Bello.
Conservo con cura (e utilizzo spesso durante le lezioni) il catalogo della mostra del 1998 presso la fondazione Cartier Making things. La mostra conteneva molte cose -come dice il titolo stesso- e tra le molte cose c’erano anche gli abiti della collezione Pleats Please, nata in embrione nel 1988 e poi presentata al pubblico nel 1993.
L’idea compie quest’anno il suo 20esimo compleanno e sembra sia di regola festeggiare con l’uscita di un profumo dedicato. Il naso Aurelien Guichard ha quindi prodotto un profumo che personalmente non ho trovato granchè originale, nonostante la dettagliata campagna stampa lo esalti come la versione olfattiva di una plissettatura. A me ha ricordato troppo insistentemente profumi già annusati. Ma, si sa, in fatto di odori le opinioni sono tremendamente personali e quindi soggettive.
Preferisco comunque soffermare la mia attenzione sugli abiti che portano il nome di questa collezione. Non a caso ho accostato l’immagine dei lavori di Miyake a quella dei delphos di Mariano Fortuny. Nel caso a qualcuno venisse in mente di fare altri spericolati accostamenti (e qualcuno su autorevoli riviste li ha fatti..). Innegabilmente l’invenzione del plissé non fu né di Fortuny, né tantomeno di Miyake, basti pensare ai gonnellini dell’antico Egitto. Tra l’altro il Museo Egizio di Torino conserva alcuni degli strumenti che venivano usati per realizzare quelle plissettature. Certo è che entrambi però hanno utilizzato questa tecnica in modo assolutamente personale e a modo loro con questa tecnica hanno proiettato un pezzo di storia della moda nel futuro.
Gli abiti di Issey Miyake, come lui stesso li definisce, sono semplici oggetti, creati per coprire, assecondare i movimenti, viaggiare, accompagnare il corpo e farlo respirare. Macchine per vestire, in definitiva puro design. Per questo sono intramontabili. Si può persino dire che non si tratta nemmeno più di moda.
Un risultato chiaramente difficilissimo da ottenere, un fatto di costume, che arriva là dove la moda non riesce ad arrivare. Ed è per questo, credo, che donne diversissime li indossano costantemente e nelle occasioni più disparate, dimenticandosi persino di sceglierli. Quasi una seconda pelle.
Questa stessa sensazione ha fatto si che il coreografo William Forsythe li scegliesse per i suoi ballerini. Qualcuno dice anzi che siano nati proprio con questo intento, io credo che questa sia stata una delle innumerevoli ispirazioni.
Del catalogo di cui ho parlato sopra, illuminanti sono le immagini in cui popoli di varie parti del mondo indossano gli abiti di Miyake: Africa, India, Cina.. Non si avverte alcun artificio, quegli abiti si inseriscono perfettamente nel paesaggio e sulle anatomie di quei corpi. Sembrerebbe quasi una magia, in realtà è solo quello che fa il vero design, quando cioè raggiunge il suo scopo: soddisfare un’esigenza. Gli abiti di Pleats Please si prestano a svariate interpretazioni, sono come tele su cui ognuno può scrivere la sua storia, ma alla fine sono comodissimi e funzionali pezzi di stoffa.