Le fatiche di Ercolino.

Brutto.

Siete stati al Pitti Uomo e ne avete tratto grande godimento: improvvisamente la visione dell’ultimissimo dandy si è palesata splendente davanti ai vostri occhi. Vi siete fatti in quattro per mostrare il meglio del vostro anticonformismo, mettendo insieme pezzi che mai avreste abbinato altrimenti. Avete sperato fino all’ultimo di entrare nel gotha dello stile grazie a uno scatto dell’immancabile Schuman.

Avete postato e scattato e poi ancora postato, fingendo di prendere un po’ in giro e ammiccando di quando in quando, dimostrando così che nulla vi sfugge e nulla vi stupisce più. Siete, insomma, stati leggeri e seri quanto basta. D’altra parte già il fatto di esserci era garanzia di quanto ci siete.

In realtà le immagini che avete condiviso, diciamolo pure, fanno un po’ cagare. Perchè non è poi che il presunto innato senso artistico vi esca da ogni poro. E di solito fotografate un po’ a casaccio, immaginando di aver colto l’attimo perfetto. Lo stesso che hanno colto anche tutti gli altri visitatori.

Si presume che le fiere e le varie settimane della moda siano il palcoscenico perfetto per chi, come voi, è alla ricerca di qualche innocente shock visivo, dimostrando tutto e il contrario di tutto. Vedi il calzino bianco con il sandalo foderato di pelliccia o il borsello trasformato in clutch o persino il mutandone di lana che diventa il pantalone da abbinare al frac.  In realtà ci sarebbe ben altro e non sarebbe necessario nemmeno muovere un passo fuori di casa. Prendi le immagini che ho trovato senza nemmeno un briciolo di fatica.

Io ve le regalo, chissà, potrebbero farvi comodo per la prossima mise, magari questa volta ci finite davvero su The Sartorialist.

Il brutto che piace.

demna-gvasalia-balenciaga-fw16-7-317x460

Brutto.

Sorrido leggendo uno degli ultimi articoli su La Repubblica, che sdogana clamorosamente i due termini che sono l’anima di questo blog: bello e brutto.

Sorrido perchè meno di due anni fa, da un altro titolato giornalista, questa scelta era stata definita tranchant (!).

Ma si sa, la moda è terreno fertile per improvvise sterzate o persino inversioni ad U. Possiamo dire tranquillamente che la coerenza non è mai stata di moda, per un settore che fa del cambiamento la propria parola d’ordine.

Sorrido anche per quel modo tutto speciale di trovare un senso storico e plausibile ad abiti che fanno francamente schifo: “stop al perbenismo”,  “immagine dura e cruda”,  “risposta urlata all’omologazione”..  Tutte descrizioni scovate con certosina pazienza per evitare quella domanda che rimane perennemente in sospeso: ma chi se li metterà mai questi abiti??

Domanda pertinente quanto mai, visto che sembra che questi abiti si vendano pure. Allora chiediamoci se non sia forse il risultato di quella miriade di commenti edulcorati, alla perenne ricerca dell’ultima pseudo-provocazione.  Siamo sicuri che chi compra questi abiti lo faccia per opporsi?

Piuttosto (come sempre) per distinguersi. Una provocazione vale l’altra e ostentare abiti brutti ha il vantaggio di lasciare immaginare un aplomb intellettuale che dovrebbe fugare ogni dubbio (quale furbizia!).  Oltre al fatto che una moda brutta appare a molti come il capolinea dell’estetica e nel gioco dei contrari questo risulta essere il massimo della distinzione.

Ma allora è il solito gioco della moda, che nel ‘700 imponeva gonne larghe svariati metri e oggi impone vestiti da stracciona.  In tutto questo la Moda non ci fa una gran bella figura (per buona pace di chi la considera un frivolo passatempo), rivelando quel suo lato oscuro fatto di teste non-pensanti.

P.s. Copio qui un commento esemplare ricevuto su questo post:  Guy Laroche diceva: “Mai fare un abito brutto; c’è sempre il rischio che qualcuno se lo metta…”

 

Luci ed ombre.

Givenchy by Alexander McQueen

Givenchy by Alexander McQueen 2

Givenchy by Alexander McQueen3

 

Bello?

Givenchy by Alexander McQueen, Autunno Inverno 1999 (ph. Thierry Orban).

Sarah Burton: “Ricordo una collezione – il prêt-à-porter autunno/inverno 1999-2000- che presentava un modello di un corpo robotico in Perspex. Il ragazzo che aveva realizzato il lavoro ci disse 10 minuti prima che il modello uscisse: “Se lei suda nell’abito, muore fulminata. Quindi dille di non sudare”.

 

Givenchy by Alexander McQueen, Fall Winter 1999 | Photographed by Thierry Orban | Sarah Burton: ‘I remember one collection – the prêt-à-porter autumn/winter 1999-2000 collection – which involved a model in a Perspex robotic body. The guy who made the robot told us ten minutes before the model walked out, “If she sweats in the suit, she’s going to electrocute herself. So tell her not to sweat”.

Un altro buco nell’acqua.

louis vuitton e rei kavakubo.jpg 2

Brutto.

Ennesima operazione di rivitalizzazione del marchio Louis Vuitton; questa volta a infondere ossigeno sono stati chiamati Christian Louboutin, Cindy Sherman, Frank Gehry, Karl Lagerfeld, Marc Newson e Rei Kawakubo.

Si è inteso così non escludere alcun settore della cultura che fa tendenza: design, architettura, arte e moda naturalmente. Tanto per non farsi mancare nulla, tanto per pescare a piene mani nel calderone della cosiddetta coolness.

Persino l’inossidabile e concettuale Kawakubo si è fatta assoldare in un’operazione che stride con il suo curriculum come il gesso sulla lavagna.  Immagino che il compenso valesse tanto sforzo, se di sforzo si può parlare, visto il risultato: una borsa con i buchi.

A questo punto possiamo ben dire che le borse di Vuitton fanno acqua da tutte le parti.

New York Fashion Lies

jimmy kimmel

 

Brutto.

Jimmy Kimmel è un comico americano che si diverte a fare scherzi interessanti. L’ultimo l’ha fatto durante la settimana della moda di New York che si è appena conclusa. Inevitabilmente i malcapitati presi di mira sono i cosiddetti fashionistas, che si arrampicano sugli specchi per descrivere inesistenti stili di altrettanto inesistenti marchi, giusto per non fare la figura di quelli fuori dal giro.

Interessanti sono le facce degli intervistati: gli ammiccamenti, le strizzate di occhi per lo sforzo di dire senza dire a sproposito, le risatine soffocate e tutti quegli  yeah e well.

Chiaramente i personaggi intervistati da Kimmel fanno parte di un reparto a sè stante del comparto moda: quello dei consumatori acritici e compulsivi. Reparto da cui non sono esclusi anche professionisti del settore. Gente così poco avezza a dire non lo so e altrettanto abituata a commentare con un great!

Mi sorge il dubbio che possa trattarsi di un prezzo accettabile per loro (la presa per il chiulo), pur di accedere ai fatidici cinque minuti di popolarità.

 

 

I nuovi pavoni.

pavoni 1

pavoni 2

pavoni 3

Brutto?

Se negli anni ’60 la cosiddetta rivoluzione dei pavoni aveva un significato dirompente  perchè nuovo era il mondo a cui si affacciavano, oggi i moderni piumati provvisti di ruota al seguito mi lasciano interdetta per la vacuità di cui fanno sfoggio.

Non si sottrae alcuno: giornalisti noti e meno noti, amatori del gossip, frequentatori abituali del fashion-universe, buyers o compratori all’ingrosso, fotografi per professione o per passione, blog-addicted e financo passanti occasionali.

Ognuno di loro ha in serbo una ‘visione’ del guardaroba del moderno dandy. Fanno furore le barbe, i papillon e le giacchine striminzite, così come le caviglie in bella vista e le borse a mano. Ma in fondo non c’è nulla che sia veramente out, basta l’atteggiamento giusto, la posa indifferente, l’aria indaffarata o svagata.

La schiera dei giornalisti si distingue per quel piglio un po’ blasè, un classico rivisitato con tocchi di altri tempi, che fa tanto nouvelle intellectuelle. Qualcuno si rivolge alla sfera mistica: tessuti ruvidi come cilici e aplomb monacale, di solito azzimati come scolaretti.  Mentre i fashionistas accaniti sfoggiano colori accesi e un’estetica decisamente più queer. Sono i più coraggiosi (hanno meno da perdere), ma anche quelli che più facilmente scivolano fuori dal giro. Riconoscibili per il troppo voler fare, tanto da essere tacciati per quelli che arraffano a casaccio dall’armadio.

Poi ci sono i fotografi e i blogger muniti di obiettivo, che spiccano per falsa nonchalance con i loro abiti stropicciati a dovere, molto street, un poco sport, temo anche un po’ puzzolenti (ma è tutto calcolato).

Nessuno di loro inventa davvero qualcosa per il piacere di rompere le righe. Si fanno immortalare con sicuro autocompiacimento, a volte sornione, a volte evidente. Pubblicano volentieri questi scatti ‘rubati’, come stellette al valore. Ma di quale valore si tratta?  Essere riconoscibili, essere portati a esempio di nuova tendenza. Essere semplicemente.

Perchè per loro l’abito fa il monaco, eccome!

p.s. Immagini prese da The Sartorialist, l’Eden del pavone.

Oui, je suis Inès!

ines

Brutto.

Inès de la Fressange è un mito: riesce a parlare di niente con una leggerezza davvero charmante..

Racconta che all’ultima fashion week parigina è andata solo alla sfilata di Chanel perché le scenografie create da Lagerfeld sono imperdibili! Dice che l’età è un’attitudine, non un numero. Ci tiene a precisare che è molto indaffarata per la retrospettiva su Roger Vivier. Enfin!

Ma credo che il suo meglio l’abbia dato nella stesura di uno dei libri più inutilmente celebrati della storia della moda: “La Parisienne”.

La Parigina in questione naturalmente è lei, ça va s’en dire, monumento vivente di un classico cliché.  Il libro è la rivisitazione di tutti i luoghi comuni riferiti al vestire e all’apparire in società. Terribilmente scontato, oltre che, a mio avviso, datato, un po’ come la Parigi da cartolina.

A volte la distanza tra l’essere chic e l’essere banali può essere molto breve.

La fiera delle vanità.

cyprien

Brutto.

Grazie a (o forse a causa di..!) Paolo Ferrarini sono venuta a conoscenza di questo fenomeno. E non aggiungo da baraccone perché non è assolutamente fashion.  Però, a pensarci bene qualche attinenza c’è pure: non è forse vero che il circo è attorniato da baracconi di solito? E se la moda è spesso paragonata a un circo, in questo caso lo spettacolo è molto vicino alla clownerie.   Già guardare il video su uno dei protagonisti è  istruttivo e anzi, credo proprio che lo porterò in classe per i miei studenti..

Cyprien Richiardi e Gian Maria Sainato, così si chiamano i due ragazzi.  Il primo si autodefinisce party boy, mentre il secondo in un impeto di sincerità dice di essere appassionato per la moda e l’arte.  Bene, le premesse ci sono tutte.

Il sito che i due aggiornano costantemente con le loro comparsate e gli outfit più ruggenti si chiama PROJECT REVOLUTION.  Di quale rivoluzione si parla? Io non l’ho capito.

Guardare le immagini e ascoltare i discorsi di queste fashion victim mi mette addosso una grande tristezza; sento, dietro a quella smania di visibilità, un grande vuoto, quasi a dire: guardatemi, io esisto. La moda in fondo soddisfa proprio in pieno l’esigenza di attenzione, con i colori più sgargianti, l’aggressività di simboli, il patchwork di rimandi, storici e non.  Ma è un gioco al massacro, in un crescendo di eccentricità, fino al risultato di azzerare tutto. Perché è indubbio che a un certo punto, in mezzo a tanti personaggi, si noterà soltanto chi è riuscito a restare ancora persona.

Non me la sento di infierire, sarebbe troppo facile. Naturalmente non è questo il senso del discorso. La moda si porta dietro da sempre questa zavorra di non-sense. Persino agli albori, se lo stesso Charles Frederick Worth (definito il creatore dell’haute couture) si permetteva di declamare: Madame, chi mi ha raccomandato a voi? Per essere vestita da me dovete avere una presentazione. Io sono un artista del livello di Delacroix. Io compongo e una ‘toilette’ è come un’opera d’arte, come un quadro…

Stiamo parlando della seconda metà del 1800, da lì in poi è tutto un susseguirsi di narcisistiche rappresentazioni in ossequio al genio&sregolatezza di stampo artistico.

Oggi, in realtà, la figura del creatore di moda tutto preso dal proprio ego tanto da sfilare lui pure in passerella con una certa enfasi, rappresenta una sparuta minoranza. E’ molto più comune imbattersi nello stilista o direttore creativo totalmente defilato che compare appena alla fine dello show, se compare.  Per la legge del contrappasso però sono apparse queste figure di fenomeni, che si prendono addosso volentieri tutto il carico di esibizionismo di cui il sistema moda sembra non avere più bisogno.

Ma davvero può farne a meno? O non è forse lecito pensare che sia solo un depistaggio, un lasciar fare ad altri il lavoro sporco?

Il buio oltre gli spalti.

DSquareD2 2013-®SBonatelli-2

DSquareD2 2013-®SBonatelli-14

DSquareD2 2013-®SBonatelli-28

DSquareD2 2013-®SBonatelli-50

DSquareD2 2013-®SBonatelli-203

DSquareD2 2013-®SBonatelli-239

DSquareD2 2013-®SBonatelli-249

Brutto.

Queste splendide foto di Stefania Bonatelli sono eloquenti.  Avrei anche potuto intitolare questo post il lato oscuro della moda, ma il concetto di buio mi pare più appropriato. Il buio che isola, mettendo in scena al suo opposto un ego che si alimenta spesso di se stesso.  Nessuno guarda più alcuno; ognuno guarda solo se stesso. La sfilata, i vestiti sono solo il pretesto per mostrarsi. Ne nasce una solitudine infeconda, una incapacità di connettersi davvero con il mondo.

Poi, sotto la luce accecante del giorno il trucco e i lustrini diventano poca cosa.

Come succede nel circo vero, finita la magia dello spettacolo, scopri che le belve sono spelacchiate e il domatore ha le toppe sui vestiti lisi.