Quei nomi dimenticati. 2

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Bello.

Bud Kilpatrick oggi è un nome sconosciuto ai più, eppure negli anni ’60 era ritenuto uno dei più interessanti designer californiani, tanto da ottenere nel 1963 il prestigioso Neiman Marcus award.

Simple elegance, queste le parole-chiave che definivano il suo concetto di moda. Purtroppo in rete non ho trovato molte immagini dei suoi abiti, sembra proprio che il tempo abbia steso una coltre spessa sulla sua storia. Comunque questi due esempi mi sembrano rispecchiare perfettamente lo spirito di quella definizione.

Ma il motivo che rende questo designer davvero interessante è una sua creazione sempre del 1963: l’Action Suit.

action suit

Antesignano senza dubbio di quella che oggi viene chiamata “wearable technology”, era stato creato per essere un valido supporto per le donne di quel tempo, che non prevedeva ancora smartphone & Co.  Parliamo di donne dedite perlopiù ai lavori domestici e quindi nelle tasche dell’abito erano inseriti in miniatura oggetti tipo: aspirapolvere, girarrosto (si, proprio così!)..  Lo stile futuristico poi, era accentuato dalla struttura semplicissima e dalle tasche di plastica trasparente. Il capo è attualmente esposto al MET di Brooklyn.

Una creazione che oggi può sembrarci persino naif, ma pensate a come doveva essere avveniristica allora l’idea di un abito corredato di strumenti tecnologici adatti a velocizzare azioni quotidiane e quindi semplificare la vita di chi lo indossava.

Un peccato che cadano nel dimenticatoio gesti così significativi e anticipatori.

I dolori della donna romantica.

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Bello?

A l’Aia, in Olanda, presso il Gemeente Museum Den Haag è in corso una mostra che conferma il clima reazionario che si respira di questi tempi nella moda di tendenza: “Romantische Mode”.

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Certo tornerebbe utile approfondire i motivi e le ispirazioni di molta moda contemporanea e a questo scopo sarebbe necessario ad alcuni frequentatori di sfilate e dintorni un viaggetto in quel di Den Haag. Giusto per comprendere che le ragioni di tanti vitini di vespa e gonne gonfie non sono puramente estetiche e nemmeno tanto condivisibili.

Nell’800 alle donne (e alle case) spettava il compito di esternare la ricchezza degli uomini. Quegli stessi uomini che per se stessi avevano scelto una divisa sobria e puritana. Le signore del bel mondo presero alla lettera questa missione, tanto da apparire in molti casi come bambole decorative, in un tripudio di fiocchi, fiori e merletti.

E’ a quel periodo storico che si ispirò Christian Dior, rimettendo in discussione tutte le conquiste che le donne avevano faticosamente realizzato tra le due guerre mondiali.

Sembra che quel periodo sia nuovamente di gran moda. Complice la crisi, e sappiamo che ad ogni crisi si accompagna un ritorno alle vecchie certezze; forse complice anche un sistema della moda particolarmente ingessato che ricorre al passato per acchiappare consensi.

E’ un escamotage che non mi è mai piaciuto e combatto ogni giorno contro i classici abiti da principessa, spiegando alle mie allieve quanto scomodi e invalidanti fossero.

Tutto fuorché romantici.

Gente di Hollywood.

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Bello.

Gilbert Adrian, 1945.

Più noto con il solo nome di Adrian, fu il costumista più acclamato di Hollywood negli anni ’30 e ’40.  Inventò il personaggio da femme fatale di Greta Garbo e attraverso i costumi per Joan Crawford lanciò la moda delle spalline imbottite.  Vestì star come Jean Harlow e Katharine Hepburn e si sbizzarrì con costumi sontuosi, a volte eccentrici, ma sempre coerenti con lo spirito di Hollywood, dove, come si leggeva sul “The New Yorker”, quando si mette in scena una signora, si fa in modo che si presenti come se ce ne fossero due.

Il ‘minimalismo’ di Schiaparelli.

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Bello.

Dopo aver letto l’autobiografia di Elsa Schiaparelli, Shocking life, mi è sempre rimasta la voglia e la curiosità di approfondire gli ultimi anni di attività della couturier.

Schiaparelli aveva lasciato il mondo nella moda nel 1954 (lo stesso anno in cui sarebbe riapparsa Chanel, sua rivale storica), non senza sconforto: basta leggere alcuni brani del suo libro per intuire quanto le costò questa scelta. Un mondo, con le sue regole e i suoi splendori, era tramontato, la clientela era radicalmente cambiata e  il business stava diventando la parola chiave.

Sfogliando però alcune foto dei suoi abiti di quel periodo, faccio fatica a pensare a una Schiap priva di idee o di inventiva:

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Tutte le immagini si riferiscono a capi realizzati dal 1948 al 1954.

Credo che si avverta un’urgenza di cambiamento, anche di semplificazione; oserei dire, in qualche caso, addirittura di minimalismo, ma trattandosi di Schiaparelli mi rendo conto che oserei troppo..

Più probabilmente è la dimostrazione che la couturier non aveva perso affatto il suo fiuto per il futuro, né la sua capacità di anticiparlo. Solo i tempi erano cambiati, e non era più principalmente il talento il metro di giudizio.

E ancora mi chiedo, quanti  insospettabili hanno attinto a questa inesauribile fonte di pura e vera avanguardia senza nemmeno menzionarla? Di Elsa Schiaparelli circolano sempre le solite immagini del periodo surrealista, che sono ormai diventate un cliché per riviste, mostre e affini; persino gli omaggi dei vari stilisti contemporanei difficilmente si scostano da lì.

Che sia una strategia ben architettata per confondere le acque e non far risalire alla vera artefice di tanti outfit contemporanei?

Sulle tracce di Gabrielle.

Molte donne eleganti avevano raggiunto Deauville. Bisognò non soltanto far cappelli per loro, ma presto, in mancanza di un sarto, vestirle. Confezionai per loro dei jersey con maglioni di stallieri, golf d’allenamento come ne portavo io stessa. Alla fine di quella prima estate di guerra avevo guadagnato 200 mila franchi d’oro (…). Cosa sapevo del mio nuovo mestiere? Nulla. Ignoravo che esistessero sarte. Avevo una coscienza maggiore della rivoluzione che stavo per provocare nell’abbigliamento? In nessun modo. (…). S’offriva un’opportunità, io la presi. Avevo l’età di quel secolo nuovo che si rivolse dunque a me per l’espressione del suo guardaroba. Occorreva semplicità, comodità, nitidezza, gli offrii tutto questo, a sua insaputa. I veri successi sono fatali.

( C. Chanel)

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Bello.

Passeggiando sul lungomare di Deauville con le cabine che prendono il nome da personaggi famosi (soprattutto divi americani, e noto che Ridley Scott è l’unico con il titolo di Sir) ammiro una bella mostra dedicata ai cavalli. E’ risaputo che couture e corse di cavalli hanno da sempre una liaison intensa: l’ippodromo di Deauville era il luogo preferito per coloro che volevano vedere e farsi vedere.

Di lei (Gabrielle), qui a Deauville si sono perse le tracce. Ne ho cercate invano: troppo tempo e troppa moda sono trascorsi.