Alexander McQueen – The show must go on?

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Bello?

Mi sono goduta il docu-film su Alexander McQueen in una sala quasi vuota e confesso di aver provato un brivido di lusso estremo, come se si trattasse di una proiezione privata; una sensazione appropriata, visto il tema del film.

Il film documenta il percorso creativo dello stilista dall’adolescenza fino alla tragica scomparsa. E’ costellato delle testimonianze di chi gli è stato vicino: i famigliari, gli amici, i collaboratori e anche qualche personaggio collaterale.

La sensazione è che non ci siano filtri, ma trattandosi del mondo della moda, qualche dubbio resta. Durante tutto il racconto il talento di McQueen è intatto, anzi, a tratti esplode in modo ancora più dirompente. Piuttosto il dubbio che rimane in sospeso è quanto questo talento, messo al servizio di un settore talmente ansiogeno e competitivo, possa diventare un boomerang.

McQueen aveva subito molestie da bambino, aveva assistito a episodi di violenza domestica, aveva visto morire suicida la sua musa e amica Isabella Blow, era alla vigilia del funerale della madre amatissima e non dimentichiamo che sapeva di essere sieropositivo.  Tutto questo dato in pasto a quel mondo abituato a continui usa e getta. Come poteva essere una favola a lieto fine?

Traspare una personalità votata a momenti di esaltazione seguiti da fasi depressive: un continuo viaggio sulle montagne russe (come lui stesso ammetteva). Il tutto condito da un’immaginazione fuori dal comune che gli ha permesso di creare abiti indimenticabili, così come indimenticabili erano i suoi show.

Non sfilate, ma spettacoli autobiografici, da cui, come diceva, lo spettatore doveva uscire affascinato o disgustato, nessuna via di mezzo.

In una delle sue più illuminanti dichiarazioni Mc Queen affermava di non vedere  possibilità affinchè il suo marchio esistesse dopo di lui. Penso che avesse una visione lucidissima della questione: ogni sua collezione riguardava parti della sua estetica che erano indissolubilmente legate alla sua vita. Difficile trovare un creatore di moda altrettanto autobiografico nel suo lavoro.

Sappiamo che non è stato ascoltato, il business se ne infischia della coerenza.

C’è un’immagine di lui, solo, in disparte, al funerale di Isabella Blow, in cui è possibile leggere chiaramente la disperazione che doveva provare. Poi invece ci sono i momenti in cui sorride, al fianco della madre; ecco, tra questi due poli sembra si sia giocata tutta la partita della sua storia.

Alla fine sono l’amore e la sua mancanza la chiave di tutto, come in ogni favola o tragedia.

Di quel mondo, fatto di splendide bugie e sogni, condito di soldi e poi di ore di lavoro minuzioso,  non rimane traccia se non negli armadi di qualche ricca signora e poi nei nostri ricordi, di quando abbiamo visto brillare e poi spegnersi uno dei talenti migliori della moda contemporanea.  In fondo sono solo abiti.

 

Un Armani al giorno.

 

Brutto.

Armani Privè, alta moda primavera/estate 2019.

Brutti quei copricapi: un mix and match tra gli anni ’20 e gli ’80. Accessori che completano outfit altrettanto indecisi in cui si può trovare davvero di tutto, dal vinile alle nuvole di tulle, dai colori sgargianti alle fantasie tremolanti, dalle frange alle rouches…

Armani è un’istituzione e magari si presuppone, ormai, che possa permettersi tutto.

Please, plissè!

balmain vs krizia

Balmain

zuhair murad

Zuhair Murad

valentino plissè

Valentino

viktor and rolf

Viktor & Rolf

jean paul gaultier

Jean Paul Gaultier

givenchy

Givenchy

alexandre vauthier

Alexandre Vauthier

 

Bello?

Haute couture primavera/estate 2019 (quando Balmain e Viktor&Rolf mi fanno rimpiangere Krizia).

Dior in bianco e nero.

 

 

Bello.

Christian Dior alta moda primavera estate 2018.

Dal Surrealismo al sogno in bianco e nero, da Leonor Fini all’illusione ottica.

Non ho dubbi, l’impronta femminile su questa collezione è potente e la si scorge in ogni dettaglio. A volte non c’è bisogno di colori per spiegare un sogno. Ma d’altra parte bianco e nero hanno mille sfumature.

Un’aragosta riscaldata.

Bello?

La prima foto in alto a sinistra si riferisce a un capo dell’attuale collezione alta moda primavera estate Schiaparelli, la foto in alto a destra documenta l’abito che Elsa Schiaparelli realizzò insieme a Salvador Dalì nel 1937. Mentre la foto in basso ritrae Wallis Simpson che lo acquistò nello stesso anno per il suo guardaroba di nozze con il duca di Windsor.

La forma dell’abito è cambiata naturalmente, adeguandosi alla moda attuale, ma … trasportare pari pari ad oggi quel simbolo, quel feticcio erotico nato in un contesto lontano e diversissimo, che senso ha?  (Notare la posizione del crostaceo che prima partiva dal centro dell’abito ed esattamente dalla zona degli organi genitali, mentre ora è messo di lato su una gamba, come semplice decorazione).

Nel 1937 dipingere quell’aragosta enorme e minacciosa su di un candido vestito da sera era un gesto provocatorio, che metteva in piazza pulsioni e desideri nascosti quanto spiazzanti se riferiti all’inconscio femminile. E’ probabile che neppure la Simpson fosse ben cosciente della valenza di quell’operazione, se aveva scelto quell’abito per un viaggio di nozze (o forse, al contrario, l’aveva scelto proprio per quello?).

Oggi il compito di un direttore creativo non è quello di prendere un abito così pieno di significati, storia e segni e rifarne semplicemente la forma. Un bravo direttore creativo dovrebbe avere il talento e la forza di cercare simboli e significati attuali, con una uguale o perlomeno simile potenza. Dovrebbe, con uno sguardo nuovo, provare a ricreare quello scandalo,  mantenendo in vita non il gusto e lo stile di Elsa Schiaparelli (che sarebbe impossibile e anacronistico), bensì il nucleo che corrisponde all’origine del marchio.

Non dico che sia facile, ma un bravo direttore creativo non dovrebbe limitarsi a svolgere il compito come se fosse ancora uno scolaro. E, soprattutto, un bravo direttore creativo dovrebbe avere ben presente i limiti del suo talento e magari imparare a non misurarsi con un compito per lui troppo arduo.  Poi, nel dubbio, astenersi.

Altri pensieri sparsi sulla griffe odierna qui e qui.

Inspiring Delpozo.

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(Vionnet?)

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(Dior?)

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(Capucci?)

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(Balenciaga?)

Bello?

Delpozo, pre-fall 2017.

Ispirazioni autorevoli; i fili della haute couture storica sono avvolgenti, confortevoli e talvolta necessari, direi naturali.

Se poi si considera che il corso delle tendenze considerate di avanguardia si rivolge verso la valorizzazione del brutto, allora possiamo ben dire che qui si fa addirittura una contro-contro-tendenza. O piuttosto si tratta di vincere facilmente?

Bel dilemma. La ragione ci suggerirebbe di non lasciarci incantare da tutta questa poesia fin troppo esplicita, mentre l’istinto andrebbe a braccetto immediatamente con questa estetica senza se e senza ma.

Il guaio è che non siamo mai contenti.

L’origine del sogno.

charles james

Charles James, 1955

azzedine 2

Azzedine Alaia, 1990

Bello?

Come nasce un’idea, una forma?  A volte, spesso, basta andare indietro nel tempo.  Forse è proprio vero che tutto è già stato fatto.

Vorrei credere che ci siano ancora margini per l’invenzione nella moda, ma sempre più spesso mi trovo a valutare che le possibilità reali di intervento riguardano l’interpretazione. Nel migliore dei casi .

Ma la scintilla, quella che ha dato vita all’originale, quella è già scoccata altrove, in un altro tempo.

Working.Classic

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chanel 2016 2

Bello.

Se anche Lagerfeld per Chanel si accorge che la sartoria è il luogo della modernità e dell’eccellenza, vuoi vedere che pure fare il sarto diventa un mestiere cool?

La collezione alta moda che viene mostrata mentre le sarte sono al lavoro, è esemplare in questo senso: tutta giocata su rigore sartoriale, lavorazioni artigianali e bei tessuti.

Per ribadire che il lusso nasce in atelier.