Archeologia del mestiere 2.

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Brutto?

C’è un furgoncino nero che gira per le strade di New York e che ti prende le misure.

Detto così vien voglia di toccare ferro per scongiurare il peggio..  Ma niente paura, non ha nulla a che fare con le pompe funebri.

La trovata è di due giovanotti con un passato a Wall Street, che con un’abile mossa di crowfunding hanno racimolato il capitale per comprare un body scanner, montarlo su un furgone, e con l’ausilio di un sarto provvisto di campioni tessili, vanno in giro per la city a scansionare giovani uomini desiderosi dell’abito perfetto con poca spesa.

Dopo 15 minuti di radiazioni (speriamo innocue..) e la scelta di tessuto e dettagli, l’ordine parte per Shangai. E lì mi immagino che solerti mani sottopagate si apprestino a costruire un abito standardizzato, che arriva al cliente nel giro di sei settimane al costo di 400 dollari.

Giusto due menti abituate a maneggiare soldi e aride cifre potevano avere un’idea tanto priva di poesia.  La Arden Reed, così si chiama l’impresa, non deve aver mai sentito parlare di Savile Row, né di quell’atmosfera unica che si respira in una autentica sartoria per uomo, dove il sarto diventa un confidente un po’ speciale (e quanti film lo hanno raccontato..).

Ma il mercato, per fortuna, non è sempre scemo, e infatti il successo sperato stenta ad arrivare. Tanto che i due fondatori stanno già pensando a trovate pubblicitarie di supporto per spingere l’idea. Perché né il prezzo contenuto, né la comodità del furgone a domicilio sembrano all’altezza di una tradizione con un passato glorioso come quella dell’abito su misura.

Può darsi che in futuro le cose andranno esattamente in questa direzione, anzi è probabile.  Allora sarà un futuro un po’ triste dove vestiremo abiti senza anima né storia.

Archeologia del mestiere.

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Bello?

Il direttore del Musée Galliera di Parigi, Olivier Saillard, deve avere una predilezione personale per Tilda Swinton .  Già circa un anno fa aveva utilizzato il physique du ròle dell’attrice per un magnifico defilée/performance, The Impossible Wardrobe, in cui la Swinton indossava abiti di archivio, con quella sua attitudine atemporale. E chi meglio di lei? Indimenticabile la sua interpretazione in Orlando di Sally Potter.

Il nuovo progetto che coinvolge l’attrice si chiama Eternity Dress, ed ha come tema la parte meno celebrata dell’universo moda: la sartoria. Si potrebbe dire la confezione su misura, ma temo che qualcuno storcerebbe il naso: non suona abbastanza invogliante. Eppure quello che succede in questa quattro giorni di evento è proprio il confezionamento passo-passo di alcuni abiti sul corpo e per il corpo di Tilda Swinton, utilizzando le tecniche sartoriali d’antan (1950) che il museo stesso conserva nei suoi archivi, sotto varie forme. Quelle lavorazioni, per intenderci, che i più snob hanno sempre sminuito definendole da sartina.

Si comincia a parlare addirittura di archeologia della sartoria, come se quelle tecniche ormai facessero parte di un capitolo chiuso e sepolto. La cosa non mi sembra affatto positiva, né lusinghiera. Non c’è dubbio che il prêt-à-porter abbia monopolizzato il mondo della moda, ma di sarte e sarti in giro ce ne sono ancora, e qualcuno, se Dio vuole, non è nemmeno attempato..

Allora, tanto meglio andarsi a guardare questo video, che almeno è un vintage originale.

La mia sensazione è che attraverso una operazione più concettuale che di vera rivitalizzazione (o salvataggio), si tenti di raschiare un po’ il fondo. Non vorrei che anche questa, come già altre, fosse l’ennesima mostra utile per riempire spazi e agende e contemporaneamente far cassa. Il dubbio è amplificato dalla presenza di un personaggio come la Swinton, che ultimamente tende ad essere presente un po’ dovunque, inflazionando quel suo modo distaccato. Suggerendo un poco troppo insistentemente il suo essere o sentirsi ‘icona’.

Per dar nuovo lustro al mestiere di sarto, in fondo, basterebbe che esistesse qualche vera scuola di sartoria in più, anziché un’inutile profusione di scuole di design e stilismo.

Vito Nesta: tra sartoria e design.

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Bello.

Vito Nesta è un designer che ho conosciuto grazie al web. Lui non si occupa di moda in senso stretto, ma di sartoria si, a giudicare da alcuni suoi lavori.  Lo confesso, il suo vaso/ditale ha subito catturato la mia attenzione e non avrebbe potuto essere diversamente..

Certo lui lo mostra in modo ben più gentile rispetto a me, ma l’amore per l’oggetto in sè, credo sia simile.  Il ditale è un oggetto antico, un vero e proprio strumento (di protezione, di meccanica manuale) e infine una perfetta dimostrazione di design ben riuscito.  Un’altra cosa che accomuna Vito e me sono le origini pugliesi e come per lui, anche per me i ricordi della casa della nonna materna hanno contribuito non poco a creare l’immaginario estetico che da sempre mi accompagna.

La collezione di Vito Nesta si chiama sartoria ed è composta di vasi in vari colori (inDito è il nome del vaso), ma il mio preferito è quello color oro (lo stesso del ditale che uso tutti i giorni): il connubio tra un oggetto apparentemente modesto, ma in realtà lussuoso nella sua semplicità.

Del lavoro di Vito mi piace quella capacità di costruire ponti tra passato e presente, grazie ad oggetti atemporali.  Credo di non sbagliarmi se dico che c’è una ricerca di sacralità negli oggetti che prende in considerazione, e me lo conferma il fatto che in una delle sue interviste lui, in modo quasi spiazzante, dichiari che uno dei suoi desideri sarebbe quello di progettare una chiesa..