

Bello.
Mi è capitata tra le mani questa bellissima seta vintage, con cui realizzerò un tubino su misura, e immediatamente ho pensato ai Ballets Russes di Djagilev.

Subito dopo, in automatico, mi è tornata in mente la descrizione della festa più spettacolare di tutti i tempi, quella tenutasi il 24 Giugno 1911 nel giardino della Maison Poiret: La Féte de la Mille et Deuxième Nuit (La Festa della Milleduesima Notte).
Nella sua autobiografia – Vestendo la Belle Époque – Paul Poiret fa una descrizione dettagliata di questo evento, che fu indimenticabile per tutti quelli che ebbero la fortuna di parteciparvi.
La descrizione prende intere pagine. Fu per il couturier, all’apice del successo, la realizzazione di un sogno personale, anzi la messa in scena della sua immaginazione più sfrenata: ‘Avevo riunito molti artisti e avevo messo i miei mezzi a loro disposizione per realizzare un insieme che nessuno aveva mai potuto creare fino ad allora..’
Durante la festa fu rappresentato un Oriente misterioso e idealizzato, in cui naturalmente il sultano assoluto era proprio lo stesso Poiret e la sua favorita la giovane e bellissima moglie, Denise Boulet.


Gli ospiti vennero forniti di abiti persiani autentici, per non rovinare l’atmosfera della festa. C’erano fontane che sembravano sorgere da tappeti antichi, c’erano cantastorie che raccontavano brani dalle Mille e una Notte, i viali erano cosparsi di sabbia del deserto e vi passeggiavano animali esotici.
“Alcuni alberi erano coperti di frutti luminosi blu scuri, altri portavano bacche luminose viola (…) In un angolo c’era la baracca della maga, che portava dei diamanti incastonati nei denti (…) Ed ecco il bar delle tenebre, in cui solo i liquori erano luminosi..”
Durante la festa le sorprese si susseguirono a un ritmo incalzante: danzatrici orientali, mercanti che inscenavano compra-vendite, un finto incendio culminato in fuochi d’artificio, suonatori di cetra, cuochi indù che preparavano cibi della loro cucina con ingredienti fatti arrivare per l’occasione. E poi incensi e mirra fatti bruciare da servitori di colore, piramidi di cuscini orientali, una gabbia dorata abitata da odalische..
Poiret non badò a spese, come al solito. Usò il suo denaro così come faceva con l’immaginazione: senza freni. Un uso magnifico e rischioso che lo portò dagli splendori della Belle Époque allo spegnersi solo e in miseria nel 1944. Non se ne accorse quasi nessuno, un solo giornalista era presente al suo funerale, Lucien François, e così scrisse:
“..un uomo non può, come Poiret ha fatto, dedicare la sua vita ad esaltare il prestigio del lusso in una città che vive di lusso e ne ricava tesori; un uomo non può, come Poiret, essere stato colui cui tanti artisti, sarti, industriali tessili, profumieri, devono indirettamente parte della loro fortuna; un uomo non può essere Poiret e morire in tale desolata miseria”.