Gli abiti inutili 3.

gianluca capannoloGianluca Capannolo

dondap1Dondup

emilio de la morenaEmilio de la Morena

au jour le jourAu Jour Le Jour

arthur arbesserArthur Arbesser

Brutto.

In quasi ogni collezione a un certo punto spunta quell’outfit inutile, messo lì giusto per far numero. Magari sarà quello più venduto, chi sono io per decretarne l’inconsistenza?

Però immagino che debba sentirsi sfigata quella mannequin a cui tocca il più brutto del reame..

Gli abiti inutili 1.

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Brutto.

Primavera/estate 2016. Cosa è rimasto della Barbara Casasola che avevo tanto apprezzato per quel suo raffinato punto di vista? Irriconoscibile. E’ questo quello che produce il confronto con il mercato? Omologazione, banalità, abiti francamente inutili.

Rifletto da tempo ormai sul reale valore della moda in questo tempo di consumismo stanco e annoiati e bulimici shopping tour. La moda, che troppo spesso è diventata erroneamente solo sinonimo di abiti, rischia di sprofondare sotto il peso di quintalate di abiti che in un soffio possiamo dimenticare.

Capita solo a me di avvertire questa sensazione di NOIA?

Un abito è solo un abito, per quanto innovativo o bello che sia, ma la moda è una storia, anzi, di più, è un modo di stare al mondo. Cosa se ne fa la moda di abiti che abbiamo già visto e rivisto? Andranno ad occupare altro spazio reso prezioso ormai dalla mancanza di spazio. Consumeranno altre energie sempre più scarse, riempiranno armadi o magazzini già stracolmi…

Comincia così, con Barbara Casasola, il mio reportage/elenco di abiti inutili. E sono sicura, purtroppo, che sarà lungo.

Io un antidoto ce l’avrei, ma temo che non piacerà quasi a nessuno, e comunque aspetto di sperimentarlo prima personalmente e poi, forse, ne scriverò.

Il galateo e il fashion addict.

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Brutto.

Le settimane della moda settembrine sono ormai dietro l’angolo e già comincia a mancarmi l’aria immaginando le brutture che riempiranno il web e non solo. No, non parlo in modo specifico degli abiti e degli accessori o dei direttori creativi e del giornalismo di moda. Parlo degli appassionati di moda.

Quest’anno, per favore, evitate di fotografare tutti gli inviti alle sfilate che riceverete per poi condividere la cosa con il resto dei comuni mortali. Innanzitutto perché (anche se non ci crederete mai) al resto del pianeta poco ne cale, ma soprattutto perché la notizia potrà farvi brillare per qualche ora al massimo, poi cadrà nel dimenticatoio come la miriade di altre inutili notizie. Vale davvero la pena dimostrare una caduta di stile così evidente per una briciola di pseudo-notorietà?

Stessa cosa vale per quei filmati che durano appena qualche secondo (di solito la fine delle sfilate), che servono giusto a dimostrare: io c’ero e voi no!

Evitate anche di fotografare tutti gli aeroporti del mondo in cui vi capiterà di stazionare, dimostrando (wow!) che siete davvero parte del sistema, visto che vi tocca persino viaggiare per assistere a queste benedette sfilate.

Evitate di commentare la collezione della Miuccia con il solito trito e stantio frasario: A.M.O., adoro!. gorgeous! (ecc. ecc. ci siamo capiti). Per una volta cercate di mettere insieme un commento di almeno due parole. E magari cambiate anche argomento.

Evitate anche di fotografare l’ultimissima, sconosciuta it-girl appena uscita dalla sfilata (lei si che ha capito come ci si veste!). Tanto lo sappiamo tutti che nessuno di voi si vestirebbe mai così, perché sinceramente fa discretamente cagare.

Ai giornalisti. So che fa parte della prassi consolidata, ma potreste evitare di condividere quei pic (a quanto pare molto ambiti) in cui, all’uscita dell’ennesima sfilata, apparite al massimo della vostra forma e con l’ennesima mise da sfoggiare? Se davvero vi piace il genere, perché non vi proponete come indossatori? O fa troppo cafone?

Ma soprattutto chiederei ai direttori creativi di qualsivoglia marchio o marchietto di evitare proclami di ogni genere. Siamo stufi di sentirli descrivere la loro ultima fatica con spiegazioni altisonanti e sempre uguali. Siamo stufi di sentirli parlare di etica e democrazia e poi di sociologia e arte e chissà di cos’altro.. Si mettano bene in testa una volta per tutte che non salveranno il mondo. Perché quello che fanno (che facciamo), in definitiva, è un mucchio di vestiti inutili. A chi serve l’ennesimo vestito?

LED/3 times (capitolo 3).

Bello.

Continua e si evolve il progetto LED/3 times. Dalla collaborazione con l’artista Andrea Massaioli alla performance per l’inaugurazione di SAR.To a Torino e infine (per ora) la realizzazione dello short fashion film a opera di Alessandro Amaducci ed Eleonora Manca.

Il video promette di diventare virale e ha già ottenuto ottimi consensi, non ultimo quello del Berlin Fashion Film Festival.

Con Andrea Massaioli l’idea è quella di allargare la collezione e soprattutto l’utilizzo di tecnologia più sofisticata. Diciamo subito che il progetto ci appassiona perché ci diverte, a prescindere dai risultati commerciali (mi chiedo da una vita se sia mai possibile unire ars et pecunia),

Qualcuno dirà che non siamo i primi, che il video ricorda cose già viste. Ne siamo consapevoli, d’altra parte l’immaginazione di ognuno di noi è il frutto delle miriadi di cose viste finora, da cui comunque scaturisce una scintilla di novità. E in quella scintilla sta la nostra unicità.

Noi ci crediamo.

Goldfingers.

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Bello.

Il regalo più azzeccato di questa lunga estate me lo ha fatto mia suocera. Non so da dove arrivino, nemmeno lei lo sa. Però posso immaginare quante crune di aghi si siano fermate tra quegli avvallamenti. E anche l’intorpidimento che prende al dito medio dopo essere rimasto a lungo chiuso in quella gabbia di metallo. Posso immaginare il tempo passato dall’usura del metallo, schiacciato in alcuni punti: non è più un cerchio perfetto e questo lo rende ancora più affascinante.

Quello che mi dà da pensare è la misura più piccola, appartenuto senz’altro a una bambina, quando era d’obbligo insegnare alle figlie femmine il cucito e il ricamo. Non sono affatto sicura che fosse una cosa saggia.

Un ditale è un magnifico esempio di design. Quelli più moderni sono fatti di silicone, ma io non mi ci trovo bene, non sento lo stesso senso di protezione che mi dà il metallo.

Ci sono persone (perlopiù principianti a ben vedere..) che dicono di non sopportarlo, di non riuscire a cucire con il ditale. Conosco bene il caso, ero anch’io una di loro, molti, molti anni fa. Ma non c’è verso, un lavoro ben fatto non si può fare senza ditale. Qualche volta obbligo i miei allievi a cucire la pelle, giusto per fagli cambiare idea. Non è per sadismo, è che finchè non capisci la funzione delle cose, non ne apprezzi l’utilità.

Il ditale che uso ogni giorno, o quasi, è vecchiotto ma ancora in buono stato. Anche lui di metallo dorato, io lo trovo bello come un gioiello. Confesso che l’ho rubato a mia madre; lei non se n’è accorta, o ha fatto finta di non accorgersene.