Bello.
Un termine su cui chi si interessa di moda, come me, non può evitare di riflettere costantemente, è quello del lusso. L’etimologia della parola è meno scontata di quanto si potrebbe immaginare: non deriva da lux (luce), quanto piuttosto da luxus (slogato, fuori posto).
Possiamo immaginare che il fuori posto si riferisca allo stupore che provoca il lusso, mettendo fuori dalla norma tutto ciò su cui si posa.
Tralasciando studi etimologici e rimandi storici, che altri hanno trattato ampiamente e meglio di me, la mia intenzione è quella di osservare da vicino le declinazioni di lusso strettamente personali, a cominciare dalla mia.
Lussi privati quindi, non necessariamente dispendiosi. Non penso sia la quantità di denaro speso a decretare l’appartenenza alla categoria: lusso non è sfarzo e nemmeno ostentazione.
Il lusso per me corrisponde a rarità, talvolta unicità, qualcosa che non si possa riprodurre senza mutarne sostanzialmente l’essenza.
Piccoli lussi privati dicevo, come l’uso di sottovesti di seta vintage al posto dei pigiami. Il lusso è nei dettagli, tutti realizzati a mano, ma il lusso è anche nell’utilizzo, che è quotidiano e rivolto a se stessi. In questo prende le distanze definitivamente dallo sfarzo.
Il lusso come una forma di amore verso se stessi.