Bello.
Sfilata collettiva del Central Saint Martins di Londra, autunno, inverno 2016/17. Tentativo di sfuggire a questa tornata di solite sfilate dei soliti nomi in un periodo in cui si dice in giro che tutto cambia (ma nulla cambia davvero).
Bisogna essere nuovi, spericolati e con poco o nulla da perdere per pensare abiti che trasmettano sensazioni. Forse è proprio così.
Ripensando all’idea che fare abiti possa essere un atto di creatività anche fine a se stesso, e poi misteriosamente raccolto dal mercato come raro esempio di bellezza pura, osservo questi esperimenti. Non conosco i nomi dei ragazzi che li hanno pensati, sicuramente sono sconosciuti ai più, questo non conta. Anzi, conta eccome: non posso essere influenzata da filtri di pubblicità, redazionali e si dice..
Semplicemente gli abiti parlano da soli e mi raccontano storie e atmosfere. Dovrebbe essere così sempre, ma così non è. Perché un’etichetta pesa più del mucchietto di stoffa a cui è cucita.
Vi ricordate quel movimento che aveva per slogan il no logo? C’era anche un libro che riscosse un notevole successo. Che fine ha fatto tutto quel parlare? Oggi Jeremy Scott per Moschino manda in passerella il suo inno al logo tout court, apoteosi dell’idea che il mercato può tutto. Anche farti vestire come una stracciona compulsiva.
Purchè non si dica che quegli stracci non sono stati ottenuti a caro prezzo. Allora io tento di disertare i soliti luoghi, reali o virtuali che siano, nella speranza di trovare, qua e là, qualche briciola di autentica poesia.
E a volte capita.
GRAZIE PER LE PAROLE SCRITTE . A NOME DEI “NO LOGO” COME ME.
Daniela, la squadra dei talenti sconosciuti è la più folta 🙂