italia. Un racconto che passa attraverso gli abiti di scena di trasmissioni ormai storiche, varietà, balletti, festival di Sanremo.

La prima sala che accoglie i visitatori è decisamente un bel colpo d’occhio: sono in mostra quattro spettacolari abiti neri indossati da Mina e creati da Piero Gherardi.

Il resto della mostra (una quarantina di capi) staziona in giro per le sale tra mobili antichi e oggetti relativi ad un’altra mostra in contemporanea, senza che ci sia alcun legame tra le due esposizioni.  Questo inoltre consente agli organizzatori di pretendere un biglietto niente affatto a buon mercato: 12 euri.

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Peccato, perché l’argomento ritengo che avrebbe meritato un respiro ben più ampio e un approfondimento anche attraverso foto di scena, video di repertorio e scritti esplicativi decisamente più documentati.