Piove. Vestiti, usciamo.

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Bello.

Il cielo è scuro e la luce che entra dalle finestre è così scarsa da attutire ogni colore.  Cade pioggia ormai da due giorni ed è impegnativo scovare l’energia per vestirsi e affrontare la città.

Ma domani è il mio compleanno e avrò voglia di mangiare cibo speziato. Ho cercato il miglior ristorante indiano della città e prenotato. Mi servirà qualcosa da indossare per scacciare i malumori del maltempo.  Cerco qualche suggestione e mi viene incontro Paul Poiret, con i suoi colori come “robusti lupi gettati nell’ovile”.

Non potrei mai permettermi questo abito, nemmeno se sapessi dove trovarlo, ma mi fa bene vedere un esempio di ciò che vorrei.  Non copierò quest’abito: non è accettabile accontentarsi di una copia. Sceglierò qualcosa che me lo ricordi per associazione di idee e non per aspetto.  Non riempirò il mio armadio con un altro abito: ho fatto un patto con me stessa.

Un abito può contenere un buon proposito, un’idea. Può essere un amore platonico.

Robert Piguet:la semplificazione del lusso.

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1930

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1940

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1951

 

Bello.

Robert Piguet era svizzero di origine, ma, negli anni trenta e anche dopo, veniva definito come lo stilista più parigino dei parigini.

La sua è una storia lineare: una vocazione precoce, il trasferimento a Parigi, l’apprendistato presso importanti case di moda. Poi l’apertura della propria maison, il successo.  Coniugava con il suo stile due insegnamenti (solo) apparentemente inconciliabili: l’uso del colore opulento appreso da Poiret e la semplificazione e funzionalità appresi da Redfern.

La selezione delle immagini relative alle sue creazioni, mi ha portato a scegliere questi esempi che mi sono sembrati subito notevoli. Si riconosce un approccio singolare, l’uso di tagli sperimentali per quegli anni. A me pare di cogliere anche un sincero amore per il mestiere, che si confermò con la presa di posizione durante l’occupazione nazista a Parigi: così come altre case di moda, si rifiutò di portare la sua moda a Berlino.

Quello che apprezzo in questi abiti è la semplificazione del lusso. La mano del couturier è innegabile, ma dietro si intuisce la presenza del designer. Un passo avanti non indifferente.

Nella biografia di Piguet sembra non esserci spazio per il narcisismo che affligge e affliggeva molti couturier: lasciò grande spazio ai giovani collaboratori, formandoli e accogliendo le loro idee.  Collaboratori come Dior, Hubert de Givenchy, Balmain.

Ogni volta che mi avvicino a questi grandi nomi provo a immaginare cosa sia stato per loro il cambiamento radicale di prospettiva creato dalla guerra. Credo che ci sia voluto uno sforzo di volontà notevole per continuare a pensare alla bellezza in un mondo piombato nel lutto.

Piguet si spense nel 1953. Nel 1951 aveva chiuso l’attività, in fondo lavorò fino quasi alla fine.  La dedizione al mestiere è il tratto che ritrovo in tutta questa generazione di creatori di moda. Una cosa semplice, lineare, un valore che ottimisticamente credo che diventerà di nuovo di moda.

Hommage à Madame Grès.

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Vionnet ss17

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Rochas ss17

Bello.

Di lei, Chanel diceva che era solo capace di appendere un po’ di stoffa ad un corsetto (l’invidia è una brutta bestia).

La couturier dai tanti nomi: Germaine Emilie Krebs,  Alix Barton,  oppure semplicemente Alix –  era una donna enigmatica.  E’ passata alla storia comunque con un altro nome: Madame Grès.

Di lei ho già scritto qui.  Ora, a dispetto di quanto detto da Chanel, mi piace sottolineare quanto la sua moda sia un esempio di effettiva  modernità.  Innegabile.  Se non si fosse capito, per me lei ha un posto speciale sull’Olimpo delle madri e dei padri della moda.

La differenza.

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Madeleine Vionnet

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Valentino

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Cristobal Balenciaga

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Cristobal Balenciaga

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Madeleine Vionnet

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Jacques Fath

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Charles James

Bello.

Quando si dice che la differenza sta nei dettagli, si dà per scontato che chiunque sia capace di notarli. Si dicono cose, a volte, che in realtà non stanno né in cielo e né in terra, perché i dettagli sono di per sé sfuggenti. Amano farsi beffa degli occhi poco allenati o frettolosi.

I dettagli  (quei particolari in sordina che eppure reggono l’intera opera sulle loro fragili spalle), richiedono dedizione e premiano solo chi ha la pazienza di affrontare la lenta contemplazione.  D’altra parte sono il frutto di menti e mani che di lentezza hanno fatto un mantra.

Chi avrà la pazienza di aspettare in premio la loro stupefatta scoperta?

L’origine del sogno.

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Charles James, 1955

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Azzedine Alaia, 1990

Bello?

Come nasce un’idea, una forma?  A volte, spesso, basta andare indietro nel tempo.  Forse è proprio vero che tutto è già stato fatto.

Vorrei credere che ci siano ancora margini per l’invenzione nella moda, ma sempre più spesso mi trovo a valutare che le possibilità reali di intervento riguardano l’interpretazione. Nel migliore dei casi .

Ma la scintilla, quella che ha dato vita all’originale, quella è già scoccata altrove, in un altro tempo.

Balenciaga and Spain – Le origini del genio.

 

Bello.

Il video si riferisce ad una mostra del 2011 al Young Museum di San Francisco, California e documenta in modo dettagliato il legame naturale e indissolubile di Cristobal Balenciaga con la sua terra di origine.

Penso che ogni singolo abito di questo couturier racconti una storia affascinante e soprattutto la sua totale abnegazione nei confronti della creazione. E’ probabile, anzi, che la storia stessa della sua vita e il suo pensiero siano condensati in quella dedizione  verso il fare abiti.

Per chi si occupa di moda ogni fotogramma di questo video può essere un regalo. Si può comprendere la nascita di un’idea, immaginare il percorso che Balenciaga ha compiuto per elaborare in forme personali i ricordi e l’estetica respirati sin dalla nascita.

Credo che nessuno più di lui abbia convogliato tutte le proprie energie nella ricerca di quella perfezione intravvista come un sogno, eliminando distrazioni, orpelli, dettagli inutili. Realizzando forme così pure da lasciare stupiti ancora oggi, noi abituati a vedere tonnellate di abiti e forme.

La mia sensazione è che tutte quelle altre forme e abiti scompaiano e rimanga stagliata nei miei occhi questa immagine di straordinaria modernità.

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Roy Halston. 1970

 

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Madame Grès, 1965

 

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Cristobal Balenciaga, 1966

 

Bello.

Moderno è ciò che prescinde dal momento, elude il tempo, lo attraversa.

Non è una qualità comune, è un concetto significativo che trova difficoltà ad esprimersi attraverso il linguaggio. Più facile raccontarlo per immagini.

E’ moderno ciò che la cronologia consueta non osa classificare, perché non ne conosce la chiave. Siamo soliti definire così tutto ciò che ci appare contemporaneo, ma si tratta naturalmente di una grossolana semplificazione: le due cose non sono affatto consequenziali. Conosco casi in cui espressioni contemporanee risultano decisamente antiquate e tutt’altro che moderne, mentre esempi di molto precedenti continuano a emanare quella luce di assoluta modernità.

La modernità appartiene a chi si rifiuta di seguire i canoni del suo tempo e sceglie strade ben più astratte, fuori dall’ordinaria estetica dell’epoca che gli è toccata in sorte.

 

La migliore sarta del mondo e il viaggiatore.

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Madeleine Vionnet

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Bruce Chatwin

Bello.

Molti si chiederanno cosa abbia a che fare Vionnet con Chatwin, considerando la distanza dei rispettivi interessi, eppure un legame c’è. Bruce Chatwin realizzò una delle rare e più belle interviste alla grande couturier e si può dire che per entrambi stranamente quell’esperienza è legata ad  un definitivo commiato. Chatwin sarebbe morto dopo pochi mesi dalla pubblicazione del libro che la conteneva (Che ci faccio qui?), mentre per  Vionnet si trattò probabilmente della sua ultima intervista. Lei sarebbe morta meno di tre anni dopo averla rilasciata.

Era il 1973, Madeleine Vionnet all’epoca aveva 96 anni, Chatwin stava lavorando per Vogue America come inviato, possiamo dedurre che l’imput gli fu fornito direttamente da Diana Vreeland.

Vionnet aveva abbandonate le scena della haute couture nel 1939, esattamente allo scoppio del secondo conflitto mondiale. Non aveva più realizzato vestiti da allora, questo non le aveva però impedito di occuparsi ancora di moda, a modo suo, come sempre aveva fatto nella sua carriera.

La migliore sarta del mondo, come lei stessa, giustamente, si definiva, riuscì ad affascinare un viaggiatore incallito come Chatwin. Lei, testimone sopravvissuta di un tempo che non c’era più, attraverso ricordi lucidi e sintetici rivelò all’attento osservatore una personalità totalmente fuori dal comune.

Abbaglianti le ultime battute dell’intervista:

Al momento di lasciarla mi  inquietava il pensiero che il nostro fotografo potesse disturbare la sua tranquillità.  “No, non mi disturberà. Sarò molto contenta di vederlo. Ma non può fotografarmi il cervello…!”.

Pierre Balmain (1914- 1982).

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Brutto.

Non mi interessa occuparmi del planetario battage pubblicitario o della furbissima strategia marketing messi in atto con il connubio tra H&M e Balmain. Non sono cose che valga la pena di analizzare, a meno che non siate manager e vi occupiate di numeri o siate esperti analisti del settore. Non è il mio caso.

Quello che noto a prima vista è l’involgarimento dello stile. Sarà perché è indirizzato a un consumatore low cost? Deve essere questo ciò che pensano i grandi marchi delle masse.  No, non mi stupisco affatto, democratizzazione fa solitamente rima con roba cafona. D’altra parte cosa si pretende, non siamo mica su Rai Educational?

Allora quello che faccio di solito in questi casi, è rifarmi gli occhi con un po’ di storia, ricordando da dove siamo venuti.  Si, perché prima di Balmain c’era un certo Pierre Balmain, che si dice addirittura avesse anticipato il new look di Dior. Di certo i due erano amici e prima ancora di diventare qualcuno, progettarono di aprire insieme la loro prima maison. Poi non ne fecero nulla e ognuno andò per la sua strada, che per entrambi fu ricca di successi e soddisfazioni. Ma bando alle ciance, ecco qualche esempio dello stile jolie madame del nostro, che, a proposito del suo mestiere diceva: “Siamo artigiani con un dono speciale per il bello”.

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E a proposito di stile, diceva ancora: “Rispettate i principi base della moda e sarete sempre in sintonia con le ultime tendenze, senza caderne preda”.

Una lezione che in casa Balmain devono aver dimenticato.