Hands maker.

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Bello.

“La camminata eretta ha reso possibile lo sviluppo della mano e quindi la fabbricazione di oggetti, ciò che ha portato nella nostra specie a un’espansione del cervello”. (da Che ci faccio qui? di B. Chatwin).

Sono convinta che nelle nostre mani risieda una specie di secondo cervello che se stimolato a sufficienza, se “praticato”, può realizzare molto, addirittura a volte cose stupefacenti.  Anatomicamente parlando si tratta dello strumento più sofisticato che si conosca: capace di operazioni minuziose, dotato di una grande quantità di ossa, muscoli, terminazioni nervose.

Eppure questo magnifico strumento pare non essere tenuto nella giusta considerazione oggi. Leggo da una recente intervista a Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook:

“Uno dei nostri obiettivi per i prossimi 5-10 anni è spostare in avanti le capacità dell’uomo nell’apprendimento, nel linguaggio e nei principali sensi: vista e udito. Di gusto e olfatto invece, per ora ci occupiamo meno”.

Il tatto non è nemmeno menzionato.

Peccato, perché chiunque abbia osservato le fasi di crescita e quindi di apprendimento di un cucciolo di uomo, si sarà accorto che proprio il tatto, il gusto e l’olfatto sono i sensi predominanti attraverso i quali lui impara il mondo.

Mi accorgo di quanto poco il tatto venga tenuto in considerazione, e quindi l’utilizzo delle mani, durante i miei laboratori per i bambini. Molti di loro hanno difficoltà nell’uso delle forbici e di tutti gli strumenti che richiedono manualità fine.  Li invito a toccare i materiali e questo dapprima li stupisce un po’, poi, una volta scoperto il piacere di distinguere con le mani, quasi non vorrebbero smettere. Ma è significativo il fatto che il gesto di toccare sia sempre meno spontaneo.

Mi sono immedesimata in quella difficoltà quando, poco tempo fa, ho tenuto la mano destra inattiva a causa di un piccolo incidente. Ho realizzato quanto fosse idiota l’altra mano, non abituata, non stimolata a fare quotidianamente tutto quello che di norma faccio con la destra.

Nel mestiere di chi fa abiti, le mani sono naturalmente strumenti imprescindibili e credo sia possibile osservare il tipo di approccio tattile verso la moda anche attraverso i risultati ottenuti. E’ una cosa che ho preso in considerazione leggendo un passo delle “Lettres à un jeune couturier” di Gianfranco Ferrè, dove lui racconta di Christian Dior che, durante le prove degli abiti, non li toccava mai con le mani, bensì li tastava da lontano con la sua  bacchetta. Ferrè, al contrario, afferma: “Io amo manipolare i tessuti, amo toccarli, affondare le mani nei vestiti”.

La mia personalissima opinione al riguardo è che i vestiti di Monsieur Dior mi appaiono statici e distaccati, mentre la potenza architettonica degli abiti di Ferrè è materia in movimento.

 

Dancing in the past.

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Bello.

Non sono una fan di Steven Meisel, però questo suo servizio fotografico nell’ultimo numero di Vogue Italia è proprio nelle mie corde.

E’ evidentemente ispirato alle atmosfere patinate del musical anni ’30 e a personaggi come Ginger Rogers e Fred Astaire. Un chiaro ritorno ad un periodo storico in cui la moda usciva dalla ‘povertà di lusso’ di Chanel e si rivolgeva a un lusso concreto e stabile.

Le donne ritrovavano il gusto per la seduzione fatta di abiti che scivolavano sul corpo come una carezza e gli uomini non disdegnavano l’antico cilindro.

Erano gli anni in cui l’Occidente tentava di superare quel giovedì nero che aveva visto crollare la borsa di Wall Street, crollo che in pochi istanti aveva polverizzato capitali e sogni di ricchezza. Non era più il caso di sembrare fintamente povere, al contrario bisognava apparire benestanti a tutti i costi.

Non è certo un caso se oggi quello stile neo-classico torna in voga. Oggi che siamo reduci (o forse ancora nel guado?) da una crisi lunghissima ed estenuante, in cui il comparto moda ha pagato lo scotto di essere composto da beni tutto sommato superflui. E quindi si torna a un guardaroba fatto di abiti durevoli, classici per l’appunto.

Si parla di nuovo di cappotti, ma che siano di buona lana, o meglio di cachemire. Gli abiti da sera non ammettono stravaganze, quanto piuttosto uno stile impeccabile e un’eleganza senza incertezze. Le camicie bianche di Ferrè tornano ad essere attuali come non mai, simbolo classico per eccellenza.

La storia è ciclica, si sa. Anche la storia della moda.

Le camicie di Ferrè.

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Bello.

Sono tornata a Milano qualche settimana fa per visitare una mostra imperdibile, visto che si trattava di Gianfranco Ferrè.

La mostra si intitolava La camicia bianca secondo me. Gianfranco Ferrè ed era costruita, come si intuisce dal titolo, intorno ad uno dei grandi amori di Ferrè: la camicia bianca. Poiché si tratta di una passione che condivido e di cui ho già scritto e inoltre poiché ho sempre ammirato e apprezzato il lavoro di questo stilista, capite bene che non potevo mancare. Ferrè è uno dei pochi stilisti che non ha disdegnato l’insegnamento, intuendo che la trasmissione dei saperi fosse importante tanto (e forse più) quanto il lavoro creativo sugli abiti. Fu infatti uno dei fondatori della Domus Academy di Milano, dove insegnò fino a quando la maison Dior lo chiamò come direttore creativo. A quel punto gli impegni di lavoro gli impedirono di continuare, ma le sue lezioni sono raccolte in un importante volume: Gianfranco Ferrè – Lezioni di Moda, Marsilio ed.

La camicia bianca rappresenta per me la sintesi perfetta di estetica e funzionalità, un vero e geniale esempio di design e credo che difficilmente sia possibile migliorare questo risultato. Ciononostante Ferrè è riuscito a costruire intorno a questo capo tutto un mondo fatto di interpretazioni, suggestioni, costruzioni sartoriali che, lasciandone intatto il significato concettuale, ne amplificano tuttavia la portata.

L’allestimento della mostra era puro e suggestivo, credo come sarebbe piaciuto al grande stilista/architetto.

Per chi non avesse potuto ammirare di persona la mostra, lascio alle immagini il compito di raccontare questo fantastico viaggio nelle collezioni di Gianfranco Ferrè dal 1982 al 2006.

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Unforgettable.

Walter AlbiniWalter Albini

 

Jaques FathJaques Fath

 

Cristòbal BalenciagaCristòbal Balenciaga

 

Jean Patou ritrattoJean Patou

 

Lucien LelongLucien Lelong

 

Gianfranco FerrèGianfranco Ferrè

 

Bello.

The man I wish, still again.  Unforgettable, unrepeatable.

Lasciate che io mi crogioli un po’ nella malinconia in questi giorni di fuffa e fashion.  No, l’abito non fa il monaco, se dentro c’è solo fiato.

Ma l’abito è una conseguenza.