Le stecche son tornate.

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Ulyana Sergeenko

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Guo Pei

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Jean Paul Gaultier

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Viktor & Rolf

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Alexandre Vauther

Bello?

Eccolo di nuovo in passerella: il corsetto. In realtà non se n’è mai andato del tutto, periodicamente riappare, come a ricordarci quello che siamo state e che rischiamo ogni giorno di essere ancora.

Certo non è più l’oggetto costrittivo e deformante che era in origine, ma comodo proprio non lo sarà mai.  Se vuoi essere bella devi soffrire, come dire che l’aspirazione alla bellezza merita una punizione.

A quanto mi risulta, una delle prime ad eliminarlo completamente fu Madeleine Vionnet: “Io stessa non ero mai stata capace di sopportare corsetti,  quindi perchè mai avrei dovuto infliggerli alle altre donne?”  Era il 1907.

Molti pensano che il primo fu Paul Poiret, che nella sua autobiografia si vantava già nel 1905 di aver dichiarato guerra all’indumento. In realtà lui lo sostituì solo con una guaina, che oltre alla vita costringeva anche seno e sedere. Bel cambio! Per non parlare della jupe entravée, che obbligava le signore a camminare come geishe… Ma questa è un’altra storia.

A dispetto di quanto molti credono, quando arrivò Chanel il lavoro era già fatto, e lei potè trarne solo i vantaggi. I vari movimenti riformisti, quelli si, avevano contribuito a ridare alle donne la forma che la natura aveva previsto per loro.

Ogni volta che rivedo il corsetto tornare di moda, sento un campanellino d’allarme che suona da qualche parte. Cosa rappresenta e cosa ha rappresentato questo oggetto? Credo sia stato uno dei complementi dell’abbigliamento femminile (e in piccolissima parte anche maschile) più longevi nella storia del costume e della moda. Questo significa qualcosa.

Ha condizionato la vita sociale delle donne, quando non la stessa vita fisica: quante donne sono morte di parto a causa delle deformazioni provocate dall’uso del corsetto? Ha rappresentato l’impossibilità di fare materialmente molte cose, prima fra tutte respirare a pieni polmoni.  Oggi, certo, si dirà che il corsetto è un vezzo, che è solo uno dei tanti revival che la moda periodicamente pesca dal passato.

Ma la moda non pesca mai a casaccio, sappiamo che c’è sempre un nesso tra ciò che indossiamo e ciò che siamo o desideriamo essere. Quando Dior lo riportò in auge erano gli anni ’50 e la condizione delle donne fece una brusca frenata: vi ricordate le pubblicità di quegli anni, dove perfette e rassicuranti massaie erano tutte intente a far risplendere la casa e attendere sorridenti il marito di ritorno dal lavoro?

Quindi perchè il corsetto proprio ora?  Rifletto sui programmi politici di Trump e Putin, due tra gli uomini più potenti del pianeta, che non prevedono passi avanti rispetto alla condizione delle donne, al contrario. Ecco che suona il mio campanello d’allarme. Penso anche a tutti quei movimenti religiosi fondamentalisti che stanno minacciando le nostre libertà e quella delle donne in primis. E poi mi vengono in mente tutti gli episodi di femminicidio e violenze fisiche e psicologiche nei confronti delle donne di cui è purtroppo piena la cronaca.

Il corsetto mi appare allora in tutta la sua sinistra funzione repressiva. Non so se la sua comparsa sulle passerelle sia un monito o una minaccia, so comunque che non è una casualità.

La corsa alla Casa Bianca è già cominciata.

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Brutto?

Collezione alta moda primavera estate 2017 Chanel.

L’arrivo di Melania Trump alla Casa Bianca deve aver ispirato Lagerfeld ben oltre l’immaginabile, compreso quel vezzo cafoncello (diciamolo…) di indossare una cavigliera. E il fatto che sia di perle non è che migliori l’effetto.

Una collezione istituzionale, abiti fatti alla perfezione (ci mancherebbe, è Chanel), pochi dubbi sul fatto che la first lady apprezzerà. Ma noi comuni mortali possiamo immediatamente dimenticarla, giusto per non morire di noia.

Hommage à Madame Grès.

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Bello.

Di lei, Chanel diceva che era solo capace di appendere un po’ di stoffa ad un corsetto (l’invidia è una brutta bestia).

La couturier dai tanti nomi: Germaine Emilie Krebs,  Alix Barton,  oppure semplicemente Alix –  era una donna enigmatica.  E’ passata alla storia comunque con un altro nome: Madame Grès.

Di lei ho già scritto qui.  Ora, a dispetto di quanto detto da Chanel, mi piace sottolineare quanto la sua moda sia un esempio di effettiva  modernità.  Innegabile.  Se non si fosse capito, per me lei ha un posto speciale sull’Olimpo delle madri e dei padri della moda.

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Bello.

Se anche Lagerfeld per Chanel si accorge che la sartoria è il luogo della modernità e dell’eccellenza, vuoi vedere che pure fare il sarto diventa un mestiere cool?

La collezione alta moda che viene mostrata mentre le sarte sono al lavoro, è esemplare in questo senso: tutta giocata su rigore sartoriale, lavorazioni artigianali e bei tessuti.

Per ribadire che il lusso nasce in atelier.

 

 

Casa di bambole.

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Bello?

Chanel alta moda primavera estate 2016.

Sarà perchè avevo da poco guardato quell’altra sfilata, ma guardando le silhouette di questa ultima collezione Chanel, mi è subito venuto in mente lo stile originale di Elsa Schiaparelli: spalle e braccia importanti, vita al posto giusto, gonne allungate.

A parte questo però di quello stile sovversivo qui non c’è proprio niente. Ma prontamente la Menkes l’ha ribattezzato col termine serenità.

Mi chiedo: ma dov’è il sogno?  Signore bene, molto (troppo) classiche dalla testa ai piedi, impregnate di questo nuovo diktat che si chiama realismo, riempiono le vetrine di una fantomatica casa di bambole. Realismo che produce anche l’onnipresente marsupio porta-cellulare!

Lo sappiamo bene che Chanel non è mai stato sinonimo di provocazione, ma quella lunghezza di gonne non è un po’ troppo mortificante? (Abbinata poi a quelle scarpe).  Inoltre ce lo dicono tutti che la clientela della haute couture è formata da numeri minimi, che forse col tempo si vanno assottigliando.  E’ questo il motivo di tanta prudenza?

Non si vive di solo marketing.

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Brutto.

Non è stato molto fortunato Lagerfeld con la scelta del tema di questa ultima sfilata per Chanel (primavera/estate 2016).  O forse si, visto che per molti vige il detto “..Purchè se ne parli”.

D’altra parte doveva aspettarselo, considerando la sua propensione negli ultimi tempi a prendere come ispirazione luoghi così affollati di varia umanità. Dopo il corteo e il supermarket ora è la volta dell’aeroporto. Luogo considerato solitamente ad alto tasso di glamour, se non fosse per le ultime immagini rimbalzate su tutti i telegiornali, di quei dirigenti di Air France con addosso vestiti stracciati o addirittura a torso nudo dopo la furia degli annunciati licenziamenti.

Ed è interessante osservare questa costante in entrambi gli scenari, così diversi per evidenti motivi, ma che pongono l’attenzione comunque sui vestiti.

Forse toccherebbe anche a coloro che guidano la carrozza, come Lagerfeld, di fare qualche piccola riflessione. Se davvero la moda racconta il quotidiano, e non ho dubbi che lo faccia, allora che lo racconti con maggiore onestà e lungimiranza. Forse anche solo con una briciola di coraggio, l’eterno assente.

Un aeroporto o un corteo come quelli visti da Chanel fanno francamente sorridere perché assomigliano tanto a quegli scenari in cui veniva calata la Barbie un po’ di anni fa. Vi ricordate la Barbie con il camper, la Barbie con la piscina..?

Giocattoli che nemmeno le bambine vogliono più, refrattarie ormai a quei concentrati di zucchero e plastica. Invece noi, donne di questo tempo confuso e complesso, dovremmo farci catturare dall’attualità di un gate affollato di fashion-addicted.

Se davvero il marketing e tutte le strategie di vendita e di presenza sui social diventano il cuore e il motore di un marchio, allora significa che la moda ha smesso di raccontare la nostra storia.

Ma qualcuno li ha poi guardati i vestiti?

Quel tormentone delle ‘principesse’ 2.

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Brutto.

Chanel haute couture primavera estate 2015.

Qui non ci sono dubbi, l’immortalità ha dato alla testa al Kaiser. Ha immaginato di poter fare tutto, persino l’ennesimo esperimento: disegnare come un dilettante e tuttavia strappare applausi.

Il rosa è il colore di tendenza? Ce ne eravamo accorti.  Ma mai come ora si accompagna ai più consolidati dei cliché. E’ vero, la haute couture è più vicina ai sogni di qualsiasi altro settore della moda, ma un uomo navigato dovrebbe conoscere più a fondo i sogni delle donne.

E dire che nemmeno le mie piccole stiliste nei laboratori che tengo per bambini sarebbero così estreme.  Di questo bisogna dargli atto.

Sulle tracce di Gabrielle.

Molte donne eleganti avevano raggiunto Deauville. Bisognò non soltanto far cappelli per loro, ma presto, in mancanza di un sarto, vestirle. Confezionai per loro dei jersey con maglioni di stallieri, golf d’allenamento come ne portavo io stessa. Alla fine di quella prima estate di guerra avevo guadagnato 200 mila franchi d’oro (…). Cosa sapevo del mio nuovo mestiere? Nulla. Ignoravo che esistessero sarte. Avevo una coscienza maggiore della rivoluzione che stavo per provocare nell’abbigliamento? In nessun modo. (…). S’offriva un’opportunità, io la presi. Avevo l’età di quel secolo nuovo che si rivolse dunque a me per l’espressione del suo guardaroba. Occorreva semplicità, comodità, nitidezza, gli offrii tutto questo, a sua insaputa. I veri successi sono fatali.

( C. Chanel)

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Bello.

Passeggiando sul lungomare di Deauville con le cabine che prendono il nome da personaggi famosi (soprattutto divi americani, e noto che Ridley Scott è l’unico con il titolo di Sir) ammiro una bella mostra dedicata ai cavalli. E’ risaputo che couture e corse di cavalli hanno da sempre una liaison intensa: l’ippodromo di Deauville era il luogo preferito per coloro che volevano vedere e farsi vedere.

Di lei (Gabrielle), qui a Deauville si sono perse le tracce. Ne ho cercate invano: troppo tempo e troppa moda sono trascorsi.

 

La forma del tempo nuovo.

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Bello.

Ho amato da sempre questo abito, è di Madeleine Vionnet, datato 1929, l’anno del crollo della borsa di Wall Street. Un anno cruciale, in cui la povertà di lusso di Chanel cominciò ad andare stretta. Coloro che, nonostante la crisi, continuavano ad essere ricchi, non desideravano mettere in piazza la loro fortuna (da veri puritani), d’altronde non volevano nemmeno apparire come quelli che la ricchezza l’avevano repentinamente perduta.

La moda aveva bisogno di cambiare ancora. Chanel cercò un compromesso arricchendo i suoi abiti con cascate di gioielli falsi o veri, mischiati, così da confondere le idee.  Vionnet non era fatta per i compromessi, cercò, come al solito, il suo punto di vista più autentico.

Questo abito, secondo me, ne è la prova: semplicemente lussuoso. Ma è un lusso nuovo, non c’è nulla che luccica, c’è una cognizione del corpo che è prepotentemente dinamica e allo stesso tempo sensuale.

Significa che il rapporto corpo-movimento-bellezza è compiuto.

Un fil futil.

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Brutto?

C’è un filo diretto che unisce idealmente Chanel con Moschino e non mi riferisco solo al passato, quando Franco Moschino parodiava con fine ironia le mise di Mademoiselle. No, il collegamento è molto più attuale e sotto gli occhi di tutti se guardando la sfilata dell’uno mi pareva di vedere l’altro e viceversa.

Non è solo per il tema del cibo (sempre di cibo a basso costo si tratta..), nemmeno per quei lucchetti usati come ciondoli su entrambe le passerelle, nemmeno per i tailleurini profilati che più che un classico sembrano diventati una persecuzione. No, non è solo per questo, che comunque già basterebbe.

E’ piuttosto per quel mal comune di voler essere a tutti i costi un po’ hip e al contempo sulla bocca di tutti. Scegliendo, si sa, la strada più facile, che è quella della mise en scene,  piuttosto che la sostanza. Strada che, sono sicura, piacerà a molti. Ma non a me.

P.s. Avete notato che sono stati ri-sdoganati i leggings?