Giorgina e l’anima della moda.

giorgina

Bello.

Poco tempo fa ho avuto il piacere di fare una lunghissima chiacchierata con Giorgina Siviero, proprietaria e anima di San Carlo dal 1973, raffinato store e punto di riferimento della moda torinese. L’input è nato proprio da questo blog, che Giorgina ha scoperto e apprezzato, tanto da desiderare di incontrarmi personalmente (un atteggiamento di apertura e curiosità decisamente raro, soprattutto di questi tempi). La nostra conoscenza è iniziata in una sera di Luglio eccezionalmente fresca grazie a uno di quei temporali estivi che rendono l’aria e l’atmosfera così silenziose e sospese da apparire simili ad un acquerello appena steso. Il luogo perfetto è stato il ristorante Del Cambio, affacciato su una delle piazze torinesi più suggestive (piazza Carignano).

Tra una portata e l’altra io e Giorgina ci siamo raccontate di figli, libri, luoghi, ma soprattutto di moda. Ho trovato in lei l’interlocutrice ideale con cui scambiare opinioni e riflessioni su di un sistema che corre ormai alla velocità della luce: i suoi racconti e i suoi tantissimi preziosi ricordi mi hanno incantata e non vedo l’ora di ascoltarne ancora..

Ho riconosciuto nel suo approccio, quel sano senso critico che mi sforzo di infondere in questo blog.  Abbiamo inoltre sparso i primi semi per una collaborazione a un progetto che le sta particolarmente a cuore e che io trovo entusiasmante. Spero di poterlo raccontare a breve.

In seguito, approfittando della sua lunga esperienza sul campo, le ho proposto una breve intervista su moda e dintorni e lei, con la spontaneità e l’understatement  che la distinguono, ha accettato:

Come definiresti il tuo essere “against-fashion”?

“Premetto che io sono contro la moda inutile, improbabile, ignorante, cioè quella che ignora che il corpo di una donna ha una sezione aurea per cui e’ il vestito che deve adattarsi a questo e non viceversa.  Chi disegna moda deve tener conto di questo, perché un vestito risulti armonioso, elegante e comodo da portare; affinché una donna si senta disinvolta, bella quindi sicura di se.  La moda che non tiene conto di queste regole non è moda.  La moda che non scende in strada non è moda. La moda che non tiene conto del fatto che una donna quando si compra un vestito vuole imbellirsi, evidenziando le parti migliori e se possibile occultare quelle meno felici, e’ una moda nata già morta.  La moda non e’ arte: questa quasi sempre nasce brutta e solo col tempo diventa bella.  Nella moda avviene esattamente il contrario.  E’ inutile fare proclami contrari, cioè cercare di imporre una moda brutta.  Se la moda non e’ bella in partenza, sarà brutta fino alla fine.  Cioè subito. Ecco, in sintesi io sono solo contro la moda che va contro queste regole basilari.  Altrimenti evviva la moda!”

Che cosa pensi dell’ingresso dei social sulla scena della moda?

“Il nostro incontro e’ già una risposta alla tua domanda. Sicuramente la diffusione delle notizie che riguardano la moda e la condivisione di queste con il mondo in tempo reale e’ di vitale importanza e se questi mezzi vengono usati con intelligenza offrono un grande aiuto per creare scambi di idee e generare nuove opportunità di lavoro nell’industria della moda e in tutto ciò che ruota intorno a questa”

Quanto conta oggi la creatività nella realizzazione di una collezione?

“Conterebbe tanto, ma dov’è la creatività oggi?  Oggi la regola è quella di ingigantire le forme, esagerare i volumi, immettere dettagli inutili, se non addirittura peggiorativi.  Oggi lo stilista crede che creatività equivalga a esagerazione.  In sostanza, può darsi che la creatività, in senso oggettivo, oggi non esista.  E’ troppo legata a fattori economici e viene strangolata dalle logiche di mercato.  C’è poi da dire che una volta lo stesso stilista disegnava per una clientela ben definita, adesso deve disegnare per il mondo, come fa?  Per cui io attualmente non so più cosa significhi esattamente questo termine…”.

Poco più di un anno fa, Li Edelkoort, considerata una delle più accreditate trend watchers a livello mondiale, ha proclamato che la moda, così come l’avevamo conosciuta fino ad oggi, è morta. Cosa ne pensi?

“Ha ragione.  Gli abiti che vengono proposti, non sai più per chi sono pensati, a chi potrebbero andare bene…  Io, da addetta ai lavori, dico: -Che bello!…  Ma adesso, a chi lo vendiamo?…-.  Ha ragione, la moda è stata ridotta a semplice merce, direi persino “merce di contrabbando”!  Là dove invece era poesia, magia per rendere più belle le donne.  Oggi la tendenza è opposta, tende addirittura al brutto. Questo dice tutto”.

Infine, a che punto siamo oggi in Italia rispetto all’acquisizione del concetto che moda è anche un fatto di cultura (vedi scuole, fondazioni, musei, mostre, ecc.)?

“Certo che se valuto il concetto di cultura che circola oggi… devo pensare che il livello è molto basso!  Spero che non sia così anche per la moda.  Per esperienza personale però, ho verificato che le stesse istituzioni non sono spesso pronte a ricevere donazioni di oggetti o documenti inerenti la storia della moda, qui in Italia.  Io mi auguro che nascano davvero scuole capaci di insegnare ai ragazzi che cosa è stata la moda nel passato, perchè possano finalmente tornare a immaginare vestiti coerenti con il corpo delle donne”.

 

 

 

 

God save fashion!

fashion is dead

Brutto.

Li Edelkoort è annoverata tra le 25 persone più influenti nel comparto moda – continuo a chiedermi come e perché riescano a fare queste stime- in ogni caso è innegabile che sia una attenta e puntuale osservatrice di tendenze.

Al Design Indaba 2015 ha annunciato senza mezzi termini la dipartita della moda, così come noi la conosciamo. E ha elencato uno dietro l’altro i motivi che hanno portato a questo decesso:

-Educazione, o meglio mancanza di educazione vera per le nuove leve di designer.

-Perdita di competenze nel tessile.

-Incapacità del sistema e degli operatori di prendersi carico del problema dello   sfruttamento delle persone addette alla produzione.

-Rapporti, fin troppo compiacenti, tra case di moda, riviste e blogger (ossia una totale mancanza di pensiero critico).

-Marketing avido e cieco.

Quello che soprattutto denuncia la Edelkoort, è che la moda ha smesso di essere in comunicazione con ciò che succede nel mondo e con ciò che vogliono le persone. Non era mai successo prima: la moda è sempre stata lo specchio della storia e dei cambiamenti di costume e questa capacità le restituiva una funzione necessaria; direi che alimentava la parte sana del sistema.

C’è un passo dell’intervista che mi pare illuminante:

“Fashion shows are becoming ridiculous: 12 minutes long, 45 minutes driving, 25 minutes waiting. Nobody watches them any more. The editors are just on their phones; nobody gets carried away by it.”

Le sfilate sono diventate obsolete da molto tempo, eppure gli addetti ai lavori continuano a presentarle nello stesso modo, con le stesse noiose abitudini. Persino gli stessi sciocchi inconvenienti dell’ultimo minuto. Sorge il dubbio, che è una quasi certezza, che tutto serva ormai a deliziare solo la folla di appassionati che farebbero carte false pur di possedere quegli imperdibili inviti. Un sistema che si alimenta solo più grazie alla egocentrica visione di se stesso.

Un sistema ipocrita fino in fondo, visto che ormai la messa in onda in streaming cancella persino l’utilità reale della presenza in loco. Eppure ci sono fior di giornalisti che difendono il loro diritto ad esserci, aggrappandosi alla necessità di godere dal vivo il phatos di quei 12 minuti. Come se ogni sfilata fosse uno spettacolo, cosa che non è ormai, se non in rarissimi casi.

Li Edelkoort rincara ancora la dose quando dice che la moda è diventata solo una ridicola e patetica parodia di ciò che è stata e che l’unica strada è quella di concentrarsi finalmente solo sugli abiti.

Aggiungo io che la moda è morta perché non solo sono scomparsi i couturiers e i designer, ma latitano persino i direttori creativi.  Abbondano invece gli stylist, buoni a mettere insieme pezzi di qualcun altro.

Concentrarsi finalmente solo sugli abiti sarebbe una dieta necessaria. Dal canto mio non potrei essere più d’accordo: credo che la sua anti-fashion faccia il pari con il mio against-fashion; anche se penso che questo grido di dolore arrivi con un certo ritardo, in un sistema ormai talmente compatto che solo una deflagrazione interna potrebbe scalfire.

E’ probabile che il fondo del barile non sia stato ancora raschiato.