Il disastro del Natale del 2013 – Margiela destroy.

margiela piumino

Brutto.

Qualche giorno fa sono andata a cena da un amico, che è anche un collega e uno stilista di una certa fama in ambito torinese: Monsieur Walter Dang.  Durante la cena la conversazione è scivolata, come al solito, sull’argomento moda e su ricordi comuni legati a questo tema. Non so come, ci siamo ricordati di un piumino di Martin Margiela che lui possiede e che ci ha scaldati entrambi durante una freddissima conferenza. Il piumino è più o meno quello che vedete in foto (solo un po’ più corto) ed è un pezzo iconico dello ‘stilista invisibile’, naturalmente è bianco. Bianco come deve essere, in base alla filosofia/estetica di Margiela e chiunque conosca un poco di storia della moda contemporanea sa che non c’è  altra possibilità.

Quale è stata la mia costernazione quando Walter ha ammesso candidamente (è proprio il caso di dirlo..) di aver tinto il piumino di NERO!  – Nero?- Ho chiesto, pensando di aver capito male, annebbiata da qualche bicchiere di prosecco di troppo.

Purtroppo la triste verità mi è stata confermata quando lui stesso ha tirato fuori il corpo del delitto e l’ha indossato.

Ora, io avrei voluto postare la foto di Monsieur Dang con indosso il piumino nero che una volta era bianco, di Margiela; giusto per farvi vedere lo scempio di quel capo diventato informe e insignificante, ma la decenza me lo vieta. E inoltre non posso fare questo ad un amico. Quell’immagine resterebbe come una macchia (nera!) indelebile sulla sua fulgida carriera.

Ma la stoccata finale l’ha inferta il compagno di Walter, Hamlet, che resosi conto del misfatto, ha concluso dicendo: – Beh, ma lo mettiamo in candeggina e ritorna bianco…-.

Lascio a voi immaginare i brandelli di piumino e piume di un bianco giallino con aloni grigiastri uscir fuori da quel bagno corrosivo..

Mi rimane un dubbio: chissà, forse Margiela avrebbe gradito.

Marlene Dietrich: testimone o testimonial.

marlene dietrich

Bello.

Guardando le fonti di ispirazione dello stilista americano Zac Posen mi è caduto l’occhio su una magnifica foto di Marlene Dietrich.  Naturalmente Posen è solo uno degli innumerevoli fan di questa figura leggendaria -chiamarla icona mi sembra poco-.

Cocteau, se non ricordo male, diceva che il suo nome comincia con una carezza e finisce con un colpo di frusta.  Ecco in una definizione il senso emblematico del suo stile.

Ho adorato questo personaggio, finchè, parecchi anni fa, non ho letto la biografia scritta dalla sua unica figlia, Maria.  Certo, la Dietrich umanamente non ne esce bene, però lo stile rimane, anche se non era mica tutta farina del suo sacco. Ricordiamo che a vestirla era Travis Banton, uno dei costumisti più talentuosi di Hollywood.

Perché ho pensato a Marlene Dietrich in questo momento?  Perché mi sembra ancora un personaggio modernissimo, uno dei pochi capaci di coniugare una estrema femminilità con un’attitudine androgina che mai scadeva nel travestitismo. Eppure c’era qualche lato del suo look persino sopra le righe: pensiamo all’arco delle sopracciglia o a un certo gusto per i materiali glitter.  Nonostante ciò era a suo modo classica.

L’immagine di lei che mi è rimasta più impressa è quella del film Shanghai Express.  Lei che fuma in un vagone con indosso una vestaglia bordata di piume di gallo. L’ombra delle piume sul viso.  Il film era in bianco/nero, ma io ho sempre percepito quella scena soffusa di un alone blu.

Mi sono accorta che nelle ultime sfilate molti stilisti con le loro collezioni hanno cercato di catturare l’attitudine della Dietrich, quel modo inconfondibile di essere donna e non più ragazza.  Complice l’aria di crisi generale, sembra che una figura femminile matura e assertiva, oltre che consapevole della sua seduttività, sia il punto di riferimento di molta moda attuale.

La Dietrich non era solo un’attrice, era una show-woman, una opinion-leader capace di prendere posizioni precise e decise (e le prese diventando fumo negli occhi per Hitler).  In uno dei suoi ultimi film Testimone d’accusa il suo classicismo raggiunse l’apice, finendo per sembrare fintamente dimesso.  In realtà penso che il lavoro di sottrazione era perfettamente in sintonia con i tempi (1957), direi addirittura preveggente. Il New Look era ormai agli sgoccioli e morto Christian Dior il testimone passava a Yves Saint Laurent, che avrebbe compiuto la sua piccola/grande rivoluzione..

E’ proprio questa capacità di andare leggermente oltre che credo la renda eternamente moderna.

The Highlanders.

annawintour460

Brutto?

Coco Chanel con il suo immancabile caschetto nero, che somigliava ormai più a una parrucca -e forse lo era davvero- che a una chioma naturale. Vestita da eterna ragazzina, con la paglietta, il tailleur smilzo e le labbra imbellettate.  Immutabile e definitiva.

Diane Pernet con il suo total black, l’altissima cofana, occhiali a farfalla, labbra rosse e pelle diafana.

Anna Wintour, Franca Sozzani, Karl Lagherfeld..  Tutti riconoscibili alla prima occhiata, tutti come fermi nel tempo. Apparentemente.  A volte mi torna in mente il personaggio principale di morte a Venezia.

Sembra paradossale se si pensa che sono tutte persone che si occupano di uno dei fenomeni più mutevoli che esistano,  ma forse è proprio in contrapposizione a questo velocissimo e straniante cambiamento che si pongono con la loro fissità: tutto cambia, ma io resto.

Immagino che ci siano, come sempre, più punti di vista e penso ad Anna Piaggi, che riusciva ad essere al contempo sempre diversa e sempre uguale a se stessa.  Iconica nel vero senso del termine al punto da impregnare di sè ogni pezzo che indossava.

A volte in questo esercizio si avverte una rinfrancante autoironia, altre volte, piuttosto, un fastidioso autoreferenzialismo.  Mi sembra di scorgere il tentativo di andare al di là della moda -o al di sopra?-.

Ma forse potrebbe trattarsi di una semplice scelta di marketing: perchè cambiare un prodotto che funziona?