Dior in bianco e nero.

 

 

Bello.

Christian Dior alta moda primavera estate 2018.

Dal Surrealismo al sogno in bianco e nero, da Leonor Fini all’illusione ottica.

Non ho dubbi, l’impronta femminile su questa collezione è potente e la si scorge in ogni dettaglio. A volte non c’è bisogno di colori per spiegare un sogno. Ma d’altra parte bianco e nero hanno mille sfumature.

Una assoluta leggerezza.

Bello.

Si è appena concluso il festival della canzone italiana, che io guardo da sempre con attenzione e rispetto, essendo un fatto di costume importante.

Le impressioni sulla musica e i look dei protagonisti le tengo per me (già troppi ne hanno disquisito), vorrei soffermarmi soltanto su un dettaglio che mi ha incantato e che mi dà lo spunto per qualche piccola riflessione.

Due tra i musicisti che ho più apprezzato portavano al bavero delle spille che non passavano affatto inosservate. Elementi sicuramente scelti con intenzione e usati per trasmettere un messaggio. Una scelta che ho trovato delicata, che mi ha comunicato eleganza e persino  speranza. Sembra strano, lo so, ma la moda può anche questo.

Portare tutto con nonchalance, senza forzare la mano, questo poi è il segreto.

L’idea che il rigore di una giacca maschile possa essere alleggerito da un elemento volutamente decorativo mi sembra tanto semplice quanto significativa.  Abbiamo tutti bisogno di alleggerire il carico di questi anni anche attraverso piccole operazioni di stile, puntando su dettagli che sembrino giochi, frivolezze o anche simboli di assoluta leggerezza.

La differenza.

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Madeleine Vionnet

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Valentino

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Cristobal Balenciaga

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Cristobal Balenciaga

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Madeleine Vionnet

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Jacques Fath

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Charles James

Bello.

Quando si dice che la differenza sta nei dettagli, si dà per scontato che chiunque sia capace di notarli. Si dicono cose, a volte, che in realtà non stanno né in cielo e né in terra, perché i dettagli sono di per sé sfuggenti. Amano farsi beffa degli occhi poco allenati o frettolosi.

I dettagli  (quei particolari in sordina che eppure reggono l’intera opera sulle loro fragili spalle), richiedono dedizione e premiano solo chi ha la pazienza di affrontare la lenta contemplazione.  D’altra parte sono il frutto di menti e mani che di lentezza hanno fatto un mantra.

Chi avrà la pazienza di aspettare in premio la loro stupefatta scoperta?

Lusso 1

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Bello.

Un termine su cui chi si interessa di moda, come me, non può evitare di riflettere costantemente, è quello del lusso.  L’etimologia della parola è meno scontata di quanto si potrebbe immaginare: non deriva da lux (luce), quanto piuttosto da luxus (slogato, fuori posto).

Possiamo immaginare che il fuori posto si riferisca allo stupore che provoca il lusso, mettendo fuori dalla norma tutto ciò su cui si posa.

Tralasciando studi etimologici e rimandi storici, che altri hanno trattato ampiamente e meglio di me, la mia intenzione è quella di osservare da vicino le declinazioni di lusso strettamente personali, a cominciare dalla mia.

Lussi privati quindi, non necessariamente dispendiosi. Non penso sia la quantità di denaro speso a decretare l’appartenenza alla categoria: lusso non è sfarzo e nemmeno ostentazione.

Il lusso per me corrisponde a rarità, talvolta unicità, qualcosa che non si possa riprodurre senza mutarne sostanzialmente l’essenza.

Piccoli lussi privati dicevo, come l’uso di sottovesti di seta vintage al posto dei pigiami. Il lusso è nei dettagli, tutti realizzati a mano, ma il lusso è anche nell’utilizzo, che è quotidiano e rivolto a se stessi. In questo prende le distanze definitivamente dallo sfarzo.

Il lusso come una forma di amore verso se stessi.

Vionnet o della semplicità.

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Bello.

Questo è uno dei primi modelli in sbieco realizzati da Madeleine Vionnet risalente agli anni ’20.

Il sogno della couturier era un abito con una sola cucitura e con questo abito ci andò abbastanza vicina (4 cuciture: centro davanti, centro dietro e fianchi).   Hussein Chalayan deve aver tenuto presente la semplicità quasi elementare di questo modello per le prime uscite del defilè in cui esordisce alla direzione artistica per l’alta moda di Vionnet.  Semplicità non vuol dire necessariamente poca sostanza, a volte occorre una certa dose di coraggio per non farsi abbagliare dalla smania di aggiungere.

Madeleine Vionnet era regina indiscussa della tecnica sartoriale, una delle ultime vere inventrici in fatto di forma e lavorazione sartoriale. Talmente colta da essere in grado di applicare la matematica alla sartoria: sezione aurea, spirale logaritmica.  Per questi ed altri motivi ho trovato molto appropriata la scelta di Chalayan alla guida di questa storica maison. Lui che ha sperimentato forme in movimento, abiti trasformisti e materiali del futuro.

Ecco alcuni outfit della collezione:

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Semplicità, dicevo; a qualcuno potrà apparire una moda spoglia, vista anche la scelta dei colori. Credo che questi abiti abbiano bisogno di una visione in movimento, solo così ottengono il risultato che immagino di intuire: confondersi con il corpo, diventare un tutt’uno con il corpo. Anche in questo caso mi torna in mente un’altra immagine del passato: quella di Isadora Duncan che danza seminuda, non a caso una delle grandi estimatrici e clienti di Madeleine Vionnet.

Penso che Chalayan abbia lavorato molto sotto un profilo prettamente culturale piuttosto che formale. Il risultato non è immediatamente percepibile, e anche in questo si avvicina molto alla fondatrice del marchio, i cui abiti spesso erano difficili da capire a una prima occhiata. Bisognava indossarli per rendersi conto di quanto in realtà fosse complesso e innovativo il lavoro sotterraneo da cui nascevano.

L’alta moda è frutto di ingegno e dettagli che si proiettano all’infinito verso la perfezione, solo così ha senso. Sono convinta che osservare un abito da vicino sia quasi l’unico modo per coglierne il vero valore: ci sono lavorazioni che richiedono competenze o un occhio allenato. Il lusso contemporaneo è in questo senso molto diverso dal passato, dove spiccavano i metraggi di tessuto e la vastità dei ricami.

Il vero lusso di questa alta moda è un vero ossimoro: la semplicità delle cose complesse.

Layuhl – Il giardino incantato.

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DSquareD2 2013-®SBonatelli-306                                                                                                 ph. Stefania Bonatelli

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Bello.

La seconda ragione per cui sono andata a Milano è la presentazione della collezione PE 2014 di Layuhl Jang.   Avevo detto solo qualche post indietro che non avrei mai scritto di amici e conoscenti. Ma siccome non esiste regola che non ammetta almeno un’eccezione, eccomi a scrivere della mia amica Layuhl from Seul.  Non potevo davvero trattenermi, la sua piccola (solo in termini di numeri) collezione mi ha toccato il cuore perché è come lei: aerea, poetica e composta.  Piena di minimi dettagli preziosi che rivelano un pensiero sottile.  Tutti i capi sono realizzati con magnifiche sete italiane e rifiniti con precisione.  Layuhl vive a Milano da alcuni anni ed ha già esperienze importanti alle spalle, non ultima la partecipazione a MUUSE per Vogue Talents Young Vision Award 2013.

Insomma un nome da tenere d’occhio.  Per quelli che non badano solo ai fuochi fatui, perché negli abiti di Layuhl c’è una leggerezza che si coniuga bene anche con vestibilità e vendibilità, caratteristiche importanti.  Io e lei ci siamo lasciate con l’augurio di rivederci presto. Io mi auguro di sentire presto anche parlare di lei, perché so che non mi sbaglio.