Bye bye Tom!

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Bello?

Caro Tom (Ford),

i tuoi occhiali da sole mi piacevano un sacco. Li avevo scelti con cura e senza badare a spese; si sa, le cose belle costano.  Però si sono rotti in un niente e non per mia incuria o disattenzione, perché non sono una sventata e le cose sono abituata a trattarle con cura.

Quindi io adesso torno a questo mio vecchio amore, che non porta un nome noto come il tuo, ma è perfetto da almeno 15 anni. E a proposito del nome, il suo non è affatto male: Les Mervelleuses.. E’ un occhiale divertente, che non guasta mai, e mi sembra che il suo creatore ci avesse visto lungo, tanto che non è fuori moda neppure oggi.

Nostàlgia.

veletta 1

veletta 2

Myrna Loy, 1932

veletta 3

Agnes Ayres, anni ’20

veletta 4

Bello.

Lo so, farò la solita figura di quella un po’ retrò, anzi proprio vecchia (come dice spesso mio figlio!), ma io adoro le velette. Confesso di averne anche una piccola collezione, che raramente sfoggio: mi sentirei troppo osservata.

Però amerei possedere un pizzico di esibizionismo in più per potermene fregare degli sguardi della gente e con nonchalance andarmene in giro con il volto velato. Cosa che tra l’altro funziona meglio di Photoshop!

Le ultime sfilate hanno riproposto questo accessorio, appoggiandolo persino su berretti di lana. Io però continuo a preferirlo nel modo più classico: con piccoli cappelli o semplici acconciature.

Non si può, né si deve, secondo me, snaturare un concetto così affascinante come quello del mistero. La veletta, che mette una distanza effimera eppure efficace tra sé e il mondo, rimane per me l’oggetto del sogno. La rappresentazione bellissima di una moda che se ne infischia di necessità e velocità.  Lontana anni luce da questo tempo, vicinissima però al concetto più puro di moda.

Free like a bird.

fendi 1

fendi 2

Bello.

Dell’ultima collezione di Fendi per l’autunno inverno 2015-16, disegnata dall’eterno Karl Lagerfeld, si possono apprezzare la coerenza nel tempo, la chiarezza del concetto, la pulizia tecnica, immagino anche la vestibilità (almeno così mi sembra).

Tutte cose non geniali, si dirà, ma in ogni caso che contano.

Ma il particolare che ha attratto la mia attenzione, e non poco, è quel punto di arancio, sottolineato dalle sterlizie che spuntavano dalle borse. Non è il mio fiore preferito, quindi non è questo il motivo.

Il vero motivo sono le parole di Lagerfeld per spiegare questa scelta:

“To be free in a dangerous world”.

Improvvisamente ho capito il senso dell’intera collezione e ora per me quel colore ha assunto un significato nuovo, così come la forma di quel fiore, che assomiglia tanto ad un uccello dalle piume colorate con colori aggressivi.

Questo è il lato della moda che mi fa sognare.

Lusso 1

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Bello.

Un termine su cui chi si interessa di moda, come me, non può evitare di riflettere costantemente, è quello del lusso.  L’etimologia della parola è meno scontata di quanto si potrebbe immaginare: non deriva da lux (luce), quanto piuttosto da luxus (slogato, fuori posto).

Possiamo immaginare che il fuori posto si riferisca allo stupore che provoca il lusso, mettendo fuori dalla norma tutto ciò su cui si posa.

Tralasciando studi etimologici e rimandi storici, che altri hanno trattato ampiamente e meglio di me, la mia intenzione è quella di osservare da vicino le declinazioni di lusso strettamente personali, a cominciare dalla mia.

Lussi privati quindi, non necessariamente dispendiosi. Non penso sia la quantità di denaro speso a decretare l’appartenenza alla categoria: lusso non è sfarzo e nemmeno ostentazione.

Il lusso per me corrisponde a rarità, talvolta unicità, qualcosa che non si possa riprodurre senza mutarne sostanzialmente l’essenza.

Piccoli lussi privati dicevo, come l’uso di sottovesti di seta vintage al posto dei pigiami. Il lusso è nei dettagli, tutti realizzati a mano, ma il lusso è anche nell’utilizzo, che è quotidiano e rivolto a se stessi. In questo prende le distanze definitivamente dallo sfarzo.

Il lusso come una forma di amore verso se stessi.

Storie di donne e di moda – Palazzo Madama, Torino

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Bello.

Che cos’è un abito, un accessorio se non una fonte di ricordi? E’ quella macchina del tempo che ci rimanda a come eravamo in un momento preciso del nostro passato; racconta più di una foto, perché lo abbiamo portato sulla pelle, perché la sua tridimensionalità lo rende concreto.

Da queste suggestioni nasce il progetto di Palazzo Madama, Torino: Torino un secolo di moda. Di questo progetto fa parte la mostra inaugurata ieri e visitabile fino al 18 gennaio 2015, Affetti Personali – Storie di donne e di moda.

L’idea è proprio quella di creare una raccolta che parli di storia della moda attraverso gli oggetti donati dalle torinesi che hanno vissuto personalmente, o per altre vie, quegli anni in cui la città era il luogo della moda italiana.

Attraverso un dono la propria storia diventa così storia di tutti e quindi patrimonio protetto, condiviso e tramandato. Le storie che accompagnano questi oggetti di moda sono state raccolte inoltre su video consultabili sul canale youtube di Palazzo Madama, in modo che anche il racconto orale, prezioso, non vada disperso.

Le donazioni comprendono anche fotografie e attrezzi dei mestieri della moda e permettono di far luce su eccellenze artigiane ormai scomparse, ma fondamentali per annodare i fili di una storia del made in Italy che ancora stenta a trovare una completa esposizione.

Immagino che questo progetto, piccolo ma significativo, sia un bel modo per muovere i primi passi verso la creazione di sedi museali che contemplino la moda e la sua storia come fenomeno culturale anche in Italia.  E chissà che altre città, considerate più glamorous in fatto di moda, non possano prendere spunto da questo esempio collettivo e gratuito.

Après moi le déluge..

jean paul gaultier

Bello?

Jean Paul Gaultier non ci sta più.

Ritmi troppo incalzanti, business che strangola la creatività.. Questa, che sarà presentata il 27 Settembre a Parigi, sarà la sua ultima collezione di pret-à-porter, l’ultima dopo 38 anni.  Monsieur Gaultier -che ha ormai smesso i panni di enfant terrible per ragioni anagrafiche- si dedicherà solo all’alta moda, agli accessori e ai profumi.

Che sia un segnale? Il pret-à-porter è morto?  Lo si diceva anche dell’alta moda e non ci hanno preso affatto..  Certo è innegabile che sempre più prende piede questa nuova commistione tra i due comparti, che è stata giustamente (e incoerentemente) chiamata pret-à-couture.  Ma mi chiedo se abbiano ancora senso i costi del pret-à-porter quando la grande distribuzione smercia collezioni copiate in tempo reale e a costi nettamente inferiori. E vogliamo parlare della qualità? E’ il pronto moda che ha alzato i propri standard o è il pret-à-porter che ha abbassato i suoi per tentare di realizzare l’algoritmo perfetto che permetta di sostenere i costi ingenti del baraccone (pubblicità, sfilate, distribuzione, ecc.) e mantenere un margine di guadagno?

In ogni caso Gaultier deve aver fatto bene i suoi conti, e con lui il gruppo che lo sostiene, altrimenti non si spiega.

Se la barca affonda, lui non ci sarà.  Oppure passerà per quello coerente che decide di fare solo ciò che gli piace di più.

Tanto lo sappiamo tutti che a far cassa oggi sono prevalentemente gli accessori e i profumi..

Save gLOVE.

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Bello.

Lo so, le sfilate stagionali imperversano ormai da alcuni giorni, ma io confesso che finora me ne sono altamente infischiata. Mica per posa, è che ancora non mi va. Lascio ai giornalisti di professione l’incombenza di stare sempre sul pezzo. Questo è il bello di non avere padroni, almeno per quanto riguarda la scrittura.

Invece mi concentro su un accessorio che mi piace da sempre: i guanti. Quelli in foto fanno parte della mia piccola collezione. Mi sono stati perlopiù regalati e questo me li rende ancora più cari.

Comincio ricordando un paio di lunghissimi guanti di capretto bianco immacolato, prestatimi dalla moglie di un ex-ambasciatore per partecipare a una festa anni ’20 (erano i primi anni ’90). Passai la serata senza toccare cibo: non volevo togliere dalle mani e dalle braccia quella meraviglia di pelle sottilissima, ma nemmeno rischiare di sporcarli. Finì che uscii dalla festa un poco malferma sui tacchi dopo vari cocktail a stomaco vuoto..

Ho sempre trovato affascinante il gesto di sfilarsi i guanti dalle dita. E’ in fondo un poco come mettersi a nudo. Le mani sono una porzione di corpo che parla per noi così tanto, attraverso la forma, la gestualità, l’uso che ne facciamo. Rita Hayworth in Gilda con il gesto di sfilarsi i lunghi guanti di satin nero ha creato lo stereotipo della sensualità. Inarrivabile, più di innumerevoli spogliarelli.

Non mi piacciono i guanti di lana, anche se li uso per praticità. Trovo che nascondano il carattere delle mani, sono un accessorio del tutto privo di personalità. In più la confezione del guanto di lana non ha nulla a che vedere con il vero rito della manifattura di quelli in pelle o tessuto. I dandy dell”800 per realizzare i loro guanti si affidavano a due artigiani differenti: uno che confezionava solo il pollice, mentre l’altro si occupava di tutto il resto. In un famoso libro di Philip Roth –Pastorale americana- c’è un intero capitolo che racconta le complesse fasi di lavorazione dei guanti. E’ un capitolo che naturalmente ho adorato e letto più volte; è come un libro nel libro per me.

Ultimamente è stato aperto, proprio in una zona abbastanza centrale della mia città, un negozio che vende solo guanti, sembra faccia parte addirittura di una catena. Un giorno sono rimasta incantata a guardare le vetrine perché oltre ad alcuni antichi strumenti per la confezione, veniva trasmesso un video che documentava i gesti sapienti di un guantaio.

In fondo cosa rappresentano i guanti, se non il desiderio di mantenere celata una parte molto privata di noi? Di questi tempi, mi sembra una bella cosa che si torni a voler nascondere dopo che è stato svelato praticamente tutto.