A Kind Revolution.

Bello.

Il primo approccio con l’universo Mod l’ho avuto grazie a mio fratello, che da ragazzo li frequentava e ne faceva parte. Allora (erano i primi anni ’80) lui girava con i componenti del gruppo musicale degli Statuto, che a Torino erano considerati tra i gruppi più cool del momento.

Io li guardavo con curiosità e anche una certa simpatia: mi piacevano quelle ragazzine con il carrè e i vestitini corti in bianco/nero. Mi incuriosiva quella fede assoluta verso uno stile che era stato dei loro genitori e che, con una apparente illogicità, si metteva in contrapposizione proprio agli ideali di quella generazione.

La cura per il dettaglio, ricordo, era quasi maniacale. Mio fratello faceva impazzire mia madre, perchè i pantaloni non erano mai abbastanza stretti e noi ridevamo per quelle che ci sembravano solo adolescenziali fissazioni.  In realtà i Mod hanno scritto un capitolo interessante della storia dello stile e della moda. Il loro approccio, che avrebbe potuto essere liquidato come l’ennesimo revival, aveva basi politiche e l’intenzione di mettere in atto una vera e propria rivoluzione.

Come in tutte le rivoluzioni, era necessaria una divisa che li rendesse riconoscibili, e loro avevano scelto quella di un Modernismo pre-borghese, ripulito dal decorativismo che sarebbe arrivato nei tardi ’60. Di quel decennio avevano preso solo la spinta verso il futuro e non l’opulenza del boom economico.

Paul Weller è considerato il padre dei Mod, un vero esempio di eclettismo musicale, che è però sempre rimasto fedele allo spirito originario del movimento. In una sua recente intervista parla del suo ultimo album (Kind revolution), della sua vena ottimista, nonostante le difficoltà e l’atmosfera generale.

Usa due parole chiave, che hanno immediatamente destato la mia attenzione: speranza compassione.  Due parole bellissime, soprattutto se messe insieme.  Mi sono chiesta se anche attraverso gli abiti si possano comunicare concetti così fragili e guardando le foto del musicista, oggi quasi sessantenne, ho notato quanto il suo stile sia diventato più fluido.

Dei Mod rimane la voglia di cambiamento, ma quella che era una contrapposizione ferma come i completi neri con camicia bianca, oggi è diventata una rivoluzione morbida con i jeans e i maglioni decorati con una stella.  In poche parole, la capacità di cambiare rimanendo se stessi.

La storia infinita.

iris van herpen

Il video:

http://www.refinery29.com/2016/07/115869/iris-van-herpen-fw16-visionaire-video

 

Bello.

Iris Van Herpen dimostra come il futuro è fatto ancora di mani che si muovono, pensano e creano. E che senza quelle mani, tutta questa magia di visione, tecnica e inventiva non sarebbe possibile.

Quei dinosauri della moda.

gay 1 Brutto?

Una delle ultime interviste a Giorgio Armani ha destato l’interesse del web, mettendo in contrapposizione schiere di detrattori e seguaci di quel grande sconosciuto che circola sotto il nome di buon gusto.

In sintesi il Sunday Times ha pubblicato il pensiero di Armani a proposito di molti omosessuali che commettono l’errore di “vestirsi da gay” e l’opportunità, a suo dire, che “un uomo si vesta da uomo”.

Le esternazioni di Armani a me non paiono né offensive, né tantomeno particolarmente illuminanti, piuttosto mi sembrano fuori dal tempo.  Il tempo che, per un creativo che si occupi di costume, è fondamentale sia quello presente, se non addirittura quello futuro.

Credo che Armani abbia inteso riferirsi a quella schiera di designer che hanno fatto del no-gender la propria bandiera di stile ( e l’ultimo Gucci ne è solo l’esempio più visibile e nemmeno il più interessante). Capisco il suo scarso entusiasmo per la tendenza, ma proprio il tempo in cui si smette di osservare e analizzare con curiosità e apertura il presente, quello in cui il giudizio prende il posto dell’interesse, quello è per me il tempo in cui si finisce fuori dal tempo.  In parole povere è quando si diventa vecchi.

Le sue parole mi ricordano quelle di molti vecchi che iniziano i loro discorsi con la fatidica frase “Ai miei tempi..” Frase che fa immancabilmente stizzire giovani di ogni generazione, giustamente impegnati a vivere e godere il proprio tempo.

C’è un momento per lasciare, e credo sia proprio quello in cui la contemporaneità ci sfugge e ci appare come un nemico (ho già scritto di questo momento e di grandi di nome e di fatto che l’hanno saputo cogliere).  Capisco che sia spiacevole e desti nostalgia riconoscere di non essere più in grado di incidere nel presente, d’altra parte Armani ha però ricevuto riconoscimenti e gratificazioni che basterebbero per più vite e questo non a tutti è concesso.

Non è detto, poi, che lasciare voglia dire necessariamente ritirarsi.  Piuttosto potrebbe voler dire approfittare della propria esperienza per trasmettere conoscenze.

E per dosare parole e presenza.

Spider Dress.

annouk wipprecht 1 annouk wipprecht 2

Bello?

E’ una designer di Vienna e si chiama Anouk Wipprecht e fa parte di quel gruppo di creatori di moda che utilizzano la tecnologia alla ricerca di nuove strade.  Sperimentando, mischiando competenze, utilizzando metodi e materiali lontani da quelli classici.

I suoi sono abiti robotici, dotati cioè di sensori che interagiscono non solo con chi li indossa, ma anche con l’ambiente circostante e quindi, in situazioni di pericolo, assumono posizioni di difesa e di attacco.

Sono abiti realizzati con stampanti in 3D di ultima generazione, ispirati alla morfologia dei  ragni. I sensori (20 in tutto) si basano sul ritmo del respiro e sul livello di stress di chi li indossa, in modo che in situazioni particolari, gli arti meccanici che li compongono, si raggomitolano o si estendono, imitando appunto i movimenti dei ragni.

Sconsigliati per coloro che soffrissero di fobia per questi insetti, effettivamente sono abiti che mostrano un aspetto ben poco rassicurante e quei lunghi artigli si immaginano anche piuttosto pericolosi.  In realtà, sono abiti in grado anche di mostrare un atteggiamento rassicurante, in condizioni pacifiche, con movimenti lenti che “invitano” al contatto.

Per ora si tratta di prototipi, ma non faccio fatica ad immaginare un loro utilizzo in un prossimo futuro. Chissà che non possano rendere più sicura la vita delle donne..

LED/3 times

10349900_730199010368418_5392790612927388132_n

ph.News&Events Turin

 

10686982_1005318526152367_3497083098582085721_n

ph. Renato Valterza

 

Bello.

Tre abiti, tre secoli di moda: 700′, 800′, 900′.

Tre colori evocativi, abbinati ciascuno a un’epoca: rosso, bianco e blu.

Una interpretazione contemporanea della storia della moda attraverso forme e segni ad opera della stilista Adriana Delfino.

Una collaborazione inedita con un artista, Andrea Massaioli: un dialogo tra visionari.

300 LED e il supporto di un tecnico informatico per raccontare attraverso la luce la comune idea del futuro.

Immagini dal backstage:

???????????????????????????????

???????????????????????????????

IMG_20141120_190353

???????????????????????????????

???????????????????????????????

Stop.

 

Il ‘minimalismo’ di Schiaparelli.

1948

Bello.

Dopo aver letto l’autobiografia di Elsa Schiaparelli, Shocking life, mi è sempre rimasta la voglia e la curiosità di approfondire gli ultimi anni di attività della couturier.

Schiaparelli aveva lasciato il mondo nella moda nel 1954 (lo stesso anno in cui sarebbe riapparsa Chanel, sua rivale storica), non senza sconforto: basta leggere alcuni brani del suo libro per intuire quanto le costò questa scelta. Un mondo, con le sue regole e i suoi splendori, era tramontato, la clientela era radicalmente cambiata e  il business stava diventando la parola chiave.

Sfogliando però alcune foto dei suoi abiti di quel periodo, faccio fatica a pensare a una Schiap priva di idee o di inventiva:

1951 2

1952 3

1953

1952 4

1954

1953 2

Tutte le immagini si riferiscono a capi realizzati dal 1948 al 1954.

Credo che si avverta un’urgenza di cambiamento, anche di semplificazione; oserei dire, in qualche caso, addirittura di minimalismo, ma trattandosi di Schiaparelli mi rendo conto che oserei troppo..

Più probabilmente è la dimostrazione che la couturier non aveva perso affatto il suo fiuto per il futuro, né la sua capacità di anticiparlo. Solo i tempi erano cambiati, e non era più principalmente il talento il metro di giudizio.

E ancora mi chiedo, quanti  insospettabili hanno attinto a questa inesauribile fonte di pura e vera avanguardia senza nemmeno menzionarla? Di Elsa Schiaparelli circolano sempre le solite immagini del periodo surrealista, che sono ormai diventate un cliché per riviste, mostre e affini; persino gli omaggi dei vari stilisti contemporanei difficilmente si scostano da lì.

Che sia una strategia ben architettata per confondere le acque e non far risalire alla vera artefice di tanti outfit contemporanei?

La stagione dei pastelli.

xiao li 2

Bello.

Si chiama Xiao Li, è cinese ma ha studiato a Londra, dove al termine degli studi ha presentato questa collezione che non è passata inosservata.

Per la sua visione del futuro la designer utilizza silicone stampato che imita la maglieria e grazie anche a quei colori pastello assume un’aria tutt’altro che fantascientifica.

L’ispirazione evidente a Balenciaga è un altro punto a favore di Xiao Li, che ama effetti scultorei e volumi pieni ma anche aerei.

La sua bravura non è sfuggita a quel volpone di Renzo Rosso che, dopo averle assegnato un premio se l’è accaparrata per il suo team.

Abiti come incontri del terzo tipo.

iris van herpen voltage 2

iris van herpen voltage 1

Iris-van-Herpen-Voltage-Haute-Couture-600x420

Bello.

Neri Oxman è una scienziata/architetto israeliana definita uno dei 20 talenti che cambieranno il mondo.

Neri ha progettato stampanti in 3D che lavorano riproducendo l’effetto della pelle umana, che è sempre la stessa ma ha caratteristiche differenti in base alla zona in cui è situata. Così le sue stampanti mescolano più sostanze acriliche e le depositano a densità variabile, permettendo in questo modo di ottenere superfici continue ma con caratteristiche fisiche diverse.

Con questa tecnologia sono stati già realizzati oggetti di design, tra cui anche abiti.  Iris van Herpen è la stilista che per prima ha sperimentato le possibilità di queste stampanti per la sua linea di haute couture Voltage. Chi se non lei, che combina magicamente le tecniche di alto artigianato con le tecnologie futuristiche?

La stilista olandese spiega che la sua ricerca ha molto a che fare con il movimento e con la bellezza. Due termini imprescindibili quando si parla di abiti, ma non così scontati, a ben vedere: ci sono abiti fatti per essere guardati, ma scomodissimi da indossare, così come ci sono abiti sicuramente comodi, ma indubbiamente brutti.

La riuscita degli abiti di Iris van Herpen credo debba molto alla  coesistenza di due visioni e competenze differenti ma complementari. D’altronde è la stessa Oxman che ammette: la forma estetica nel mio lavoro non conta nulla.

Le possibilità della tecnologia sperimentata con queste stampanti sono ancora tutte da esplorare e aprono scenari affascinanti per la moda. Già si prova a realizzare strutture che imitano la tessitura dei bachi da seta: abiti come bozzoli che si adattano al corpo.

Come al solito è bello notare che la tecnologia imita la natura e che la natura ha praticamente già inventato tutto.

Aspettando l’astronave..

gareth pugh ss 14 1

gareth pugh ss 14 2

Brutto.

Cosa è successo a Gareth Pugh da farlo propendere per una signorina alla Star Trek per la sua ultima sfilata? Dopo una collezione invernale decisamente promettente, mi sarei aspettata perlomeno che approfondisse il percorso appena intrapreso.

Forse ai fan del marchio quel cambiamento non deve essere piaciuto..  Peccato, perché questa repentina inversione di marcia sembra confusa, non si capisce dove vada a parare. In qualche uscita mi è sembrato di scorgere persino un antico Thierry Mugler.

Certo che l’attitudine ad interpretare il futuro non deve essere presa alla lettera..