Lo zen e la cruna dell’ago. (Part I).

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(Coll. Deep Blue, Adriana Delfino)

Bello?

Buongiorno,

sono una sarta e adoro cucire.  Qualcuno dice che fa più chic dire fashion designer, ma è evidente che non sa di cosa parla e non sa che i primi furono i sarti e che la parola contiene più mondi di quanti lui possa immaginare.

L’ho già detto più volte, un sarto compie gesti pieni di grazia: quando si accomoda il metro morbido intorno al collo, quando accarezza il tessuto per lisciarlo e valutarne la superficie. Quando traccia segni con il gesso, come fossero coordinate o geroglifici di una lingua che lui solo sa decifrare; quando imbastisce linee di filo bianco che sembrano strade (mi sono chiesta più volte, quanti chilometri e chilometri ho imbastito nella mia vita?).

Poi c’è il suono delle forbici che cambia per ogni tessuto: secco per il taffetà, cupo come un tuono per la lana spessa, appiccicoso e acuto per la seta, asciutto per il cotone… Tagliare un tessuto sintetico è una delle cose più sgradevoli che mi possa capitare, ci sono forbici che si rifiutano di farlo. Posso capirle.

Cosa dire poi degli odori?  Avete mai associato ad ogni tessuto il suo odore?  Io li annuso prima di tagliarli. L’odore poi cambia con il calore del ferro da stiro e cambia ancora quando l’abito viene indossato durante le prove. Ci sono tessuti che hanno odori indimenticabili, come le persone in fondo.

Una delle tecniche più infallibili per conoscere la composizione di un tessuto è quella della bruciatura. Con il fuoco non si scherza, nessun tessuto può mentire e in quel caso gli odori sono prove inoppugnabili. Avete presente l’odore di corno bruciato? No?  Peggio per voi, perché non saprete mai riconoscere una pura lana da una finta lana.

Bisogna ora parlare della macchina più importante che usa un sarto: l’ago. Un vero paradosso, pensateci: una linea che contiene un cerchio. E attraverso quel cerchio passano poi altre infinite linee.  Una cosa che a rifletterci sarebbe un indovinello ideale, un rompicapo.  Geometria e design.  Un ago non si può migliorare perché è perfetto ed è uno strumento tra i più antichi (ricordo gli aghi in mostra al Museo Egizio).  A qualcuno potrebbe venire in mente persino qualche associazione magica, simbolica. Potrebbe essere il dono di una civiltà aliena..

Io continuo a stupirmi di quello che un ago, del filo e una mano possono realizzare.

Mia nonna diceva l’ago è fine ma pesante, intendeva riferirsi alla fatica di un mestiere che ai suoi tempi consumava gli occhi e incurvava la schiena. In parte è ancora così, ma oggi è una fatica che è frutto perlopiù di una scelta.  Per le ragazzine del tempo di mia nonna era una dotazione necessaria e praticamente obbligatoria, come saper cucinare o rassettare casa.

In vita mia mi è capitato di piegare aghi, ma difficilmente di spezzarne. Nel mio immaginario, quindi, l’ago è  strumento di una ribellione silenziosa, come un punto fermo attorno a cui ruotano infiniti giorni e incontri e poi storie e emozioni e su cui si può sempre fare affidamento.

..(continua)..

13 pensieri riguardo “Lo zen e la cruna dell’ago. (Part I).

  1. Signora Vincenza Pallotta ,quanto ho letto nella sua composizione nel descriver l’ago, il sarto ,le forbici,i tessuti , gli odori , i suoni e altre varie cose che al momento mi sfuggono,insomma la conoscenza fino in fondo del mestiere ( che poi adesso lo chiamano desain o altre parole inglesi che non si adicono al la nostra lingua italiana ) io vedendo un maestro artigiano, un sarto o altro tipo di artigianato, lo chiamo col suo nome italiano,appunto per darci la vera importanza del suo lavoro.Poi che dire di una maestra che al sentire il suo parlare ,già ha fatto un abito col suo pensiero immaginando la seta il colore il rumore del taglio la stiratura. Signora Vincenza, artigiani si nasce e anche maestri e lei lo è ,io l’ho capito quando sono venuto a trovarla nel suo laboratorio e se posso vorrei che lei mi confermasse la mia voglia di essere un sarto degno della sua maestria.La saluto caramente Luigi

    1. Gentile Luigi, credo che tu abbia preso un abbaglio. Chi scrive (la sottoscritta) si chiama Adriana Delfino e sinceramente non so chi sia la signora Pallotta a cui ti riferisci. Quindi ti suggerisco di rivolgerti direttamente a lei, poiché deduco da ciò che scrivi che la conosci personalmente. E’ ammirevole la tua voglia di apprendere il mestiere, ma mi permetti di darti un breve consiglio? Lo faccio solo perché immagino che tu sia molto giovane e presumo anche attento ai consigli di chi è più “vissuto”. Il mio consiglio è quello di coltivare anche la cultura e quindi la lettura in primis, che poi si traduce di solito nella capacità di scrivere in modo corretto. Spero che tu non te la prenda a male, ma credimi, un grande artigiano è fatto anche di questo.

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