Concertino per sordi.

glenn ligon

Brutto?

Capita di leggere un interessante scambio di battute, su uno dei social network più gettonati, tra Simone Marchetti (giornalista di Repubblica) e Stefano Gabbana (co-direttore del marchio Dolce&Gabbana).

Tutto parte da un articolo sul Time che affermava già nel titolo quanto il direttore creativo di Gucci fosse ormai diventato un’icona indiscussa di stile e non solo (the most influential italian in the world!). Da qui prendeva il via l’articolo e l’intervista di Marchetti ad Alessandro Michele, che non lesinava certo in elogi ed inchini a tanto genio.

Ma nei commenti al post ecco comparire l’obiezione stizzita di Gabbana che scrive: –Il colore dei soldi fa dire qualsiasi cosa-. (Ma poi aggiunge un cuoricino, giusto per non apparire troppo tranchant). A questa fa seguito la risposta del giornalista che la prende larga riguardo al fashion system e all’appropriazione di idee altrui…

Subito dopo Gabbana rincara la dose scrivendo: –Ti posso fare elenchi di persone che non sono certo stilisti che hanno vinto premi e nomine solo pagando… ma penso tu lo sappia meglio di me-.

A questo punto mi sembra necessario fare una attenta analisi dello scritto:

  1. Nella prima frase (quella sul colore dei soldi) si afferma in pratica che basta pagare e i giornalisti scrivono qualsiasi cosa. Come mai Marchetti non si è offeso? Io al posto suo l’avrei fatto. Insomma, chi tace acconsente?
  2. Si afferma che si potrebbe fare un elenco di disonesti. Ma a che pro, se poi l’elenco non si fa? Lanciare il sasso e tirare indietro la mano? Allora meglio tacere.
  3. Si afferma che non si tratta di stilisti. Classica tattica del tipo tutti i presenti esclusi.
  4. Si afferma che il giornalista sa dell’elenco in questione. Ma allora siamo rimasti solo noi a non saperlo… A questo punto fuori i nomi!

C’è un vecchio proverbio che dice: nel paese dei ciechi quello con un occhio è il migliore. Ma potrei citarne anche un altro che recita: una mano lava l’altra. E ne conosco altri ancora che in qualche modo potrebbero fare al caso nostro. Ma sarebbe superfluo, considerando che pur nella nostra sterminata ignoranza di elenchi, una cosa l’abbiamo ben chiara: che stilisti e giornalisti mai si farebbero la guerra e che certe scaramucce fan discretamente (e amaramente) sorridere.

E infine, è certamente un caso che su la Repubblica di sabato scorso sia apparso un bell’articolo di Marchetti in favore di Dolce&Gabbana, elogiativo quanto basta. Mentre sulla pagina social di cui sopra appariva di recente un post con foto di un capo della stessa griffe, forse per dispensare equamente complimenti e visibilità?

Benvenuti nel paese delle banane.

(immagine: Glenn Ligon).

Togliamo la polvere dalle passerelle?

fashion revolution

Bello?

Burberry ha fatto il botto su tutti i media. Come? Scoprendo l’acqua calda che tutti già conoscevano e su cui si discuteva da anni, ma che nessuno aveva il coraggio di usare per primo.

In sintesi ha annunciato che da settembre smetterà di fare collezioni stagionali, raggrupperà le collezioni uomo e donna in una unica sfilata e la collezioni stesse andranno in vendita immediatamente dopo il defilè.

Dal punto di vista mediatico non cambierà molto, visto che già molte sfilate sono in streaming (magari i soliti happy few si sentiranno un po’ meno elite..)  Cambierà probabilmente il rapporto tra chi produce e chi consuma e si prevede naturalmente la revisione totale del meccanismo produttivo. Certo maggiori rischi per chi produce, ma d’altra parte chi non rischia non rosica.

Quello di cui non si parla è il rapporto con la stampa. Di cosa parleranno i vari giornalisti di settore, ora che non potranno più vedere mesi prima le sfilate? Come faranno a promuovere/stroncare una collezione se non godranno più del privilegio dell’anteprima?

Ma un pensiero mi sorge proprio spontaneo: vi faceva tanto schifo il pronto moda, dicevate che erano quelli che copiavano e basta, li guardavate dall’alto in basso come quelli di serie b. Poi però vi siete accorti che vendevano molto più di voi. E ora improvvisamente il loro metodo produttivo sembra diventare il vostro. E così ora i grandi gruppi del prêt-à-porter tenteranno di far concorrenza a Zara & Co.

Guarda come è strana la vita.

Nessuno, tra l’altro, dice che molti piccoli, piccolissimi marchi hanno già optato per questo tipo di soluzione da tempo (io ho smesso di fare collezioni stagionali dallo scorso anno, ma nel mio caso non vale, non ho voce in capitolo), come dicevo: la scoperta dell’acqua calda.

Qualcuno già dice che non cambierà molto e che i vecchi dinosauri si sono messi al sicuro da tempo. Io, da eterna sognatrice, voglio sperare che una pietra lanciata nello stagno produca comunque qualche cerchio concentrico che a sua volta vada a smuovere acqua ferma.

Vorrei essere ottimista, vorrei sperare che i cambiamenti annunciati siano il seguito di buone intenzioni e non solo il tentativo di accaparrarsi per primi il folto gruppo di consumatori annoiati. Vorrei sperare che il sistema non si uniformi solo per non rimanere a bocca asciutta, evitando ancora una volta di fare una sana auto-critica.

Vorrei, per una volta, poter dire che la moda ha il coraggio che altri non hanno.

Eternity.

wintour

Brutto?

L’avevo già annoverata nella schiera degli Highlanders e ora più che mai lei ne fa parte. Anna Wintour si è conquistata il biglietto per l’eternità: il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art della città di New York diventa Anna Wintour Costume Center.

Quanto costa il biglietto per l’eternità?  125 milioni di dollari.

Questa è la cifra che la Wintour ha portato nelle casse del museo in questi anni.  Mica male..

Come ci è riuscita?  Con mostre di grande richiamo mediatico, con una oculata gestione della sua immagine e dei suoi contatti.

Certo suona strano che una persona ancora in vita dia il suo nome a una istituzione (non porterà sfiga?). Un po’ come farsi fare il monumento prima di essere passati a miglior vita. Di solito non si fa e a dire il vero sembra anche leggermente nouveaux riches.

Ma sono sicura che a lei si perdonerà tutto: le mostre piene di glamour e carenti di significato, il piglio dittatoriale, le uscite poco felici nei confronti della moda italiana (a parte Miuccia, sia chiaro), la maleducazione mascherata da status.

Ma la moda è anche questo: rimaneggiamenti, visioni parziali. Grandi e deliziose bugie.

The Highlanders.

annawintour460

Brutto?

Coco Chanel con il suo immancabile caschetto nero, che somigliava ormai più a una parrucca -e forse lo era davvero- che a una chioma naturale. Vestita da eterna ragazzina, con la paglietta, il tailleur smilzo e le labbra imbellettate.  Immutabile e definitiva.

Diane Pernet con il suo total black, l’altissima cofana, occhiali a farfalla, labbra rosse e pelle diafana.

Anna Wintour, Franca Sozzani, Karl Lagherfeld..  Tutti riconoscibili alla prima occhiata, tutti come fermi nel tempo. Apparentemente.  A volte mi torna in mente il personaggio principale di morte a Venezia.

Sembra paradossale se si pensa che sono tutte persone che si occupano di uno dei fenomeni più mutevoli che esistano,  ma forse è proprio in contrapposizione a questo velocissimo e straniante cambiamento che si pongono con la loro fissità: tutto cambia, ma io resto.

Immagino che ci siano, come sempre, più punti di vista e penso ad Anna Piaggi, che riusciva ad essere al contempo sempre diversa e sempre uguale a se stessa.  Iconica nel vero senso del termine al punto da impregnare di sè ogni pezzo che indossava.

A volte in questo esercizio si avverte una rinfrancante autoironia, altre volte, piuttosto, un fastidioso autoreferenzialismo.  Mi sembra di scorgere il tentativo di andare al di là della moda -o al di sopra?-.

Ma forse potrebbe trattarsi di una semplice scelta di marketing: perchè cambiare un prodotto che funziona?