S.O.S. (Semplicità Ordine Sobrietà).

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Mario Dice.

missoni-17Missoni.

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Laura Biagiotti

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Blumarine.

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Bottega Veneta.

Bello?

E’ vero che con la semplicità non si sbaglia (quasi) mai,  è anche vero però che oggi a far cose semplici ci vuole qualche grammo di coraggio in più.

 

Tutto il brutto che c’è. (1).

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Fausto Puglisi

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Gucci.

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Philipp Plein.

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N° 21.

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Roberto Cavalli.

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Alberta Ferretti.

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Wunderkind.

Brutto.

Nel 1961 Piero Manzoni mise in vendita 90 scatolette numerate e da lui firmate che valevano quanto l’oro (in base alla quotazione del momento). L’opera d’arte si chiamava Merda d’artista e ogni scatoletta conteneva, per l’appunto, merda.

“Operazione concettuale, autentica bomba a mano di natura post-dadaista. Oggetto duchampiano che crea un cortocircuito doppio, provocando sconcerto attraverso il ribaltamento della natura del contenuto, che viene poi lanciato nelle gallerie come opera d’arte..”.

Queste sono solo alcune delle definizioni che i critici si ingegnarono di trovare. Il gesto era quanto mai interessante e in fin dei conti dimostrava che anche la merda può essere venduta a peso d’oro.

Le camicie di Ferrè.

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Bello.

Sono tornata a Milano qualche settimana fa per visitare una mostra imperdibile, visto che si trattava di Gianfranco Ferrè.

La mostra si intitolava La camicia bianca secondo me. Gianfranco Ferrè ed era costruita, come si intuisce dal titolo, intorno ad uno dei grandi amori di Ferrè: la camicia bianca. Poiché si tratta di una passione che condivido e di cui ho già scritto e inoltre poiché ho sempre ammirato e apprezzato il lavoro di questo stilista, capite bene che non potevo mancare. Ferrè è uno dei pochi stilisti che non ha disdegnato l’insegnamento, intuendo che la trasmissione dei saperi fosse importante tanto (e forse più) quanto il lavoro creativo sugli abiti. Fu infatti uno dei fondatori della Domus Academy di Milano, dove insegnò fino a quando la maison Dior lo chiamò come direttore creativo. A quel punto gli impegni di lavoro gli impedirono di continuare, ma le sue lezioni sono raccolte in un importante volume: Gianfranco Ferrè – Lezioni di Moda, Marsilio ed.

La camicia bianca rappresenta per me la sintesi perfetta di estetica e funzionalità, un vero e geniale esempio di design e credo che difficilmente sia possibile migliorare questo risultato. Ciononostante Ferrè è riuscito a costruire intorno a questo capo tutto un mondo fatto di interpretazioni, suggestioni, costruzioni sartoriali che, lasciandone intatto il significato concettuale, ne amplificano tuttavia la portata.

L’allestimento della mostra era puro e suggestivo, credo come sarebbe piaciuto al grande stilista/architetto.

Per chi non avesse potuto ammirare di persona la mostra, lascio alle immagini il compito di raccontare questo fantastico viaggio nelle collezioni di Gianfranco Ferrè dal 1982 al 2006.

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Solo profumi e balocchi per te.

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Brutto.

L’ultima sfilata di Dolce & Gabbana a Milano per l’autunno inverno 2015-16 mi ha strappato qualche sorriso. No, non di compiacimento, piuttosto di divertimento.

Immaginavo che il duo di stiliti avesse ormai toccato tutti gli argomenti da classica macchietta italiana nel mondo, ma mi sbagliavo.  Non avevo considerato l’argomento principe, quello che fa dei nostri rampolli, i più sdolcinati del pianeta: la mamma.

E quindi mamme come se piovesse, con relativa prole in braccio, per mano o nel pancione. Orgogliose della loro “mammitudine” tanto da farsi scarabocchiare i vestiti con disegnini e letterine di eterno amore.  Gli stilisti, non ancora soddisfatti dell’effetto, inondano gli abiti di consuete rose rosse da festa della mamma e per chiarire il concetto a chi davvero fosse duro di comprendonio, scelgono come sottofondo musicale “Viva la mamma!” di Bennato.

Ma torniamo ai vestiti.  I cliché del marchio, neanche a dirlo, ci sono tutti: pizzi, Madonne e fiori.  Gli abiti denunciano una clamorosa mancanza di idee e non bastano quelle scritte a grandi lettere e quella profusione di rose a distogliere l’attenzione da una collezione poverissima di  novità, anche e soprattutto dal punto di vista sartoriale.

Sono quasi sicura che il parterre si sarà commosso fino alle lacrime; d’altra parte, devono aver pensato gli stilisti, tutti hanno una mamma

Se un cappotto è un cappotto.

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Bello.

Max Mara, collezione autunno inverno 2015-16, ovvero la filosofia del realismo coerente.

Senza andare tanto a girarci intorno, vi dico che io di questa collezione indosserei ogni singolo capo. Non tanto, credo, perché io rappresenti il prototipo del cliente-tipo, quanto piuttosto perché è evidente che quando si parla di design applicato alla moda, questo marchio sa bene di cosa si tratta.

Non pensate che sia qualcosa di scontato, visto che ormai tutti si definiscono fashion designer. Non pensate nemmeno che sia compito facile: lo sanno bene tutti quei pseudo-designer che negli anni hanno prodotto semplice merde (parola di Starck).

Non è un caso se nonostante l’avanzata dei piumini, da Max Mara continuano imperterriti a fare cappotti. E a venderli a quanto pare.

 

Il tempo del coro – Elogio del solista.

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Bello?

E’ innegabile che durante le ultime sfilate milanesi si stiano palesando due scuole di pensiero, o macro-tendenze, o meglio due rette parallele che temo non si incontreranno mai.

Una è quella che ho battezzato come fattore Prada, e l’altra si potrebbe definire scuola Valentino.  Ecco, di questo secondo gruppo fa parte l’ultima collezione di Alberta Ferretti per l’autunno inverno 2015-16.

Sono le due tendenze che sembra stiano risultando più convincenti sia sul piano mediatico che su quello commerciale. Mentre nel primo gruppo la ricerca è tutta concentrata sull’imperfezione chic (grazie ad Arianna per la definizione!) e sui risvolti concettuali dello straniamento che ne consegue, nel secondo gruppo la ricerca si sposta su un piano prettamente artigianale.  La donna-tipo è un’ancella irraggiungibile e non a caso i riferimenti sono spesso rivolti a un passato molto lontano e classico: il Rinascimento, i pittori fiamminghi, i pre-raffaelliti..

Inutile dire che entrambi i gruppi alla lunga mostrano i loro limiti (e a giudicare dall’ultima sfilata, persino Miuccia sembra essersene accorta), e poiché a me piacciono invece i cani sciolti, resto collegata, in attesa di scorgerne e poterli apprezzare.

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Bello.

Ammetto senza alcun senso di colpa che delle sfilate moda uomo me ne sto moderatamente infischiando. In fondo quel poco che mi è capitato di vedere mi da l’idea che niente di nuovo stia succedendo sotto il cielo: solite tipologie di adolescenti imberbi e gracilini fino al limite del bruttarello. Corpi esteticamente evanescenti, tanto da scomparire quasi dentro agli abiti.  Sembra che non sia chic l’uomo avvenente. Gli abiti poi, simulano l’eterna indecisione tra il super-classico sartoriale e la neo-boheme borghese e annoiata.

Ma da Missoni no. Qui il pettorale ha diritto di mostrarsi e gli abiti, che se pure non brillano per originalità, perlomeno non provocano sbadigli.

 

Una storia italiana (di ago, ditale e avanguardia).

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Bello.

Germana Marucelli è un altro di quei nomi poco, pochissimo noti all’interno della storia della moda italiana. Fortunatamente è di questi giorni un evento che restituisce al suo lavoro il giusto peso.

Germana era innanzi tutto una sarta, bellissima parola, che chi mi conosce sa quanto io tenga in considerazione.  Ma naturalmente non era solo questo. Diciamo che partiva da questa sapienza tecnica, altissima, per potersi esprimere anche a livello intellettuale.  Un’intellettuale del cucito, si potrebbe dire, e a chi storcesse il naso davanti a questa definizione suggerirei di andarsi a leggere la biografia, che contempla collaborazioni con artisti del calibro di Piero Zuffi e Getulio Alviani, mentre i suoi giovedì erano frequentati da personaggi quali Giò Ponti, Savinio, Casorati, Fontana, Quasimodo, Zanzotto, ecc.

Germana Marucelli era una donna concreta ma con un grande talento nell’annusare le tendenze e il futuro: è documentato dai suoi modelli il fatto che prevenne il new look quando ancora non era nemmeno nato. Ma si sa, una sartina italiana non avrebbe potuto certo competere con Monsieur Dior..  Però poteva ispirarsi a Picasso, Mirò, i surrealisti, e lo fece.

Fu attiva dagli anni ’20 fino al 1972  inventando tutto ciò che poteva e catturando l’aria del tempo come pochi altri. Lavorò nella Milano che non era ancora stata invasa dal prêt-à-porter, vestendo le donne più esigenti del suo tempo, italiane e non. Non si curò di quelle correnti sotterranee che stavano invadendo il mondo della moda per trasformarlo in gran parte nel circo che sarebbe diventato. Questo le costò un effettivo isolamento negli ultimi anni della sua carriera e credo anche l’oblio di cui il suo nome ancora risente.

Ci sono tesori nella storia della moda italiana che non brillano ancora quanto potrebbero e dovrebbero. E’ un vero peccato, ma anche un dovere per chi si occupa di questo settore, provare a scostare un po’ di polvere.

Dsquared2: gemelli diversi.

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Bello?

Chi mi conosce sa che non vado spesso a Milano. Nonostante io mi occupi di moda, è una città che mi resta ostica per molte ragioni.  Però ieri ci sono andata volentieri per assistere a due eventi che mi incuriosivano.  Uno era la sfilata PE2014 di Dsquared2.

Atmosfera caraibica, musica latina, colori brillanti come i fiori di quelle parti, cocktail e spiagge.  A dire il vero i Caraibi dello show assomigliavano a quelli delle cartoline anni ’50: un po Miami e un po Capri.  Le ragazze erano delle bond-girls molto accessoriate e indecise tra due lunghezze inconciliabili:  metà polpaccio o un niente sotto il sedere.

C’è un ossimoro che potrebbe descrivere questa collezione:  couture commerciale.  Una giovane donna che interpreta il cliché della signora benvestita, ma non disdegna di uscire anche in culottes..  Affetta da una leggera schizofrenia anche lei, quindi perfetta per questi tempi.

Mi sono divertita, devo ammetterlo.  Un po di leggerezza non fa male, basta che non si esageri con i copia/incolla dal passato e che le strizzatine di occhi verso le fashion addicted non diventino troppo frequenti.

Carini i  gemelli  Caten nel ruolo di barman all’inizio dello show.