A volte ritornano. (I bigotti).

daria-bignardi

Brutto.

La notizia oramai è risaputa: la Rai, Radiotelevisione Italiana stabilisce il nuovo dress-code per i giornalisti che appaiono in video, con un’attenzione particolare per quelli di sesso femminile.  E la direttrice di Rai 3, Daria Bignardi, convoca immediatamente gli addetti ai lavori per puntualizzare che non saranno ammesse scollature, tacco 12, trucco, parrucco e accessori vistosi, nonché i tubini neri, giudicati troppo sexy.  Sobrietà è il nuovo diktat.

In questa frenesia neo-talebana sono ritenute sconvenienti anche le braccia scoperte, che notoriamente veicolano un’immagine altamente peccaminosa.

Sono molte le considerazioni che si potrebbero fare (e che sono state fatte già da altri), a me interessa piuttosto riflettere sul significato che questo restyling assume in termini di stile, appunto.

Su tutto questo nuovo corso aleggia una parola chiave, che non viene però mai menzionata, ma si intuisce immediatamente: buon gusto.

Che cosa significhi buon gusto, ce lo siamo chiesti fino allo sfinimento. Inutilmente, perché, a parte la retorica che si trascina dietro, il buon gusto semplicemente non esiste. Esiste quello che ognuno definisce come gusto personale. E infatti non faccio fatica a riconoscere dietro queste regolette appena emanate, il gusto personale della signora Bignardi e il suo radicalismo chic.

Il problema, da sempre, nasce quando una opinione personale diventa talmente invasiva e perentoria da venire confusa come una esigenza generale. E chi se ne fa portavoce, come il detentore di una verità diffusa.

Personalmente troverei adorabili, in televisione o altrove, acconciature vistose appoggiate sopra teste pensanti. Ma allora non si tratterebbe più di una operazione di restyling, che riguarda, si sa, solo una facciata. Allora si, potremmo parlare di un cambiamento; ma i cambiamenti costano fatica, richiedono coraggio, prevedono assunzione di responsabilità.

Molto meglio accontentare il parterre dei benpensanti, e in un sol colpo azzerare il tentativo di andare avanti anziché quello di tornare indietro.

5 pensieri riguardo “A volte ritornano. (I bigotti).

  1. Salve. Il buon gusto esiste eccome, è quell’insieme di codici sociali legati al secolo e ai suoi costumi. Che ci piaccia o no, i nostri “personalissimi” gusti non sono così personali come ci piace pensare, bensì sono oggettivi, cioè dettati dal contesto in cui nasciamo, e c’è una saggistista sociologica e antropologica vastissima sull’argomento. Apprezzo il messaggio che lei prova a veicolare parlando di acconciature vistose su teste pensanti, della fatica che costa innovare, ma l’appiattimento di ogni discorso inerente il Gusto sul soggettivo è disastroso sotto così tanti profili che non li elenco altrimenti scrivo un papiro. Saluti G.

    1. Buongiorno, apprezzo anche io il suo punto di vista e conosco ciò di cui scrive, ma resto comunque dell’idea che il buon gusto sia il frutto della scelta collettiva (o di una gran parte della collettività) e quindi un’astrazione. Per questo motivo non ci appartiene realmente. Chi decide cosa è buono? Secondo quali parametri? E’ buono per tutti? Quando scrivo che non esiste, intendo dire che non esiste in quanto verità o dato oggettivo e quindi misurabile.
      Certo che il nostro gusto personale è condizionato dal tempo e dal contesto in cui nasciamo e viviamo, ma rimane comunque una percentuale (per me ancora rilevante) di scelta personale che modifica ampiamente lo spettro di ciò che può essere buono o cattivo.
      Personalmente trovo comunque molto più disastroso l’appiattimento su di un gusto che sia ritenuto buono (e quindi uguale) per tutti. Negli ultimi anni, nella moda e non solo, molti creativi hanno affrontato il tema relativo al bello o brutto; il tema del kitsch (ritenuto da sempre elemento di cattivo gusto) è entrato prepotentemente nelle scelte di designer che lo hanno usato per spostare il punto di vista usuale. Per me resta il fatto che non ci sono risposte certe, ma di sicuro una miriade di domande a cui non ho trovato ancora risposta. E forse è proprio questa condizione che mi fa propendere per l’idea che attualmente il buon gusto non esista. Spero di non averla annoiata. Saluti.

  2. Buongiorno Adriana, anche oggi il suo post è interessante e pieno di spunti di riflessione. E’ vero, il buongusto è una categoria che non esiste: meglio parlare di gusti personali. Però sono una giornalista e “da testa pensante” le dico la mia.
    Non mi sta particolarmente simpatica la Bignardi e francamente non guardo i TG della RAI. Mi aggiorno su sky e il TG di Mentana sulla 7 e quindi non ho ben presente come si mostrino attualmente in video le giornaliste di RAI3. Personalmente ho un’immagine neutra dell’ex direttora del TG3 Bianca Berlinguer e ricordo il trucco molto vistoso di altre giornaliste peraltro molto brave nella conduzione quando ancora seguivo la RAI. Ho lavorato per la carta stampata, ora per il web, e le mie rare apparizioni in TV sono state in trasmissioni condotte da altri colleghi. Proprio perché sono giornalista, mi rendo conto che commentiamo l’editto della Bignardi senza avere in mano la fonte, cioè il testo originale. Non sappiamo che linguaggio sia stato usato etc etc. Dai commenti letti in questi giorni sui giornali mi pare di avere capito che il dress code riguardasse anche giacche e cravatte dei giornalisti.
    Mi sembra una richiesta molto normale: l’abito è la prima forma di comunicazione anche e soprattutto per un giornalista che va in video.Non a caso i costumisti della Rai lavorano anche per le trasmissioni d’informazione. Come la scenografia dello studio, anche gli abiti dei conduttori devono essere parte di una comunicazione coerente decisa dalla direzione. Piaccia o no, succede così in tutti i luoghi di lavoro nel quale sia previsto il contatto con il pubblico. Perché i giornalisti dovrebbero esserne esentati? I colleghi dei programmi sportivi (Mediaset e Sky) vanno in video con l’abbigliamento (giubbini, maglie, felpe) griffato dello sponsor e nessuno ci trova niente da ridire.
    Riguardo ai capelli, ricordo che quando Enrico Mentana era ancora direttore del TG5 sospese con un cazziatone in diretta la – bravissima – giornalista Tiziana Rosati che si occupava di economia perché in un collegamento dalla Borsa di Milano si era presentata con un ciuffo blu elettrico. http://archivio.agi.it/articolo/26ca42959dc62557ca2e17e95c0f9caa_19981008_capelli-blu-al-tg5-tiziana-rosati-svergognata-davanti-a-tutti/
    Pensi se la povera Rosati avesse indossato una parrucca 😀 !

    1. Buongiorno Paola, apprezzo anch’io sempre i suoi commenti e in questo caso mi trovo in buona parte d’accordo. Trovo che sia corretto che i giornalisti che si occupano di informazione e quindi di un servizio pubblico ed essenziale, debbano presentarsi, anche visivamente, in modo neutro e neutrale. Ma detto questo, come si fa a definire i canoni che definiscono un abbigliamento sobrio? Ci si può basare su colori, materiali e misure? E’ inopportuno un tacco 12 e non lo è un tacco 11 o 10? Un gessato è più sobrio di un pied-de-poule? Credo che in tema di sobrietà, la stessa sarebbe stata necessaria in termini di comunicazione. Le regole o regolette perentorie travalicano il buon senso e mi fanno purtroppo pensare alle leggi suntuarie di qualche secolo fa. Inoltre non ho ben capito se sono riferite ai soli giornalisti. La Repubblica di sabato scorso titolava: “A Raitre la direttrice Bignardi ha chiesto a giornaliste e presentatrici di evitare vestiti e acconciature vistosi”. Nello stesso articolo era presente uno stralcio dell’Ordine di Servizio emanato dal direttore di Rai Parlamento Gianni Scipioni Rossi, in cui si evince che il linguaggio è piuttosto perentorio.
      Ma quello che soprattutto mi infastidisce è questa attenzione così marcata sull’abbigliamento che non trova eguale per ciò che riguarda i contenuti. I telegiornali delle reti Rai sono spesso il ricettacolo di immagini che meriterebbero si una maggiore sobrietà. Per non parlare di notizie che tutto sono fuorché informazione. Ecco, la mia sensazione è proprio quella che si guardi il dito per non guardare la luna.

      1. Il vero problema della Rai e di Rai3 riguarda infatti la qualità dei suoi contenuti, non l’abbigliamento dei suoi conduttori. Mi domando anche quali novità abbia portato finora la direzione della Bignardi. Ancora una volta si è guardato il dito e non la luna. Verissimo. Detto questo credo che se la Bignardi fosse stato un maschio non ci sarebbe stata tutta questa levata di scudi. Quando Mentana punì la sua giornalista per il
        ciuffo blu non accadde niente. Gestire i giornalisti Rai è una bella gatta da pelare. Mi permetta un gioco di parole: non vorrei essere nei panni della Bignardi. 😄.

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