No more angels in paradise.

jeremy scott

Brutto.

” Prima di arrivare qui (da Moschino) creavo poche collezioni l’anno. Ora non le conto più. Questa velocità, però, non la ritengo negativa perchè fa parte di questi tempi. Fare il designer è come essere un atleta: devi allenarti ogni giorno senza perdere il ritmo. Percheè se non lo fai sei fuori dal gioco”.

Questa una tra le varie dichiarazioni di Jeremy Scott, attuale direttore creativo di Moschino, forse il più populista tra gli stilisti (detto da lui).  Saltano all’occhio due parole immediatamente: velocità e gioco.

Sulla velocità molti paiono essere d’accordo sul fatto che non si possa far altro che adeguarsi alla tendenza generale e quindi correre a perdifiato tentando di superare i concorrenti. E qui entra in campo l’altra parola, il gioco. Perchè, a quanto pare, quel gioco sembra essere l’unica posta in palio per cui valga la pena partecipare.

Pur di restare nel gioco si è disposti a pagare qualunque prezzo. E’ così?

E’ probabile che il populismo sia una diretta conseguenza di questo atteggiamento: voler piacere a più persone possibili, essere sempre “sul pezzo”, produrre e consumare più oggetti ed esperienze possibili. Insomma essere disposti a diventare tout court un’ estensione del mercato, possiamo dire un prodotto del mercato stesso.

E non è proprio un caso se Scott, nel suo argomentare la propria politica di comunicazione, fa riferimento a Donald Trump, quello che la politica la fa davvero.

Dice che è quello il tipo di comunicazione perfetto: semplice, diretto, immediato. Probabilmente qualcosa che non faccia troppo pensare, un bel prodotto già pronto, facile da consumare senza indugi.

Sarebbe piaciuto tutto questo a Franco Moschino?  E’ sufficiente che il fatturato abbia un segno positivo per sorvolare su questioni accessorie come etica, contenuto, qualità, innovazione, significato…?

Forse le vere vittime di questo tipo di moda, non sono tanto le cosiddette fashion-victim, piuttosto tutti coloro che si adattano a un sistema che richiede mediocrità, che premia il più adattabile al livello medio. Forse in tutto questo si è perso di vista il tempo per pensare, che non è un tempo morto. La velocità se l’è fagocitato insieme al senso critico, che fa dire a uno stilista che la sua moda è populista, come se fosse un complimento.

E il guaio è che tutto questo sembri normale.

Giorgina e l’anima della moda.

giorgina

Bello.

Poco tempo fa ho avuto il piacere di fare una lunghissima chiacchierata con Giorgina Siviero, proprietaria e anima di San Carlo dal 1973, raffinato store e punto di riferimento della moda torinese. L’input è nato proprio da questo blog, che Giorgina ha scoperto e apprezzato, tanto da desiderare di incontrarmi personalmente (un atteggiamento di apertura e curiosità decisamente raro, soprattutto di questi tempi). La nostra conoscenza è iniziata in una sera di Luglio eccezionalmente fresca grazie a uno di quei temporali estivi che rendono l’aria e l’atmosfera così silenziose e sospese da apparire simili ad un acquerello appena steso. Il luogo perfetto è stato il ristorante Del Cambio, affacciato su una delle piazze torinesi più suggestive (piazza Carignano).

Tra una portata e l’altra io e Giorgina ci siamo raccontate di figli, libri, luoghi, ma soprattutto di moda. Ho trovato in lei l’interlocutrice ideale con cui scambiare opinioni e riflessioni su di un sistema che corre ormai alla velocità della luce: i suoi racconti e i suoi tantissimi preziosi ricordi mi hanno incantata e non vedo l’ora di ascoltarne ancora..

Ho riconosciuto nel suo approccio, quel sano senso critico che mi sforzo di infondere in questo blog.  Abbiamo inoltre sparso i primi semi per una collaborazione a un progetto che le sta particolarmente a cuore e che io trovo entusiasmante. Spero di poterlo raccontare a breve.

In seguito, approfittando della sua lunga esperienza sul campo, le ho proposto una breve intervista su moda e dintorni e lei, con la spontaneità e l’understatement  che la distinguono, ha accettato:

Come definiresti il tuo essere “against-fashion”?

“Premetto che io sono contro la moda inutile, improbabile, ignorante, cioè quella che ignora che il corpo di una donna ha una sezione aurea per cui e’ il vestito che deve adattarsi a questo e non viceversa.  Chi disegna moda deve tener conto di questo, perché un vestito risulti armonioso, elegante e comodo da portare; affinché una donna si senta disinvolta, bella quindi sicura di se.  La moda che non tiene conto di queste regole non è moda.  La moda che non scende in strada non è moda. La moda che non tiene conto del fatto che una donna quando si compra un vestito vuole imbellirsi, evidenziando le parti migliori e se possibile occultare quelle meno felici, e’ una moda nata già morta.  La moda non e’ arte: questa quasi sempre nasce brutta e solo col tempo diventa bella.  Nella moda avviene esattamente il contrario.  E’ inutile fare proclami contrari, cioè cercare di imporre una moda brutta.  Se la moda non e’ bella in partenza, sarà brutta fino alla fine.  Cioè subito. Ecco, in sintesi io sono solo contro la moda che va contro queste regole basilari.  Altrimenti evviva la moda!”

Che cosa pensi dell’ingresso dei social sulla scena della moda?

“Il nostro incontro e’ già una risposta alla tua domanda. Sicuramente la diffusione delle notizie che riguardano la moda e la condivisione di queste con il mondo in tempo reale e’ di vitale importanza e se questi mezzi vengono usati con intelligenza offrono un grande aiuto per creare scambi di idee e generare nuove opportunità di lavoro nell’industria della moda e in tutto ciò che ruota intorno a questa”

Quanto conta oggi la creatività nella realizzazione di una collezione?

“Conterebbe tanto, ma dov’è la creatività oggi?  Oggi la regola è quella di ingigantire le forme, esagerare i volumi, immettere dettagli inutili, se non addirittura peggiorativi.  Oggi lo stilista crede che creatività equivalga a esagerazione.  In sostanza, può darsi che la creatività, in senso oggettivo, oggi non esista.  E’ troppo legata a fattori economici e viene strangolata dalle logiche di mercato.  C’è poi da dire che una volta lo stesso stilista disegnava per una clientela ben definita, adesso deve disegnare per il mondo, come fa?  Per cui io attualmente non so più cosa significhi esattamente questo termine…”.

Poco più di un anno fa, Li Edelkoort, considerata una delle più accreditate trend watchers a livello mondiale, ha proclamato che la moda, così come l’avevamo conosciuta fino ad oggi, è morta. Cosa ne pensi?

“Ha ragione.  Gli abiti che vengono proposti, non sai più per chi sono pensati, a chi potrebbero andare bene…  Io, da addetta ai lavori, dico: -Che bello!…  Ma adesso, a chi lo vendiamo?…-.  Ha ragione, la moda è stata ridotta a semplice merce, direi persino “merce di contrabbando”!  Là dove invece era poesia, magia per rendere più belle le donne.  Oggi la tendenza è opposta, tende addirittura al brutto. Questo dice tutto”.

Infine, a che punto siamo oggi in Italia rispetto all’acquisizione del concetto che moda è anche un fatto di cultura (vedi scuole, fondazioni, musei, mostre, ecc.)?

“Certo che se valuto il concetto di cultura che circola oggi… devo pensare che il livello è molto basso!  Spero che non sia così anche per la moda.  Per esperienza personale però, ho verificato che le stesse istituzioni non sono spesso pronte a ricevere donazioni di oggetti o documenti inerenti la storia della moda, qui in Italia.  Io mi auguro che nascano davvero scuole capaci di insegnare ai ragazzi che cosa è stata la moda nel passato, perchè possano finalmente tornare a immaginare vestiti coerenti con il corpo delle donne”.

 

 

 

 

Al Louvre non espongono borsette 2.

christophe-coppens

Brutto.

Il mio ultimo articolo sull’artigianato ha fatto nascere (fortunatamente) alcune discussioni, qualche polemica e molto interesse. Di questo sono grata a tutti quelli che hanno dedicato un po’ del loro tempo a leggermi.

Una delle discussioni più accese verteva sulla classica dicotomia artigiano/artista, nonostante io non avessi mai menzionato la parola arte nell’articolo (artigianato artistico non vale, e sarebbe troppo lungo, forse inutile da spiegare).

Sull’argomento in questione ho già scritto.

Ma tanto per fare di nuovo e subito chiarezza, degli stilisti che si sentono però anche artisti io ne ho le tasche piene.  Anche di quelli che guardando l’ennesima prova di perizia tecnica, esclamano estasiati: -Un vero artista!-.

Si, va bene, qualcuno mi dirà che può essere un modo di dire, ma io non ne sono poi così convinta. La confusione è diventata una tale abitudine, che per ogni termine usato spunta subito qualcuno a ricordarti il suo punto di vista in proposito, o meglio, la sua interpretazione.

Allora ribadisco il mio punto di vista. Che è parziale, soggettivo, non assoluto*, confutabile e anche detestabile.  Per me la moda non è arte.

Ecco, ora aspetto rappresaglie sotto forma di distinguo ed eccezioni, oltre a qualche commento stizzito che mi ricorda: -Chi sei tu per deciderlo?-  *(Pregasi ritornare al paragrafo precedente).

Dirò di più, quando un mio collega annunciava pomposamente di volersi dedicare anche a lavori artistici, il più delle volte si rivelavano opere scadenti che nascondevano la frustrazione di non riuscire a produrre design convincente. E l’asino cascava immancabilmente quando al tuo appunto sull’irrazionalità di quel capo, ti veniva prontamente risposto: -Si, ma è voluto: è artistico.-.  Eppure basterebbe non dimenticare MAI che gli abiti sono macchine per vestire.

Forse l’arte, come la beneficienza, in alcuni casi andrebbe fatta in silenzio, per pura necessità personale, lasciando poi ai posteri (o anche solo agli occasionali osservatori) la decisione se si tratti o meno di una espressione veramente artistica.

D’altra parte la professione di designer richiede già un così grande dispendio di tempo e di energie, che mi chiedo davvero come facciate a dedicarvi anche a un impegno così totalizzante come è l’arte.  O forse siete dei geni.

Di questa tempra, nella storia, io ne conosco uno solo. Uno che riusciva ad inventare macchine così complesse e visionarie, oltre che tecnicamente e scientificamente accurate da avere anticipato, e di molto, i tempi. E contemporaneamente ci ha lasciato un’arte che non ammette discussioni se sia o meno arte.

Leonardo da Vinci.

 

(Immagine di Christophe Coppens)

P.s.  Le eccezioni sono sempre possibili.

Tutto quello che non so.

???????

Bello.

 

 

“Buonasera Sig.ra Delfino.

Leggo spesso il suo blog, e mi rattristo quando non lo aggiorna mantenendo una certa regolarità. Non condivido tutto quello che scrive, ma ne apprezzo molto spirito critico e argomentazioni.

Sono una ragazza di 22 anni con tre anni di studi economici alle spalle, ma con un’indole troppo portata per la moda per restare tra meri numeri. Scrivo per un magazine, di arte, costume e spesso moda. Mi piace leggere di quest’ultima, parlarne, approfondirla, ma comprendo che per scriverne è necessario un certo bagaglio di conoscenze. Le scrivo per chiederle quindi un consiglio, quali letture mi consiglia per iniziare ad arricchire la mia cultura in fatto di moda?

Ciò che più bramo di imparare è l’evoluzione della moda e del suo concetto. Voglio acquisire gli strumenti per poter elaborare un giudizio critico che vada oltre il mio gusto personale. Voglio capire, interiorizzare come distinguere le sottili genialità che taluni stilisti sanno partorire.

Se potesse aiutarmi Le sarei molto grata. E per favore, posti di piu’.

S.

Ps. Sarei inoltre curiosa di sapere quale sia il suo pensiero sul fatto che molti critici abbiano criticato i designers italiani durante l’appena passata fashion week, affermando che questi abbiano mancato di originalità.”

 

Questa è una mail che ho ricevuto la scorsa settimana. Ho deciso di pubblicarla (dietro consenso della mittente) per rispondere anche a numerosi altri messaggi che mi chiedevano consigli simili.

La premessa che mi sento di fare è che io non credo di essere la persona più qualificata per dare consigli in merito, essendo io stessa una quasi autodidatta. Quindi non aspettatevi da me una sfilza di titoli e riferimenti colti.  Posso solo raccontare il mio metodo, per quello che vale.

Il metodo è semplicissimo: assaggiare tutto e farsi guidare dall’istinto.

Certo, ci sono tomi che uno studioso del costume deve necessariamente aver letto (vedi quelli di Roland Barthes..), ma io non sono mai stata così categorica e a dire la verità quei tomi mi hanno sempre annoiata a morte, anche se mi sarei sentita troppo in colpa se li avessi ignorati.

Negli anni ho saltellato incoerentemente tra testi di semantica, biografie, critica, storia, gossip, illustrazioni..

Ho sempre pensato che per farsi un’opinione fosse necessario ascoltare le voci di più gente possibile e che non esista una cultura alta, tanto quanto non ne esiste una bassa. La cultura per me è un insieme di esperienze, non solo intellettive.

In definitiva io ho sempre frequentato molto le biblioteche e letto tutto ciò che potevo. Poi ho acquistato quei libri di cui mi sembrava non potessi fare a meno.

Un titolo tra tutti, che uso frequentemente per le mie lezioni?  Storia della moda XVIII-XX secolo di Enrica Morini.

Un altro piccolo consiglio è quello di leggere assolutamente le autobiografie e gli scritti dei padri e le madri della moda. Sentire raccontare dalla loro voce l’evoluzione e i cambiamenti della moda vale più di innumerevoli testi di critica o storia. Non ce ne sono molte (Dior, Poiret, Schiaparelli, Ferrè..), ma ognuna è imperdibile.

Non ho altri consigli, spero che altri facciano meglio di me.  Per quanto riguarda il postare di piu’.  Vorrei tanto, ma il tempo che mi rimane dopo aver seguito i figli,  progettato, cucito, insegnato, letto.. è talmente poco.  Questa del blog rimane un’attività che faccio, come si suol dire  “a tempo perso”, e mi stupisco ancora e sempre quando mi arrivano mail come questa, che mi restituiscono invece la sensazione di non aver perso il mio tempo.

Rispondo all’ultima domanda, riguardo alla critica di scarsa originalità della moda italiana durante l’ultima fashion week.   Ma quando mai la moda italiana ha brillato per originalità?

Si è sempre detto che il made in Italy è campione nelle vendite perché è in grado di accontentare il mercato, che siamo insuperabili in qualità e vestibilità, insomma l’originalità non è mai stata il nostro cavallo di battaglia. Allora qual è il punto?

Forse che certo giornalismo di moda ha scoperto che la critica tout court va tanto di moda?

 

 

 

 

Confessioni di una sarta (ex-stilista).

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Brutto.

Un anno fa aprivo questo blog. Non mi aspettavo niente di speciale, a dire il vero ero molto delusa e anche vagamente arrabbiata: leggevo e vedevo molte cose che non mi tornavano. Soprattutto non mi sembrava di udire voci autonome che parlassero di moda, come se il settore soffrisse i postumi di una anestesia. Non ho mai pensato di risolvere la questione o di apportare un contributo decisivo, solo mi premeva di non restare a guardare. Ho sempre immaginato che la mia voce, in fondo, si sarebbe persa nel mare della rete, però anche il mare è pur sempre fatto di gocce..

Devo anche dire che la mia scelta di bollare i miei interventi con il bello/brutto è stata spesso contestata, mentre qualcuno mi ha addirittura scritto apprezzamenti sicuramente esagerati, definendo questo blog come l’unico avamposto di critica di moda.

Al di là di risultati belli o brutti, i motivi che mi rendevano delusa e un po’ arrabbiata non sono scomparsi e a distanza di un anno mi ritrovo a pensare ancora le stesse cose di allora. E’ per questo che voglio riproporre quel primo post e lo farò allo scadere di ogni anno (ammesso che io o la voglia di continuare duriamo). A meno che le cose non cambino davvero, per me o in generale:

Adieu

“Mi sento come Paul Poiret quando, al termine della sua carriera, disse: – Mi sento molti abiti sotto la pelle..-.

Ma poi quegli abiti rimasero sottopelle e inespressi.

O forse mi sento come Elsa Schiaparelli quando nella sua autobiografia, poco prima di lasciare le scene, scrisse: – Quando il vento ti prende il cappello e te lo porta via, sfidandoti a inseguirlo sempre più lontano, tu devi correre più veloce del vento se vuoi recuperarlo..-.

Ma poi lei si fermò e lasciò che il suo cappello se ne andasse dove lei non poteva, non voleva andare.

Stamattina ho riletto un brano di uno spettacolo di danza di dieci anni fa. Lo ricordo bene e ancora mi emoziona:

Ho trent’anni e sono in pensione / voglio dire ballerino in pensione / non ho trovato altro che rabbia / che delle mezze soluzioni / non ho più piacere a danzare / nè davanti ai borghesi / nè davanti a nessun altro / non ho più niente da dire sulla scena / allora faccio capolino / questa sera è una confessione / è uno spettacolo che si suicida davanti a voi / per soffocamento.

E il ballerino rimase immobile, per tutto lo spettacolo, oltre un’ora, mentre rivoli di sangue blu gli colavano sul corpo.”