La pretty woman by Saint Laurent.

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Bello?

Saint Laurent disegnato da Hedi Slimane ha appena sfilato a Parigi con la collezione per l’autunno/inverno 2015-16.

Come al solito i pareri sono discordanti e siccome il trucco ormai è scoperto, capiamo bene che questo gioca a favore, e non poco, dello spettacolo e quindi della visibilità.  I furbetti del marketing, d’altra parte, cavalcano l’onda già da varie stagioni.

Slimane, ancora una volta, prende i capisaldi della moda di Yves -l’animalier, lo smoking, il nude look- e dopo averli masticati per benino e ridotti in pezzetti che erroneamente potrebbero sembrare stracci, li rimanda in passerella.

Il suo punto di riferimento rimane la musica, certa musica: un po’ grunge, un po’ rock, un po’ elettro, un po’ punk. Le sue donne giocano a fare le maledette, assumendo pose e mood da passeggiatrici metropolitane. Tentano l’impresa un po’ ridicola di mettere insieme volgarità e una sfatta raffinatezza; si auto-candidano a divenire le dandies del futuro.  Peccato che quelle calze smagliate (a dire il vero persino troppo) ricordino invece un’estetica anni ’70/’80 già notevolmente celebrata (da Blade Runner a Madonna..).

Ma è proprio questo il bello: la scusa è che non c’è più niente da inventare, c’è solo da assemblare.

Non dubito che i vari pezzi di questa collezione, presi singolarmente, possano risultare efficaci, si tratta pur sempre di classici, a ben vedere. E’ l’insieme che sfiora leggermente la caricatura, come se lo stilista volesse farci credere che realmente dietro a questi outfit ci sia un pensiero nuovo di zecca.

YSL – non basta un film.

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Brutto?

Aspettavo con una certa impazienza di vedere il film Yves Saint Laurent di Jalil Lespert e il motivo è sempre il solito: su di lui non si sa mai abbastanza. Inutile girarci intorno, si tratta di una delle figure più complesse e sfuggenti che hanno costruito la storia della moda.

Il film l’ho visto la settimana scorsa, ma ho avuto bisogno di un po’ di tempo per riflettere a mente fredda, anche perché confesso che per alcuni giorni la figura del couturier mi ha seguito in modo quasi ossessivo e mi sono chiesta se fosse solo suggestione o se fosse realmente merito del film.  Ecco, il film.. No, non penso sia un brutto film, però molte sono le obiezioni che mi sento di fare.

Purtroppo, per quanto mi riguarda, il film non aggiunge nulla al già conosciuto e quindi personalmente si è risolto come la visione di un film d’amore senza alcuno spunto documentaristico. La pellicola avrebbe potuto, a buon ragione, intitolarsi YSL racontées par Pierre Bergè, tanto preponderante è la presenza del compagno di una vita di Yves in tutta l’operazione. Presenza salvifica, a detta dello stesso Bergè, ma contemporaneamente anche fin troppo autocelebrativa.

Gli abiti ci sono, certo, e a quanto pare si tratta persino degli originali, ma questo non basta. Grande assente è il percorso creativo, la costruzione di uno stile unico e in alcuni momenti addirittura rivoluzionario nell’ambito della moda. Nel film ci sono buchi temporali inammissibili, proprio quelli che spiegherebbero i punti di arrivo del couturier. Certo in 106 minuti non sarebbe stato possibile raccontare tutto, va però detto che la trama invece si incanta a lungo su vicende personali più adatte al genere fiction che a quello di un film biografico.

E’ il classico limite di quasi tutti i film che raccontano la vita e l’opera di grandi creatori di moda, pensiamo solo alla sfilza di film inutili su Chanel..

L’operazione ha un sapore struggente, certo non estraneo alla realtà, ma appare più come un drammone ad uso e consumo di un certo voyeurismo chic, piuttosto che il tentativo del racconto significativo di una vita e una carriera eccezionali.  Per chi sapesse poco o nulla di YSL può risultare comunque un buon inizio per cercare poi fonti più significative.

Per tutti gli altri: peccato, speriamo nei prossimi film in cui la presenza (e l’approvazione) di Bergè è meno ingombrante.

Visionari. 1

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Bello.

Serge Lutens appartiene senz’altro alla categoria dei visionari, coloro che non hanno bisogno di descriversi per raccontare la personalissima idea di bellezza, basta ciò che creano.  Eppure una qualche descrizione alla fine l’ha fornita lui stesso:

La bellezza odia le regole.  L’unica regola dell’arte è non avere regole per dare vita alla belezza.

Beauty hates rules. The only rule of art is not to have rule to give life to beauty.

Molti conoscono e apprezzano Lutens come profumiere raffinatissimo (per anni ho amato i suoi Fleurs d’oranger e Datura noir), ma nella sua biografia c’è molto di più: ha lavorato a lungo per Vogue Francia e per Dior. Diana Vreeland lo definiva ‘rivoluzionario’. Ha lavorato a fianco di fotografi mitici come Avedon, Richardson e Penn e da loro deve aver appreso la tecnica che ha poi messo al servizio delle sue visioni in immagini, esposte anche al Guggenheim di New York.

Ha girato cortometraggi indimenticabili, vincendo due Leoni d’oro a Cannes.  Le sue immagini per le campagne pubblicitarie di Shiseido hanno accompagnato la mia adolescenza facendomi sognare e distinguendosi da tutte le altre. Così avanti, così fuori dagli schemi per quelle donne androgine e stilizzate come fumetti.

La sua idea di bellezza assomiglia a quei distillati di essenze pure di cui è maestro nell’arte della profumeria: poche gocce che racchiudono un mondo, una filosofia.

Anche lui, come già fece Yves Saint Laurent, ha fatto di Marrakech la sua casa. Per chi ha visitato la città, non è difficile capire il perché: la città dove gli odori si uniscono ai colori.

La sua ultima creazione è un’acqua, l’Eau Serge Lutens, come dire tornare al principio; il riassunto olfattivo in cui tutto si dissolve.