Dior in bianco e nero.

 

 

Bello.

Christian Dior alta moda primavera estate 2018.

Dal Surrealismo al sogno in bianco e nero, da Leonor Fini all’illusione ottica.

Non ho dubbi, l’impronta femminile su questa collezione è potente e la si scorge in ogni dettaglio. A volte non c’è bisogno di colori per spiegare un sogno. Ma d’altra parte bianco e nero hanno mille sfumature.

My birthday diary.

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Bello.

Ho imparato, soprattutto di recente, che i momenti felici vanno vissuti intensamente perchè rimangono per sempre. Sono come piccolissime isole che possiamo visitare ogni volta che ne sentiamo il bisogno.

Questo è stato il giorno del mio compleanno e lo conserverò con cura, insieme a tutti gli altri: il mio atollo personale e pefetto.

Piove. Vestiti, usciamo.

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Bello.

Il cielo è scuro e la luce che entra dalle finestre è così scarsa da attutire ogni colore.  Cade pioggia ormai da due giorni ed è impegnativo scovare l’energia per vestirsi e affrontare la città.

Ma domani è il mio compleanno e avrò voglia di mangiare cibo speziato. Ho cercato il miglior ristorante indiano della città e prenotato. Mi servirà qualcosa da indossare per scacciare i malumori del maltempo.  Cerco qualche suggestione e mi viene incontro Paul Poiret, con i suoi colori come “robusti lupi gettati nell’ovile”.

Non potrei mai permettermi questo abito, nemmeno se sapessi dove trovarlo, ma mi fa bene vedere un esempio di ciò che vorrei.  Non copierò quest’abito: non è accettabile accontentarsi di una copia. Sceglierò qualcosa che me lo ricordi per associazione di idee e non per aspetto.  Non riempirò il mio armadio con un altro abito: ho fatto un patto con me stessa.

Un abito può contenere un buon proposito, un’idea. Può essere un amore platonico.

Jesus Del Pozo: da Balenciaga al minimalismo.

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1988

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1999

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Bello.

Prendendo spunto dal post precedente e dal commento di un amico, sono andata a rispolverare un po’ di storia passata riguardo a Delpozo e precisamente sul suo fondatore: Jesus Del Pozo, morto nel 2011.

Del Pozo era nato a Madrid e nel suo stile erano presenti tutte le caratteristiche tipiche di quell’origine. Più di tutte l’eredità di un grande come Christobal Balenciaga, riconoscibile nell’attitudine tridimensionale, così vicina all’architettura e a trattare il tessuto come un elemento da plasmare, più che da tagliare.

Rispetto a Balenciaga, si può riconoscere una naturale distanza generazionale e la conseguente inclinazione verso tagli più minimalisti, più vicini agli anni ’80/’90.

Rimane oggi, nell’eredità ricevuta dal direttore creativo del marchio (Josep Font) la ricerca nei volumi, resa più evidente da materiali pieni, se non quasi gonfi.

E poi la grande impronta poetica, rinnovata e rimodernata, nei colori tenui o saturi, mai scontati, così come nelle decorazioni.

Del Pozo amava lavorare personalmente sugli abiti (anche in questo si riconosce il suo legame con Balenciaga); i suoi abiti trasmettono il piacere della sperimentazione, della manipolazione della materia e quindi quell’atteggiamento verso il mestiere che lo rende molto più di un semplice lavoro.  Piuttosto un’inclinazione imprescindibile.

Robert Piguet:la semplificazione del lusso.

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1930

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1940

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1951

 

Bello.

Robert Piguet era svizzero di origine, ma, negli anni trenta e anche dopo, veniva definito come lo stilista più parigino dei parigini.

La sua è una storia lineare: una vocazione precoce, il trasferimento a Parigi, l’apprendistato presso importanti case di moda. Poi l’apertura della propria maison, il successo.  Coniugava con il suo stile due insegnamenti (solo) apparentemente inconciliabili: l’uso del colore opulento appreso da Poiret e la semplificazione e funzionalità appresi da Redfern.

La selezione delle immagini relative alle sue creazioni, mi ha portato a scegliere questi esempi che mi sono sembrati subito notevoli. Si riconosce un approccio singolare, l’uso di tagli sperimentali per quegli anni. A me pare di cogliere anche un sincero amore per il mestiere, che si confermò con la presa di posizione durante l’occupazione nazista a Parigi: così come altre case di moda, si rifiutò di portare la sua moda a Berlino.

Quello che apprezzo in questi abiti è la semplificazione del lusso. La mano del couturier è innegabile, ma dietro si intuisce la presenza del designer. Un passo avanti non indifferente.

Nella biografia di Piguet sembra non esserci spazio per il narcisismo che affligge e affliggeva molti couturier: lasciò grande spazio ai giovani collaboratori, formandoli e accogliendo le loro idee.  Collaboratori come Dior, Hubert de Givenchy, Balmain.

Ogni volta che mi avvicino a questi grandi nomi provo a immaginare cosa sia stato per loro il cambiamento radicale di prospettiva creato dalla guerra. Credo che ci sia voluto uno sforzo di volontà notevole per continuare a pensare alla bellezza in un mondo piombato nel lutto.

Piguet si spense nel 1953. Nel 1951 aveva chiuso l’attività, in fondo lavorò fino quasi alla fine.  La dedizione al mestiere è il tratto che ritrovo in tutta questa generazione di creatori di moda. Una cosa semplice, lineare, un valore che ottimisticamente credo che diventerà di nuovo di moda.

Let’s dance!

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Bello.

Oggi compio 112 anni e sto una meraviglia.

Tra qualche minuto indosserò una tuta da ginnastica e la giacca a vento verde smeraldo e andrò a fare una corsetta al parco.

Poi aprirò le ante del mio guardaroba e sceglierò un vestito che mi assomigli tanto da confondersi con il colore della mia pelle: un rosa antico appena appena scaldato da una punta di ambra.  Trovo assolutamente confortante la sensazione di diventare quasi trasparente e al tempo stesso un punto esclamativo di se stessi.

In tutti questi anni e compleanni ho riflettuto sul potere che hanno su di me i vestiti che metto e tolgo continuamente. A volte dimentico di averli addosso, mi seguono docili e servili. Diventano ininfluenti.  Non è il loro lato migliore.

Preferisco quando mi obbligano a una silenziosa battaglia: io che mi divincolo un po’ e loro che mantengono ferma la posizione di consistenza e volume.  Mi invitano ad assumere forme che non avevo preso in considerazione, smuovono la mia testardaggine.  In fondo a che servirebbe rimanere ancorati a una perenne sicurezza?

Immagino che debbano pensarla così le signore che amano esagerare con tutti quegli addobbi e colori sgargianti, aggiungendone ancora e ancora con il passare del tempo.  Per me però non funziona allo stesso modo.  Il tempo che stratifica in realtà mi ha un po’ stancato.  La tentazione di abbandonare tutto quell’accumulo è sempre più forte e caparbiamente vado alla ricerca di un miele che sia il più limpido e scivoli sulla lingua na-tu-ral-men-te.

Oggi gli abiti che mi assomigliano quasi non esistono. Credo che nemmeno io saprei pensarli e cucirli. Allo stesso modo il profumo: lo cerco da sempre, ma mi sono arresa. Semplicemente non esiste.

E se esistessero, allora sarebbe un peccato trovarli già ora, alla mia tenera età. E’ un piacere ancora cercare e sperimentare i colori e i tessuti e le infinite combinazioni di questa cosa che si chiama moda.

Sensible colors.

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Christian Dior, 1948 –pink

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Paul Poiret, about 1915 –yellow

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Meadham Kirchoff, 2012 –pastel

Bello.

Al V&A di Londra mi hanno incantato soprattutto i colori e il loro variare nel tempo.

C’è sicuramente un motivo per cui mi sono soffermata su questi tre particolari: tre tempi, tre atmosfere, tre stili, tre sentimenti cromatici.

Il pensiero democratico di big Walter: nuvole e bellezza.

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Bello.

La notizia non può che farmi gioire: big Walter, ossia il designer Walter Van Beirendonck (uno dei mitici Antwerp Six) collaborerà  con il mega-marchio Ikea. Il mio apprezzamento per questo designer è noto e ne ho parlato già più volte.

Non sarà l’unica collaborazione del marchio svedese con fashion designer, sono già stati annunciati due altri nomi: l’inglese Katie Eary e lo svedese Martin Bergstroem. Come si può notare dalla scelta dei nomi, non si tratta delle solite collaborazioni per sfruttare l’onda lunga di marchi super conosciuti, piuttosto sembrerebbe (e spero di non sbagliarmi) un esperimento di reale contaminazione creativa.

Lui spiega il suo punto di vista in questo video:

Io mi limito a testimoniare la mia impazienza. Visto il soggetto e visti i suoi gusti in fatto di stile, colori e provocazioni ironiche, non vedo l’ora. Purtroppo però mi toccherà aspettare fino a Giugno 2016.

Viktor & Rolf: vestire l’aria.

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Bello.

Non si può dire che io sia una fan di Viktor & Rolf, il loro massimalismo e alcune delle loro esternazioni qualche volta non mi hanno convinta affatto, però bisogna pur ammettere che quando si tratta di alta moda, tutto questo “iper” riesce a mettersi in sintonia con lo spirito della couture.

Rispetto ad altre maison i due ragazzi dimostrano di avere l’avventatezza necessaria per osare e infrangere parecchi limiti, compresi quelli dei confini dell’abito. Non hanno paura di lasciare a casa alcune regole e sperimentarne alcune nuove e decisamente interessanti.

Mi piace la scelta delle macro-fantasie, l’accostamento di colori in apparente (solo apparente) contrasto e quello spingersi a colonizzare l’aria, come se anche l’aria fosse parte di un outfit.  Mi piace lo sforzo di sperimentare un po’ sulle forme e di usare lo spirito bucolico in modo poco convenzionale.

A dirla tutta non mi piacciono i cappelli di paglia.

Land of nowhere.

2012 298

Bello.

Sono stata in luoghi in cui la luce era tutto. Sono poca cosa i vestiti senza la luce, perdono di consistenza, li si può solo immaginare.

D’estate basta poco: il bianco per esempio, oppure stampe sgargianti, una punta di eccesso. D’estate si possono tirar fuori diamanti e strass, tanto fa lo stesso. Basta che sia luce.

Qual era il colore di questa estate?  Non me ne preoccuperei, la luce li contiene tutti. La moda è fugace, ma mai quanto l’estate, di colpo è già ieri.

Mi fanno ridere le tristezze di post-estate, la tintarella trattenuta, le riunioni settembrine.  Il bello è che la luce cambia angolazione, ma non finisce.