Il prezzo della bellezza.

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Bello.

Haute Couture SS 2016 di Luigi Borbone.

Ero sicura che Luigi non mi avrebbe delusa, e guardando le immagini sono stata ancora più dispiaciuta di non aver potuto essere presente alla sua sfilata: avrei voluto guardare da vicino ognuno dei suoi abiti.

Questo couturier non ama fare giri inutili intorno alle sue ispirazioni, è maestro nel cogliere l’essenziale e restituirlo limpidamente.

Il tema scelto per questa collezione non poteva appassionarmi di più. Ricordate una delle scene finali di quel meraviglioso film di Sally Potter, Orlando? La scena in cui Tilda Swinton corre a perdifiato in un labirinto fatto di siepi e quasi ad ogni svolta cambia d’epoca e d’abito. Ecco, è uno dei frammenti cinematografici che ho amato maggiormente e che spesso, quando penso ai film in costume, mi torna in mente.

Il tema è quindi il labirinto, ma anche il tipo di femminilità proposto dal romanzo di Virginia Woolf e impersonato da Tilda Swinton, così come il mito di Kore/Persefone (con un altro rimando cinematografico sublime: Romy Shneider in L’enfer).

Femminile e maschile quindi, ma senza derive modaiole, visto il recente accanirsi sul termine no gender. Qui la femminilità è chiara e non ha bisogno di eccedere, nemmeno di andare troppo lontano. Bastano colori accennati, tessuti che non pesano, un niente di luci, una sintesi di forme.

L’ho già detto che Luigi ama le donne, aggiungo anche che credo lui conosca il prezzo della bellezza, che non risiede nell’abbondare e strafare, ma nel ricercare l’armonia delle cose quasi invisibili.

In quel quasi è nascosto il segreto.

Lieve come un velo, forte come una donna.

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Bello.

“Da film come ‘Hiroshima mon amour’ e ‘In the mood for love’ l’immagine bella e vagamente malinconica di una donna disegnata dall’amore struggente, da un’atmosfera di luci come lanterne che illuminano creando tanto chiaroscuro”.

Questo racconta Luigi Borbone della sua ultima collezione di alta moda per l’autunno inverno 2015-16.  Come sua abitudine, le ispirazioni sono varie: se da una parte c’è l’Oriente, dall’altra ci sono gli anni ’50 di Dior. Ma a dispetto di ciò che si potrebbe immaginare, regna su tutto una pulizia formale che si sbarazza di ornamenti retrò e facili orientalismi.

Ricordate quando in un precedente post a proposito di Margiela parlavo di scheletro portante riferito alla moda? Ecco, chi parla con scioltezza la lingua della couture sa bene cosa significhi: non è con il superfluo che si costruisce un’idea chiara.

Mi piace sempre più la donna immaginata da LuigiMaria, così tranquilla da concedersi abiti che non la nascondono; privi di impalcature difensive, privi di formalità inutili.

Una grande iniezione di leggerezza (finalmente).