Avanguardia non è solo una parola.

A model presents a creation from the Prada Autumn/Winter 2016 woman collection during Milan Fashion Week

Brutto.

Prada, come già altri, si accoda alla nuova onda dei prontisti e annuncia che la sua collezione di borse sarà in vendita subito dopo la sfilata.  Ma dirlo così, semplicemente,  non sembra fare il giusto effetto.

Allora la macchina da guerra della comunicazione più all’avanguardia si mette all’opera per coniare questa perla di slogan: See Now Buy Now.

Altri tempi quando Madeleine Vionnet (era il 1924!) con i suoi abiti in sbieco, perfetti per vestire più taglie, a parte l’orlo che veniva sistemato mentre la cliente sorseggiava un tè, creava la collezione Made While You Wait.

La collezione era per il mercato americano e lei fu tra le prime ad aprire una boutique a New York e certamente con quella collezione fu la prima a sperimentare qualcosa che molti anni dopo si sarebbe chiamato pret-à-porter. Quel titolo, quelle parole significavano una presa di posizione in fatto di innovazione, proposta, novità e conseguente rischio.  Oggi le parole nella moda mi sembrano svuotate di tutto questo, sono spesso utili per riempire vuoti di idee. Sono buone per spacciare per sostanza ciò che è solo apparenza.

Altri tempi quelli di Vionnet, ma soprattutto un altro uso del linguaggio, che seguiva i fatti, concreti, sostanziosi, e non viceversa.

 

Every bag is a little piece of world.

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Bello.

Ho avuto il piacere di chiacchierare con Benedetta Bruzziches e pur essendo al telefono, ho visto chiaramente il suo sorriso. Lo stesso sorriso che si può facilmente intuire guardando le sue borse.

La sua è una storia che potrebbe essere raccontata in un libro di favole. Lo immagino così, con le illustrazioni coloratissime e le sue borse che si aprono e ti trasportano in un luogo dove tutto è possibile. Persino di incontrare a un certo punto Elsa Schiaparelli, a cui quelle borse, sono quasi certa, sarebbero piaciute davvero.

Due parole mi svolazzano per la testa, se penso al suo stile: ironia, poesia.

Strano, perché l’ironia è di solito associata ad un atteggiamento cerebrale, distaccato, anche pungente. Strano, perché l’ironia di Benedetta è invece tutta giocosa, persino un po’ infantile.

E allora mi ricordo di quella lezione fondamentale di Italo Calvino, quella sulla leggerezza. Bisognerebbe rileggerla ogni tanto, per ricordarsi che non c’è nulla di più profondo di ciò che riesce a conquistare la superficie delle cose dopo averne compreso la complessità.

Bagarini alle sfilate.

Horozontal old fashioned elegant theater stage

 

Bello??

Ecco trovata la soluzione al dilemma.

Che ce ne facciamo delle sfilate che, da più parti, ci dicono essere diventate obsolete?  Semplice, le facciamo diventare uno spettacolo a pagamento.

Leggo da Pambianco News che la novità è già in atto, perlomeno in quel di New York. I biglietti vanno via come il pane, tanto che si stanno già mettendo in prevendita gli show di settembre.  E non pensate che i ricavi siano di poco conto, visto che si parla di cifre che arrivano anche a 3.500 euro a persona (comprensivi di visita nel backstage e stretta di mano allo stilista).

Pensare che la soluzione era così lampante, con tutti quei parvenue pronti a dar via un rene pur di presenziare alla sfilata dello stilista di grido. E d’altra parte si può supporre che gli anglosassoni ci siano arrivati per primi grazie anche al fatto che un aiutino per loro era già nel nome: show.

Presumo però che il business renderà meno appetibili gli agognati inviti. Immaginate la Wintour attorniata da una folla di fan paganti e così poco professionali..

 

Togliamo la polvere dalle passerelle?

fashion revolution

Bello?

Burberry ha fatto il botto su tutti i media. Come? Scoprendo l’acqua calda che tutti già conoscevano e su cui si discuteva da anni, ma che nessuno aveva il coraggio di usare per primo.

In sintesi ha annunciato che da settembre smetterà di fare collezioni stagionali, raggrupperà le collezioni uomo e donna in una unica sfilata e la collezioni stesse andranno in vendita immediatamente dopo il defilè.

Dal punto di vista mediatico non cambierà molto, visto che già molte sfilate sono in streaming (magari i soliti happy few si sentiranno un po’ meno elite..)  Cambierà probabilmente il rapporto tra chi produce e chi consuma e si prevede naturalmente la revisione totale del meccanismo produttivo. Certo maggiori rischi per chi produce, ma d’altra parte chi non rischia non rosica.

Quello di cui non si parla è il rapporto con la stampa. Di cosa parleranno i vari giornalisti di settore, ora che non potranno più vedere mesi prima le sfilate? Come faranno a promuovere/stroncare una collezione se non godranno più del privilegio dell’anteprima?

Ma un pensiero mi sorge proprio spontaneo: vi faceva tanto schifo il pronto moda, dicevate che erano quelli che copiavano e basta, li guardavate dall’alto in basso come quelli di serie b. Poi però vi siete accorti che vendevano molto più di voi. E ora improvvisamente il loro metodo produttivo sembra diventare il vostro. E così ora i grandi gruppi del prêt-à-porter tenteranno di far concorrenza a Zara & Co.

Guarda come è strana la vita.

Nessuno, tra l’altro, dice che molti piccoli, piccolissimi marchi hanno già optato per questo tipo di soluzione da tempo (io ho smesso di fare collezioni stagionali dallo scorso anno, ma nel mio caso non vale, non ho voce in capitolo), come dicevo: la scoperta dell’acqua calda.

Qualcuno già dice che non cambierà molto e che i vecchi dinosauri si sono messi al sicuro da tempo. Io, da eterna sognatrice, voglio sperare che una pietra lanciata nello stagno produca comunque qualche cerchio concentrico che a sua volta vada a smuovere acqua ferma.

Vorrei essere ottimista, vorrei sperare che i cambiamenti annunciati siano il seguito di buone intenzioni e non solo il tentativo di accaparrarsi per primi il folto gruppo di consumatori annoiati. Vorrei sperare che il sistema non si uniformi solo per non rimanere a bocca asciutta, evitando ancora una volta di fare una sana auto-critica.

Vorrei, per una volta, poter dire che la moda ha il coraggio che altri non hanno.

Il prezzo della bellezza.

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Bello.

Haute Couture SS 2016 di Luigi Borbone.

Ero sicura che Luigi non mi avrebbe delusa, e guardando le immagini sono stata ancora più dispiaciuta di non aver potuto essere presente alla sua sfilata: avrei voluto guardare da vicino ognuno dei suoi abiti.

Questo couturier non ama fare giri inutili intorno alle sue ispirazioni, è maestro nel cogliere l’essenziale e restituirlo limpidamente.

Il tema scelto per questa collezione non poteva appassionarmi di più. Ricordate una delle scene finali di quel meraviglioso film di Sally Potter, Orlando? La scena in cui Tilda Swinton corre a perdifiato in un labirinto fatto di siepi e quasi ad ogni svolta cambia d’epoca e d’abito. Ecco, è uno dei frammenti cinematografici che ho amato maggiormente e che spesso, quando penso ai film in costume, mi torna in mente.

Il tema è quindi il labirinto, ma anche il tipo di femminilità proposto dal romanzo di Virginia Woolf e impersonato da Tilda Swinton, così come il mito di Kore/Persefone (con un altro rimando cinematografico sublime: Romy Shneider in L’enfer).

Femminile e maschile quindi, ma senza derive modaiole, visto il recente accanirsi sul termine no gender. Qui la femminilità è chiara e non ha bisogno di eccedere, nemmeno di andare troppo lontano. Bastano colori accennati, tessuti che non pesano, un niente di luci, una sintesi di forme.

L’ho già detto che Luigi ama le donne, aggiungo anche che credo lui conosca il prezzo della bellezza, che non risiede nell’abbondare e strafare, ma nel ricercare l’armonia delle cose quasi invisibili.

In quel quasi è nascosto il segreto.

Sensible colors.

v&a 1

Christian Dior, 1948 –pink

v&a 2

Paul Poiret, about 1915 –yellow

v&a 3

Meadham Kirchoff, 2012 –pastel

Bello.

Al V&A di Londra mi hanno incantato soprattutto i colori e il loro variare nel tempo.

C’è sicuramente un motivo per cui mi sono soffermata su questi tre particolari: tre tempi, tre atmosfere, tre stili, tre sentimenti cromatici.