Una assoluta leggerezza.

Bello.

Si è appena concluso il festival della canzone italiana, che io guardo da sempre con attenzione e rispetto, essendo un fatto di costume importante.

Le impressioni sulla musica e i look dei protagonisti le tengo per me (già troppi ne hanno disquisito), vorrei soffermarmi soltanto su un dettaglio che mi ha incantato e che mi dà lo spunto per qualche piccola riflessione.

Due tra i musicisti che ho più apprezzato portavano al bavero delle spille che non passavano affatto inosservate. Elementi sicuramente scelti con intenzione e usati per trasmettere un messaggio. Una scelta che ho trovato delicata, che mi ha comunicato eleganza e persino  speranza. Sembra strano, lo so, ma la moda può anche questo.

Portare tutto con nonchalance, senza forzare la mano, questo poi è il segreto.

L’idea che il rigore di una giacca maschile possa essere alleggerito da un elemento volutamente decorativo mi sembra tanto semplice quanto significativa.  Abbiamo tutti bisogno di alleggerire il carico di questi anni anche attraverso piccole operazioni di stile, puntando su dettagli che sembrino giochi, frivolezze o anche simboli di assoluta leggerezza.

Il successo dell’incoscienza.

 

02Bello??

Ci sono stagioni diverse nella vita di ognuno e persino un designer, pur non volendo affatto paragonarsi ad un artista, hai i suoi vari periodi.

Diciamo che normalmente nei suoi anni giovanili egli si muove e produce con una certa spensieratezza: quella necessaria incoscienza che gli deriva in parte dall’ingenuità e in parte dalla sensazione che il mondo sia in attesa di un segno. E quel segno potrebbe essere il suo.

Riguardando i miei vecchi lavori, in un luminoso giorno di gennaio, mi sono ricordata di quella sensazione felice. C’è in quegli oggetti una magnifica impressione di tempo inesauribile e la possibilità che tutto si potesse fare e disfare. Ma per natura non sono una che si dilunga in rimpianti e nostalgie, e allora, cosa ne facciamo di questo viaggio nel tempo?

Forse ogni tanto ci serve recuperare qualche pezzo che si è perso per strada, metterlo insieme agli altri per dare più senso al puzzle.  Vedo intorno a me molto affanno per numeri e risultati concreti, gente che si svende volentieri per una briciola di notorietà, come se l’unico obiettivo sia davvero quello di essere in prima fila ogni volta. Eppure conosco persone cariche di denaro e possibilità, che vivono in case enormi ma deserte.

Allora ripenso a quel guizzo iniziale. Può darsi che l’intero sistema moda abbia bisogno di ripensarlo, di ritrovare una dose di sana e liberatoria incoscienza. Quella che permette di compiere anche qualche scivolone, ma con allegria. Quella che tolga dalla faccia di finanziatori, redattori, buyer, blogger, influencer e compagnia bella, quell’espressione di tronfio auto-compiacimento e che regali alla faccia di designer una reale leggerezza.

Per quanto mi riguarda la direzione è già quella, altrimenti a cosa servono gli scivoloni e l’esperienza? Se la parola successo ha un reale collegamento con ciò che è già successo, allora questo potrebbe essere il senso.

 

Every bag is a little piece of world.

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Bello.

Ho avuto il piacere di chiacchierare con Benedetta Bruzziches e pur essendo al telefono, ho visto chiaramente il suo sorriso. Lo stesso sorriso che si può facilmente intuire guardando le sue borse.

La sua è una storia che potrebbe essere raccontata in un libro di favole. Lo immagino così, con le illustrazioni coloratissime e le sue borse che si aprono e ti trasportano in un luogo dove tutto è possibile. Persino di incontrare a un certo punto Elsa Schiaparelli, a cui quelle borse, sono quasi certa, sarebbero piaciute davvero.

Due parole mi svolazzano per la testa, se penso al suo stile: ironia, poesia.

Strano, perché l’ironia è di solito associata ad un atteggiamento cerebrale, distaccato, anche pungente. Strano, perché l’ironia di Benedetta è invece tutta giocosa, persino un po’ infantile.

E allora mi ricordo di quella lezione fondamentale di Italo Calvino, quella sulla leggerezza. Bisognerebbe rileggerla ogni tanto, per ricordarsi che non c’è nulla di più profondo di ciò che riesce a conquistare la superficie delle cose dopo averne compreso la complessità.

Lieve come un velo, forte come una donna.

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Bello.

“Da film come ‘Hiroshima mon amour’ e ‘In the mood for love’ l’immagine bella e vagamente malinconica di una donna disegnata dall’amore struggente, da un’atmosfera di luci come lanterne che illuminano creando tanto chiaroscuro”.

Questo racconta Luigi Borbone della sua ultima collezione di alta moda per l’autunno inverno 2015-16.  Come sua abitudine, le ispirazioni sono varie: se da una parte c’è l’Oriente, dall’altra ci sono gli anni ’50 di Dior. Ma a dispetto di ciò che si potrebbe immaginare, regna su tutto una pulizia formale che si sbarazza di ornamenti retrò e facili orientalismi.

Ricordate quando in un precedente post a proposito di Margiela parlavo di scheletro portante riferito alla moda? Ecco, chi parla con scioltezza la lingua della couture sa bene cosa significhi: non è con il superfluo che si costruisce un’idea chiara.

Mi piace sempre più la donna immaginata da LuigiMaria, così tranquilla da concedersi abiti che non la nascondono; privi di impalcature difensive, privi di formalità inutili.

Una grande iniezione di leggerezza (finalmente).

 

Maison Martin Margiela – Shocking couture.

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Bello.

Strano l’effetto che mi ha fatto l’ultima sfilata di alta moda di Maison Martin Margiela.. Ho subito immaginato che sarebbe piaciuta da matti a Elsa Schiaparelli.  Proprio qualche giorno dopo il defilè che usa il nome della stessa couturier.  Sarà un caso?  Forse da un’altra dimensione la Schiap si è divertita ancora una volta a confondere le acque.

Ma questa collezione, secondo me, mette ancora di più in luce l’inadeguatezza di quell’altra. Dimostra che originalità, leggerezza e ironia sono possibili. Senza prendersi troppo sul serio, ma facendo comunque un buon lavoro.

Proprio come faceva la mitica Schiap.

Se questa è Elsa – Se questa è alta moda.

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Brutto.

In molti attendevano il debutto di Marco Zanini per Schiaparelli. In molti avevano applaudito ancor prima di vedere i risultati, basandosi sulle dichiarazioni e sugli intenti.  Pessima idea, secondo me: conviene sempre tenere a mente che verba volant.

Quello che non comprendo è come si possa parlare di ‘alta moda’ in questo caso, quando ci sono collezioni di pap (vedi Valentino, McQueen) assolutamente superiori dal punto di vista della tecnica.  Saltano all’occhio (anche al mediamente esperto) innumerevoli ‘difetti’ e vere e proprie imperfezioni.  Ma non è tutto, Elsa Schiaparelli fu la prima a proporre collezioni a tema, dimostrando come fosse feconda la sua fantasia e capacità di variare partendo da una sola ispirazione, ma tenendo ben strette le redini della coerenza di risultato.  Zanini si permette di scardinare il sistema, producendo un insieme di abiti eterogenei e slegati tra di loro. Dichiara di aver voluto dar voce alla figura di Elsa, donna indipendente e avventurosa, attraverso outfit che fossero la rappresentazione di diversi tipi di donne.  Il risultato è l’assoluta predominanza delle modelle sugli abiti.

Lo stile è poco incisivo, i riferimenti ci sono (anche se lo stilista dice di non aver voluto attingere granchè), ma sono senza forza, come svuotati dall’interno. Non si avverte ironia e nemmeno leggerezza. Questo si che è un peccato mortale, parlando di Schiaparelli.

Naturalmente tra i giornalisti c’è già chi tenta la scalata sugli specchi, per non dover dire quanto sia misero questo exploit. D’altra parte nemmeno in occasione del precedente e pessimo esordio di Lacroix c’erano state lamentele (anche se qualcuno adesso osa accennare). Mi aspetterei un poco più di coraggio..

Una piccola favola nel bosco d’inverno.

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Bello?

Si dice spesso che la moda è sogno. Potrebbe essere anche favola?  Mi è tornata in mente questa storia che avevo dedicato a mio figlio, per avvicinarlo al lavoro che faccio, ma anche per accarezzare ancora una volta la parte di me bambina.  Si inizia giocando con le bambole, poi giochiamo a travestirci e infine proviamo a immaginare storie che possano essere indossate da altre persone.

Per non dimenticare quanta parte di gioco e leggerezza ci sia (ancora) in questo mestiere.  Lontano dai palcoscenici, dagli articoli un po’ spocchiosi e  dalla pazza folla.

 

(*) Tutte le foto sono di Stefania Bonatelli.

Le invasioni germaniche.

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Bello.

Un’altra designer tedesca: Christa van der Meer.  Non deve essere un caso che la Germania, unico pezzo d’Europa esente dalla crisi, sforni creatività e propositività.

Christa ha già collaborato con Henrik Vibskov ed è anche una eccellente illustratrice, basta dare un’occhiata ai lavori sul suo sito.

I suoi abiti risentono di un evidente sperimentalismo, ma ciò nonostante lasciano intuire un gusto radicato, cromatismi e accostamenti originali: l’Africa che tiene a braccetto il Nord, stampe e forme prese da costumi tradizionali ma sovra-dimensionati.

C’è una certa leggerezza in queste prove tecniche di collezione, che non è proprio ironia, ma ci si avvicina.  In ogni caso penso che quei colori e quelle fantasie siano una gioia per gli occhi. Almeno per i miei.

Cacharel: comfort-mood.

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Bello.

Cacharel collezione SS 2014.  A questo marchio sono legata per motivi affettivi, grazie ad alcuni abiti che hanno accompagnato la mia vita e quella dei miei figli. Abiti, tra l’altro, che hanno superato quasi indenni la prova del tempo – e non è poco -.

Mi piace constatare che il marchio rimane fedele a quell’idea di stile che ha sempre avuto: leggero e portabile, un poco romantico, ma mai stucchevole. Avvedutamente aggiornato, ma comunque coerente con il punto di partenza.

La fiducia è un bene durevole.

Aganovich: anarchy through elegance.

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Bello.

Aganovich SS 2014.  A mio parere, e non solo, una delle collezioni più interessanti della recente Paris Fashion Week.  Non è solo l’immagine, e quindi l’estetica, che mi hanno attratta in questa collezione; c’è anche una non usuale attenzione per il dettaglio tecnico.  Alla base di questi abiti apparentemente svelti e sciolti si nota una modellistica accurata che dosa pesi e volumi.  Si intuisce anche dal risultato: abiti lunghi, a volte composti da più strati, ma mai pesanti.  C’è costantemente un’idea di leggerezza rilassata in questa moda, come se anche quando si tratta di abiti aderenti, ci sia comunque aria che circola libera tra la pelle e il tessuto.

Le sfumature dei pochi colori proposti non sono scontate e dosate con molta parsimonia, così come le minime fantasie.  E’ una moda che si ispira al popolo beduino e infatti è facile immaginare una donna viaggiatrice in questi abiti, che coniugano eleganza e comfort. La palette, tra l’altro, ricorda molto i toni della sabbia del deserto o il bianco e nero deciso della luce e dell’ombra.

Nelle parole del duo di stilisti compare il termine anarchia, inteso come rifiuto del punto di vista corrente. E’ evidente che ci deve essere stata una attenta riflessione sul concetto, evitando la semplicistica messa a punto di un abito contro. Da questa collezione, ancora più che dalle precedenti, appare chiaro che il punto di partenza critico ha prodotto una vera alternativa. Alternativa valida sia per lo stile che per il mercato. Bravi!