Nomi nuovi . Aria nuova

MFW Invuerno 2015

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Bello.

C’è ancora qualcuno che si rammarica del fatto che la moda non sia capace di produrre più alcuna novità, ma solo reinventare il passato, se non addirittura copiarlo (con giusto qualche minima aggiunta, per poterci far credere di interpretare). Ci sono poi quelli che imperterriti si giustificano dicendo che ormai è stato inventato tutto, quindi evviva il revival!

Eppure basterebbe guardare là dove i più non guardano, perché non esistono mica solo le fashion week di New York, Parigi e Milano..

Si chiama Antonio Sicilia questo giovane stilista spagnolo alla sua prima collezione, presentata durante la Mercedes-Benz Fashion Week di Madrid. La collezione si chiama Duelo (lutto) ed è dedicata alla madre. Come si può immaginare dal titolo e da questi abiti, non deve essere una storia allegra, eppure c’è in tutta la collezione una luminosità che non deriva solo dall’abbondante uso del bianco.

Certo le idee non sono ancora chiarissime (però ci sono) e si intuisce una certa smania di stra-fare, ma ben vengano anche queste giovanili imperfezioni.  Io mi chiedo, esistono ancora i talent scout?

Volevo i pantaloni – Una storia di reale avanguardia.

trousers 1851USA, 1851

trousers 18641864

trousers 19051905

trousers 1910USA, 1910

trousers 1026-27Callot Soeurs, 1926-27

Bello.

Ma la vera pioniera in fatto di pantaloni fu l’americana Amelia Bloomer (da cui prese il nome quel modello tanto utilizzato dalle prime signore in bicicletta).  Sulla rivista che dirigeva, The Lily, perorò la causa di un abbigliamento più comodo e consono alle esigenze di movimento delle donne, provando ad infrangere un tabù fortissimo. Troppo presto, visto lo scandalo che provocò, indossando lei per prima i pantaloni.

circa 1855:  Rebecca Isaacs, singer of the lovely song 'I Want To Be A Bloomer', wearing bloomers, loose trousers gathered at the knee or ankle, a fashion started by Amelia Bloomer, an American magazine editor.  (Photo by Rischgitz/Getty Images)

Lo scandalo dall’America arrivò fino all’Europa, tanto che lei fu costretta infine a ritornare alle vecchie, scomodissime gonne lunghe. Ma la storia non si fermò di certo. Piano piano quel seme di indipendenza è arrivato fino a noi, che indossiamo con noncuranza i pantaloni, senza soffermarci a riflettere quanta storia e coraggio ci siano voluti per permetterci questa normalità.

Quel new look di Gucci.

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Brutto.

Ma solo a me la collezione cruise di Gucci 2016 ha ricordato tante, troppe cose già viste?

Una shakerata di Prada, Saint Laurent, senza disdegnare nemmeno Chanel. E poi che dire della confusione temporale, schizofrenica direi, che cita i ’60, i ’70, ma anche gli ’80, e perché no, persino l’800 ?

Direte che non capisco la modernità  – E’ il mix and match baby, te ne devi fare una ragione..-

Si certo, ma continuo a pensare che così è troppo facile, allora siam quasi capaci tutti.  Come quando hai davanti un menù pieno di cose allettanti e non sai scegliere, e per non perderti niente, prendi un po’ di tutto. E alla fine del pasto ti viene un mal di pancia memorabile.

Sembra che questa sia (finalmente?) tutta farina del sacco di Alessandro Michele; dopo l’esordio un po’ frettoloso, ora davvero può dispiegare tutte le “novità” in serbo per questo marchio storico. Un redivivo new look, potremmo persino dire.

Non si può nemmeno affermare che manchino nella collezione capi interessanti (pochi, ma ci sono), il guaio è che sembra mancare un filo conduttore, ma sono già pronta a sentire la replica: che è proprio questa assenza il leitmotiv. L’unica costante dell’estetica di questo designer a me sembra la predilezione per i fiocchi al collo, che insieme ai gambaletti color carne creano quell’effetto (tanto ricercato dai seguaci del genere) di perfetta disarmonia, dissonanza o semplicemente kitsch.

Ma continuo a chiedermi: quale novità?

Delitti e misfatti in nome della moda.

fashion orror

Bello.

E’ un piccolo libro di 57 pagine (si infila senza problemi anche in una clutch di dimensioni minime), con una pink-copertina, una grafica accattivante e un titolo azzeccatissimo. Ma soprattutto si legge tutto d’un fiato, regalando numerosi sorrisi, che servono sempre.

Fashion Horror Show (ed. Il leone verde) è scritto da due sorelle che si occupano di moda, lifestyle e molto altro: Giulia e Maurizia Pennaroli (www.torinostyle.blogspot.it). Il libro parla la lingua dell’anti-moda, proprio come piace a me: elenca gli errori e i delitti estetici fatti in nome di una concezione modaiola un po’ superficiale.

Diciamo la verità, nessuna di noi è immune da questo tipo di crimine e infatti non si fa fatica a riconoscersi, almeno un po’, in una (o più di una) delle categorie di “tipi” presi in considerazione (personalmente ho fatto un mea culpa al capitolo che riguarda “la ragazza di cinquant’anni”..).

Una sezione a parte prende in considerazione poi i capi più incriminati del guardaroba, quelli che in un guardaroba almeno decente proprio non dovrebbero entrare. E infine l’ultimo capitolo è dedicato agli evergreen, con cui è davvero difficile sbagliare, elenco che potremmo definire di pronto soccorso per le più imbranate o per i momenti di totale amnesia stilistica.

Insomma Fashion Horror Show non ha la pretesa di insegnarvi a diventare donne di stile (quello non ve lo insegnerà nessuno!), però vi indicherà la strada dell’ironia e soprattutto dell’auto-ironia mentre vi guardate allo specchio prima di uscire, che è poi l’unico accessorio che non passa mai davvero di moda.

Théatre de la mode.

theatre de la mode

theatre de la mode (Molineaux)Edward Molyneux

theatre de la mode (Patou)Jean Patou

Bello.

Si chiamava Théatre de la Mode e fu esposto a Parigi il 27 marzo 1945, a guerra appena finita. Non c’erano tessuti e quel poco che c’era doveva essere utilizzato con infinita parsimonia. Quindi si utilizzarono manichini in miniatura fatti con filo di ferro e testine di bronzo. Tutte le maison che erano sopravvissute alla guerra vestirono queste bambole alte 70 cm, con le loro ultime novità.

“Si è rimesso in pista qualcosa che aveva continuato ad esistere, ma che non era più così conosciuto. Si poteva pensare che la Couture fosse qualcosa del passato che stava per scomparire o che era già scomparsa. Al contrario…” (Robert Ricci).

Quello che mi colpisce in questi tre modelli, è l’incredibile somiglianza con quel new look che Christian Dior avrebbe imposto  al mondo con grande clamore mediatico ben due anni dopo.

Quando Moda incontra Arte.

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Quello che veramente mi interessa e mi emoziona è il sentimento del tempo.  Il tempo che produce stratificazioni oppure, all’opposto, sottrae fino ad arrivare all’essenza. Questa collezione si chiama -Gotico Bianco- perché nell’oscurità io vedo una luce accecante.

Bello.

Mi è capitato più volte in passato di lavorare a stretto contatto con artisti. Si è trattato sempre di collaborazioni in cui vigeva un tacito patto di libertà reciproca e di estremo rispetto, altrimenti credo che nulla sarebbe stato possibile.

Devo riconoscere di essere stata fortunata (o magari solo avveduta): nella quasi totalità dei casi ho vissuto esperienze positive, che mi hanno permesso di scorgere altri mondi e di ripensare al mio modo di trovare stimoli. Riflettendo sulla storia della moda, ho notato che le collaborazioni più proficue tra moda e arte sono state quelle in cui questi due comparti se la intendevano alla pari. D’altra parte credo che la moda meriti ogni rispetto quando si pone come un fatto di cultura e contenuti, oltre che di forma (ma anche la forma rimanda spesso a un percorso di contenuti).

E’ con questo atteggiamento che ho colto al volo l’occasione di collaborare con due artisti: Eleonora Manca e Alessandro Amaducci. Il progetto riguarda la realizzazione di due short fashion-film in cui sono presenti gli abiti di due mie collezioni molto diverse. La prima (relativa alle foto di questo post) è Gotico Bianco, una micro-collezione di cinque abiti realizzati come pezzi unici con un lino antico tessuto a mano e ricami a intaglio e applicazioni preziose.

Le riprese di questo primo video si sono già svolte e a questo punto è iniziata la fase di montaggio. Sono estremamente curiosa del risultato finale, ma ciò che in questa prima fase mi ha stupito in positivo, è l’estrema naturalezza con cui si è svolto il lavoro. Credo si possa parlare di fiducia. E’ una magica alchimia quando si incontrano persone contemporaneamente sensibili e concrete.

Ma meglio delle parole, credo che possano parlare alcune immagini del backstage, che documentano l’atmosfera vissuta:

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