Le visioni di un ex visionario. Ovvero la parabola del signor Rosso.

renzo rosso

Brutto.

Non trovate che Renzo Rosso (patron di Diesel, Maison Martin Margiela e Victor&Rolf e in più produttore e distributore di DSquared2, Just Cavalli, Vivienne Westwood e linea uomo di Jacobs) assomigli sempre più a Beppe Grillo?

Lui però dice di votare Matteo Renzi, per cui spende -tante- parole benevole.  Nella sua ultima intervista a La Repubblica rovescia fiumi di ottimismo propositivo, dall’alto del suo quasi-impero tra acquisizioni e partecipazioni.  Peccato che la maggior parte delle sue affermazioni suoni come una tiritera fiacca del già sentito e già visto a oltranza:  Gli imprenditori italiani non hanno una visione globale.  Bisogna imparare a fare squadra.  Ridare rispetto al nostro panorama manifatturiero.  I giovani devono credere nelle proprie visioni. Ecc.

Tutte cose belle, anzi bellissime, ma quando il giornalista gli chiede come procedono i lavori con la Camera della Moda (che già sarebbe un buon inizio per fare qualche cambiamento) lui ammette allegramente che non hanno ancora fatto niente.

Poi le incongruenze procedono sul fronte dell’acquisizione di una parte del pacchetto del marchio Marni . Rosso definisce creazioni che possiedono un lusso gentile i prodotti di questo brand, ma subito dopo non esita a dichiarare che ha intenzione di spingere l’acceleratore del marchio verso un prodotto più democratico. Insomma il solito ossimoro del lusso democratico, che non vuol dire nulla se non vendere, vendere, vendere..  E già tremo all’idea di vedere cosa accadrà dello stile di Marni.  Vi ricordate di Maison Martin Margiela?.. (Quello che era prima dell’arrivo di Rosso naturalmente).

La chicca finale: ..se un giovane vuole fare il salto di qualità deve affidarsi a un grande gruppo. Nel mondo sono tutti alla ricerca di idee valide su cui investire.

Quale mondo frequenta il signor Rosso? Il mondo ideale, di sicuro.

Rick Owens: non è roba da principesse.

rick owens ss2014 1

rick owens ss2014 2

Bello.

Rick Owens SS2014.  Se qualcuno avesse ancora voglia di parlare di piccola sommossa (non rivoluzione, dai..), eccone un esempio finalmente calzante.

Le donne della sua collezione invernale erano amazzoni con aria belligerante, ma pur sempre eteree. Qualcuno deve averle fatte incazzare di brutto, oppure si tratta delle sorelle brutte, sporche e cattive, ma tanto tanto donne vere -e non vere donne, che non è la stessa cosa-. E soprattutto in carne e ossa.

Io non sono una dall’incanto facile; insomma lo spettacolo non mi basta, anzi a dirla tutto qualche volta mi puzza pure di specchietto per le allodole.. E ammetto che in un primo momento ho temuto il peggio.

Ma no, non è questo il caso.  Qui si dimostra che i vestiti si possono, si devono fare per tutte.

La sostanza, al di là dei proclami e dello spettacolo, dice che quelli sono abiti che chiunque può indossare. Che sono abiti che vivono insieme al corpo: ti ci puoi arrabbiare o impazzire di gioia, o annoiarti a morte.  Loro ti seguono e sono sempre dalla tua parte, e ti fanno sentire un po meglio. Perlomeno non ti intralciano, che la vita è già così stancante a volte..

Rick Owens i vestiti li sa pensare e fare, poco gli frega quale sia la taglia. Perdipiù non è neanche fesso: lo sa benissimo che il mercato delle over è vastissimo e ancora quasi terra da esplorare. Lo sa benissimo che le cosiddette minoranze sono in realtà delle folle.  Mettici pure la voglia di scardinare qualche luogo comune, ed ecco che il cocktail perfetto è servito.

Speriamo che altri prendano esempio e imparino che le vere rivoluzioni sono altre, ma che le piccole sommosse si vincono con il cuore e con la testa.

L’unione fa lo sforzo.

loewe e junya watanabe

Brutto.

Tra pochi giorni approderà in boutique uno degli esempi più ridicoli di collaborazioni tra brand inconciliabili: la capsule Loewe Junya Watanabe Comme de Garçons. E di quanto sia improbabile questa accoppiata ne è riprova il video della sfilata di presentazione.  A prima vista mi era sembrato persino uno scherzo ben riuscito: vedere quei modelli che si atteggiavano a finto-punk/semi-grunge annoiati (qualcuno persino ciancicando una gomma..) e indossando parrucche comprate al discount in una location di cartongesso era a dir poco esilarante.

Invece no, il brand del lusso spagnolo fa maledettamente sul serio.  Al punto da far dire al suo direttore artistico, Stuart Vevers, che si tratta di una sfida creativa di alto livello.

Ma non si è fermato qui Vevers, ha aggiunto perentorio che il successo è garantito.

Sarà per questo che i vertici di Loewe all’inizio dell’anno lo hanno licenziato?  O si è licenziato?

In entrambi i casi qualcuno deve aver messo le mani avanti..

The Highlanders.

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Brutto?

Coco Chanel con il suo immancabile caschetto nero, che somigliava ormai più a una parrucca -e forse lo era davvero- che a una chioma naturale. Vestita da eterna ragazzina, con la paglietta, il tailleur smilzo e le labbra imbellettate.  Immutabile e definitiva.

Diane Pernet con il suo total black, l’altissima cofana, occhiali a farfalla, labbra rosse e pelle diafana.

Anna Wintour, Franca Sozzani, Karl Lagherfeld..  Tutti riconoscibili alla prima occhiata, tutti come fermi nel tempo. Apparentemente.  A volte mi torna in mente il personaggio principale di morte a Venezia.

Sembra paradossale se si pensa che sono tutte persone che si occupano di uno dei fenomeni più mutevoli che esistano,  ma forse è proprio in contrapposizione a questo velocissimo e straniante cambiamento che si pongono con la loro fissità: tutto cambia, ma io resto.

Immagino che ci siano, come sempre, più punti di vista e penso ad Anna Piaggi, che riusciva ad essere al contempo sempre diversa e sempre uguale a se stessa.  Iconica nel vero senso del termine al punto da impregnare di sè ogni pezzo che indossava.

A volte in questo esercizio si avverte una rinfrancante autoironia, altre volte, piuttosto, un fastidioso autoreferenzialismo.  Mi sembra di scorgere il tentativo di andare al di là della moda -o al di sopra?-.

Ma forse potrebbe trattarsi di una semplice scelta di marketing: perchè cambiare un prodotto che funziona?

Iceberg: rompere il ghiaccio.

iceberg 1               iceberg 2

Bello?

L’ultima sfilata di Iceberg mi ha lasciata alquanto freddina.  Non è un marchio che seguo molto, lo ammetto.  Però ho letto con curiosità l’intervista a Paolo Gerani, direttore artistico della Gilmar (di cui fa parte anche Iceberg).

Curiosa la scelta di affidare ad un’artista cinese, Yi Zhou, la progettazione di una prossima capsule collection donna/uomo dopo aver congedato Antonio Ponte e Roberto Battaglia.  Il motivo? Udite, udite: invertire il tradizionale rapporto di sudditanza creativa della Cina nei confronti dell’Italia..
Viene da chiedersi a che pro tutto questo altruismo filo-cinese.. Non c’è bisogno di sforzare troppo la fantasia, il motivo è sempre lo stesso. La società sta facendo grandi investimenti in Cina e poichè non crede che in Europa ci saranno in futuro grandi sviluppi (di vendite), è chiaro che il mercato cinese sembri proprio l’alternativa giusta.
Eccoli gli imprenditori lungimiranti, quelli bravi a fare piani a lunga scadenza, magari mettendoci anche un pò di cuore al posto dei soli numeri..
Pensare che a fine intervista ha anche il coraggio di dire : “..la moda ha bisogno di nuovi talenti e questa è una missione che vogliamo perseguire”.

Nuovi talenti cinesi a quanto pare.  Ma le idee non finiscono qui, perchè l’artista (che non ha alcuna esperienza come stilista) verrà seguita nelle varie fasi di sviluppo del progetto da un reality show.

Show è proprio la parola giusta.  Peccato, perchè a me sarebbero piaciute altre parole: innovazione, qualità, solidarietà..

Ma quando la nave fa acqua i topi scappano.

Piccole donne (cinesi) crescono.

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Bello??

Vera Wang è la stilista statunitense di origini cinesi che si è fatta conoscere con la sua linea di abiti da sposa. Poco tempo fa il suo nome è rimbalzato nei vari luoghi del web per la notizia che il suo negozio di Shanghai avrebbe fatto pagare un obolo di 482 dollari alle signore che si fossero limitate a provare i suoi abiti senza poi acquistarli.   Sdegno e lamentele dovunque nella rete, tanto che a quel punto (magnanimamente..) la stilista ha deciso di fare un passo indietro e abolire l’obolo.

Grande apprezzamento da parte degli utenti, nonchè orgoglio per essere stati una voce tanto forte da far rinsavire una potenza come la Wang.

A me viene da sorridere.  Si, perchè questa è un’operazione degna di una provetta illusionista.  Tanto per cominciare si è fatta una pubblicità mica da poco (e gratis!), ma soprattutto ora qualsiasi promessa sposa sa bene quanto valga il privilegio di indossare (seppur per pochi minuti) un abito Wang, e di conseguenza il suo prezzo non sarà mai troppo alto..

Ottima mossa per un marchio che aveva provato a scovare clienti riposizionandosi in basso con la linea low-cost White in collaborazione con la catena statunitense David’s Bridal, ma evidentemente con scarsissimo successo.  Errore a cui rimediare, tornando a collocarsi nel settore lusso con questa mossa strategica.

Cosa dire alla signora Wang?….
Furba.