Dalla parte dell’alchimista (quando la moda è ricerca).

Bello.

Si chiama Vanessa Schindler, è svizzera, ha 29 anni ed è stata la vincitrice del Festival di Hyères.  La caratteristica che ha reso subito unico il suo lavoro, è la capacità di sperimentare con i materiali e grazie a questo anche con le forme.

Si è inventata una tecnica, ha provato e riprovato per anni e infine ha ottenuto qualcosa che non si era ancora mai visto. Quindi quando vi dicono che ormai tutto è stato inventato, non credetegli.

Vanessa ha scovato una sostanza che si chiama uretano polimero fluido che trattata a dovere si può spalmare sui tessuti inglobandoli, unendoli e creando effetti di luce sorprendenti.

Lei dice: “Ci è voluto del tempo, ma è il modo migliore per ottenere dei risultati. La moda va troppo veloce, a volte mi fa paura”.

Un piccolo appunto per tutti quelli che pensano che correre sia l’unica risposta.

La storia infinita.

iris van herpen

Il video:

http://www.refinery29.com/2016/07/115869/iris-van-herpen-fw16-visionaire-video

 

Bello.

Iris Van Herpen dimostra come il futuro è fatto ancora di mani che si muovono, pensano e creano. E che senza quelle mani, tutta questa magia di visione, tecnica e inventiva non sarebbe possibile.

Spider Dress.

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Bello?

E’ una designer di Vienna e si chiama Anouk Wipprecht e fa parte di quel gruppo di creatori di moda che utilizzano la tecnologia alla ricerca di nuove strade.  Sperimentando, mischiando competenze, utilizzando metodi e materiali lontani da quelli classici.

I suoi sono abiti robotici, dotati cioè di sensori che interagiscono non solo con chi li indossa, ma anche con l’ambiente circostante e quindi, in situazioni di pericolo, assumono posizioni di difesa e di attacco.

Sono abiti realizzati con stampanti in 3D di ultima generazione, ispirati alla morfologia dei  ragni. I sensori (20 in tutto) si basano sul ritmo del respiro e sul livello di stress di chi li indossa, in modo che in situazioni particolari, gli arti meccanici che li compongono, si raggomitolano o si estendono, imitando appunto i movimenti dei ragni.

Sconsigliati per coloro che soffrissero di fobia per questi insetti, effettivamente sono abiti che mostrano un aspetto ben poco rassicurante e quei lunghi artigli si immaginano anche piuttosto pericolosi.  In realtà, sono abiti in grado anche di mostrare un atteggiamento rassicurante, in condizioni pacifiche, con movimenti lenti che “invitano” al contatto.

Per ora si tratta di prototipi, ma non faccio fatica ad immaginare un loro utilizzo in un prossimo futuro. Chissà che non possano rendere più sicura la vita delle donne..

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ph.News&Events Turin

 

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ph. Renato Valterza

 

Bello.

Tre abiti, tre secoli di moda: 700′, 800′, 900′.

Tre colori evocativi, abbinati ciascuno a un’epoca: rosso, bianco e blu.

Una interpretazione contemporanea della storia della moda attraverso forme e segni ad opera della stilista Adriana Delfino.

Una collaborazione inedita con un artista, Andrea Massaioli: un dialogo tra visionari.

300 LED e il supporto di un tecnico informatico per raccontare attraverso la luce la comune idea del futuro.

Immagini dal backstage:

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Stop.

 

Ho una poesia per la testa.

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gabriela ligenza

Bello.

La stampa 3D è ormai un fatto. C’è chi la utilizza per collezioni di alta moda, chi realizza gioielli e complementi di arredo.. Ed è chiaro a questo punto che le frontiere della sperimentazione e della fantasia sono spalancate.

Un bell’esempio sono questi cappelli. I primi due disegnati dal designer belga Elvis Pompilio per MGX, riproducono una veletta e il classico Borsalino. Tra l’altro se passate da Bruxelles non mancate di visitare il negozio di questo cappellaio, che è coloratissimo e divertente.

Il terzo cappello è della polacca Gabriela Ligenza e si chiama Poem e riproduce una poesia di John Tessimond: Day Dream, pensato per il giorno del matrimonio. Un altro bell’esempio di poesia e tecnologia che si danno la mano.

Come dire che le macchine non sempre sono senz’anima.

Visionari. 4

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Bello.

Si chiama Daan Roosegaarde, è olandese, ha 35 anni ma ne dimostra molti di meno. E’ stato definito genio eclettico, ma lui dice di sentirsi un ‘tecno-poeta’.  Adora la velocità e mette in cantiere progetti a un ritmo vorticoso, progetti tanto visionari quanto credibili e persino utili.

E’ un artista ma anche un designer e a chi pensa che le due cose non possano coesistere invito a guardare le sue opere: sculture che interagiscono con il suono e il movimento e che possono servire a rendere più sicura una strada poco frequentata. Pareti formate da miriadi di piccoli ventilatori che creano l’effetto del vento e si mettono in moto al passaggio o al movimento dei visitatori, che possono rinfrescare ambienti troppo caldi come discoteche o ospedali.

Daan dice di essere più interessato all’aspetto umano della ricerca piuttosto che alla tecnologia, di cui comunque non potrebbe fare a meno. E per spiegarlo utilizza un’immagine suggestiva: la scultura statica è come il vento chiuso in una bottiglia, non è più vento.

Nel suo progetto Intimacy si occupa anche di abiti, realizzati con pelle e fogli elettronici ricettivi ai cambiamenti fisiologici di chi li indossa: calore e battiti cardiaci. Abiti che diventano trasparenti quando le emozioni si fanno forti, abiti che mettono a nudo l’intimità.

Questo è uno dei rarissimi casi in cui fatico davvero a trovare il confine tra arte e scienza. Sarà per questo che è stato definito anche un Leonardo dei nostri giorni?

Come il vento del Nord.

Yvonne Laufer 2

Yvonne Laufer 3

Yvonne Laufer 1Bello.

Si chiama Yvonne Laufer la designer danese di questa collezione intitolata Void.  Il vuoto è il tema intorno a cui sono elaborati tutti gli abiti.  Il vuoto, concetto astratto per eccellenza, anzi potremmo dire per assenza.  Eppure dal vuoto Yvonne pesca una incredibile varietà di possibilità. Lei lo chiama ‘spazio negativo’ e sembra realmente affascinata dalla non-materia, fino al punto di calarsi nei panni di una provetta scienziata e procedere per sperimentazioni, attraverso tagli al laser ed innesti di materiali opposti.

L’esplorazione procede fino ai confini tra forma e non-forma, fino all’interno dei tagli, dove, come nei buchi neri, è più percepibile quel vuoto difficile da raccontare.

I colori creano una sensazione di apparente immobilità. Solo apparente, perché in realtà negli spazi creati dai tagli si intuisce che l’aria non fa fatica a circolare. Così come il vento delle idee, che soffia con vigore dove c’è fermento.

Abiti come incontri del terzo tipo.

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Bello.

Neri Oxman è una scienziata/architetto israeliana definita uno dei 20 talenti che cambieranno il mondo.

Neri ha progettato stampanti in 3D che lavorano riproducendo l’effetto della pelle umana, che è sempre la stessa ma ha caratteristiche differenti in base alla zona in cui è situata. Così le sue stampanti mescolano più sostanze acriliche e le depositano a densità variabile, permettendo in questo modo di ottenere superfici continue ma con caratteristiche fisiche diverse.

Con questa tecnologia sono stati già realizzati oggetti di design, tra cui anche abiti.  Iris van Herpen è la stilista che per prima ha sperimentato le possibilità di queste stampanti per la sua linea di haute couture Voltage. Chi se non lei, che combina magicamente le tecniche di alto artigianato con le tecnologie futuristiche?

La stilista olandese spiega che la sua ricerca ha molto a che fare con il movimento e con la bellezza. Due termini imprescindibili quando si parla di abiti, ma non così scontati, a ben vedere: ci sono abiti fatti per essere guardati, ma scomodissimi da indossare, così come ci sono abiti sicuramente comodi, ma indubbiamente brutti.

La riuscita degli abiti di Iris van Herpen credo debba molto alla  coesistenza di due visioni e competenze differenti ma complementari. D’altronde è la stessa Oxman che ammette: la forma estetica nel mio lavoro non conta nulla.

Le possibilità della tecnologia sperimentata con queste stampanti sono ancora tutte da esplorare e aprono scenari affascinanti per la moda. Già si prova a realizzare strutture che imitano la tessitura dei bachi da seta: abiti come bozzoli che si adattano al corpo.

Come al solito è bello notare che la tecnologia imita la natura e che la natura ha praticamente già inventato tutto.