I’m an absolute beginner.

 

Brutto.

Il marchio Redemption debutta a Parigi nell’alta moda per la stagione primavera estate 2017 ed io non posso fare a meno di chiedermi perchè?

Come mai un milanese appassionato di biker che pochi anni fa faceva il fotografo e prima ancora si occupava di finanza, decide non solo di diventare un designer, ma addirittura di dedicarsi all’alta moda?

Lui lo dice, e si vede, che di moda ne sa poco. Si vede dall’uso di tutto quel tessuto, di tutti quei volumi e poi un vedo-non vedo talmente abusato che non merita nemmeno un secondo sguardo. Escamotages usati da chiunque immagini che couture sia sinonimo di abbondanza, piuttosto che di sottigliezze, di ricerca sopraffina, di tecnica spericolata e precisa. L’alta moda è il gradino più alto e arrivarci saltando tutti gli altri gradini può essere molto rischioso, a meno di essere veri geni.  L’abbondanza può avere un senso se alla base c’è una visione innovativa. Ma sono innovativi quegli strascichi? E la pelle con le borchie? E i fiocchi al collo?

Tutto questo l’ho già visto più e più volte; non lo definirei vecchio, piuttosto abusato, che è un modo gentile per dire che non ne avevamo bisogno, che è l’ennesima visione personale che non aggiunge una virgola al presente, per non parlare del futuro…

Non è una colpa essere un absolute beginner, anzi, per certi versi la pulizia di partenza potrebbe consentire addirittura una marcia in più. E’ una colpa però pensare che per inventare abiti basti questo.

 

La fretta (2).

panier

Brutto.

Sono convinta che la moda sia rimasta legata a una visione settecentesca in fatto di qualità e valore. Non dico che non ci siano state esperienze veramente innovative, ma ciononostante l’intero comparto vive e si muove ancora con quel concetto che recita più o meno così: il lusso è abbondanza.

Ne ho la conferma ogni volta che osservo le spinte centrifughe che orientano i grossi gruppi; la velocità che ormai è l’unico mantra: velocità = novità.  L’affanno generale è sempre quello di sfornare più pezzi, per soddisfare desideri che nessuno più sa nemmeno di avere. D’altra parte il desiderio ha soppiantato il bisogno, non è vero? Allo stesso tempo però quel desiderio dura solo un attimo, perché il mercato si affretta a soddisfarlo ancora più velocemente.

La quantità di vestiti e accessori prodotti in tempi sempre più corti provoca qualche conseguenza, che generalmente non sembra preoccupare molto, ma invece credo che dovrebbe farci riflettere.  Ritorniamo al tema del desiderio: smettere di desiderare significa anche smettere di immaginare, svuotare di significati allegorici e personali gli oggetti o le azioni. Ogni desiderio è in fondo uno stimolo per la creatività e la spinta verso il futuro, l’opportunità di creare delle occasioni. Insomma potremmo paragonare il desiderio alla miccia che innesca l’incendio.

Non possiamo stupirci allora se una massa di bulimici ha smesso di immaginare e viaggia con la testa immersa in una realtà virtuale sempre più invasiva.

In tema di abbigliamento, cosa fanno i grandi marchi? Rilanciano la posta creando l’ennesima collezione quasi in tempo reale o trasformano il mondo in una passerella globale, che sia Cuba o Rio fa lo stesso, purchè desti l’attenzione mediatica di qualche giorno.

L’abbondanza prima di tutto. Nel settecento o giù di lì riguardava i metri di tessuto, i ricchi ricami e le forme via via più ingombranti; oggi riguarda la velocità e la smania di essere presenti, pervasivi, convincenti.

Abbondare in follower, in passaggi sui social, in scatti condivisi, notizie, pubblicità, eventi.

In tutto questo delirio di onnipresenza che fine hanno fatto gli abiti, da cui tutto è scaturito?  Molti, anzi moltissimi sono finiti negli outlet, nei mercati o nelle discariche, qualcuno in armadi che non ne avvertivano la mancanza.

Che fine hanno fatto gli stilisti lo sappiamo bene.