A Kind Revolution.

Bello.

Il primo approccio con l’universo Mod l’ho avuto grazie a mio fratello, che da ragazzo li frequentava e ne faceva parte. Allora (erano i primi anni ’80) lui girava con i componenti del gruppo musicale degli Statuto, che a Torino erano considerati tra i gruppi più cool del momento.

Io li guardavo con curiosità e anche una certa simpatia: mi piacevano quelle ragazzine con il carrè e i vestitini corti in bianco/nero. Mi incuriosiva quella fede assoluta verso uno stile che era stato dei loro genitori e che, con una apparente illogicità, si metteva in contrapposizione proprio agli ideali di quella generazione.

La cura per il dettaglio, ricordo, era quasi maniacale. Mio fratello faceva impazzire mia madre, perchè i pantaloni non erano mai abbastanza stretti e noi ridevamo per quelle che ci sembravano solo adolescenziali fissazioni.  In realtà i Mod hanno scritto un capitolo interessante della storia dello stile e della moda. Il loro approccio, che avrebbe potuto essere liquidato come l’ennesimo revival, aveva basi politiche e l’intenzione di mettere in atto una vera e propria rivoluzione.

Come in tutte le rivoluzioni, era necessaria una divisa che li rendesse riconoscibili, e loro avevano scelto quella di un Modernismo pre-borghese, ripulito dal decorativismo che sarebbe arrivato nei tardi ’60. Di quel decennio avevano preso solo la spinta verso il futuro e non l’opulenza del boom economico.

Paul Weller è considerato il padre dei Mod, un vero esempio di eclettismo musicale, che è però sempre rimasto fedele allo spirito originario del movimento. In una sua recente intervista parla del suo ultimo album (Kind revolution), della sua vena ottimista, nonostante le difficoltà e l’atmosfera generale.

Usa due parole chiave, che hanno immediatamente destato la mia attenzione: speranza compassione.  Due parole bellissime, soprattutto se messe insieme.  Mi sono chiesta se anche attraverso gli abiti si possano comunicare concetti così fragili e guardando le foto del musicista, oggi quasi sessantenne, ho notato quanto il suo stile sia diventato più fluido.

Dei Mod rimane la voglia di cambiamento, ma quella che era una contrapposizione ferma come i completi neri con camicia bianca, oggi è diventata una rivoluzione morbida con i jeans e i maglioni decorati con una stella.  In poche parole, la capacità di cambiare rimanendo se stessi.

Rappel a l’ordre.

Bello.

Rappel a l’ordre, si intitola così la prima collezione di Giorgina Siviero per San Carlo dal 1973, Torino. Stesso titolo per il video realizzato da MIST (Eleonora Manca e Alessandro Amaducci), nato per raccontare le origini, gli intenti e il clima del progetto.

Avevo già lavorato in passato con MIST (qui e qui) e sono stata felice di coinvolgerli in questo progetto. Il video è un racconto per immagini e parole di quello che avviene prima. Prima della sfilata, che di solito è considerata il centro e l’apice del progetto.  Ma non è così: ci sono momenti decisamente più significativi, ci sono gesti e passaggi che richiedono un’attenzione e una cura estreme.  Il lavoro che c’è dietro una collezione è la vera anima della stessa.

Per questo video e per la sfilata ho curato i testi, che sono nati come uno dei lavori di sartoria che compio abitualmente: cuciti sulle immagini, pensati come vestiti su misura.

Il video cattura un’atmosfera, fissa per immagini quella zona di poesia che si trova a frequentare chi entra in una sartoria o un atelier. La magia delle piccole cose che realizzano qualche sogno.

 

Le mille e una fiere della vanità.

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Bello?

Si è appena concluso un fine settimana densissimo a Torino, in termini di arte e design. Sembra che tutti siano venuti da queste parti per dire almeno di esserci stati. Hanno guardato frettolosamente qualcosa e poi se ne sono andati velocemente, così come erano arrivati. Di solito quel qualcosa si chiamava Artissima (certo che venire a Torino solo per vedere questa fiera è davvero impensabile..).

Io invece quest’anno Artissima me lo sono persa; che se la sorbiscano i soliti presenzialisti.  Che noia questo salone che non mi riserva più alcuna emozione, ma solo un gran mal di testa!

Ho partecipato invece a un workshop a Operae. Il workshop era interessante, mentre la rassegna molto meno. C’è in giro troppa fame di auto-affermazione e troppe poche idee utili: ma il design non doveva servire innanzitutto a soddisfare bisogni reali? Mi è sembrato di vedere molta arte applicata e poco design, ma allora diamo alla rassegna la definizione giusta. Il che non sarebbe affatto male, visto che un salone dell’arte applicata non lo fa ancora nessuno..

Poi ho fatto un giro a Paratissima, che conferma la propria missione di mettere insieme in maniera confusa e democratica l’alto con il basso, il mercatino del bric-a-brac con l’arte, i dilettanti con i professionisti. Insomma un gran casino.

Tutto questo mi è bastato. Certo mi sarò persa qualche altra interessantissima cosa, ma la città in questa stagione offre visioni meravigliose che non si trovano in luoghi chiusi e ogni tanto bisogna ricordarsi semplicemente di respirare.

 

 

Giorgina e l’anima della moda.

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Bello.

Poco tempo fa ho avuto il piacere di fare una lunghissima chiacchierata con Giorgina Siviero, proprietaria e anima di San Carlo dal 1973, raffinato store e punto di riferimento della moda torinese. L’input è nato proprio da questo blog, che Giorgina ha scoperto e apprezzato, tanto da desiderare di incontrarmi personalmente (un atteggiamento di apertura e curiosità decisamente raro, soprattutto di questi tempi). La nostra conoscenza è iniziata in una sera di Luglio eccezionalmente fresca grazie a uno di quei temporali estivi che rendono l’aria e l’atmosfera così silenziose e sospese da apparire simili ad un acquerello appena steso. Il luogo perfetto è stato il ristorante Del Cambio, affacciato su una delle piazze torinesi più suggestive (piazza Carignano).

Tra una portata e l’altra io e Giorgina ci siamo raccontate di figli, libri, luoghi, ma soprattutto di moda. Ho trovato in lei l’interlocutrice ideale con cui scambiare opinioni e riflessioni su di un sistema che corre ormai alla velocità della luce: i suoi racconti e i suoi tantissimi preziosi ricordi mi hanno incantata e non vedo l’ora di ascoltarne ancora..

Ho riconosciuto nel suo approccio, quel sano senso critico che mi sforzo di infondere in questo blog.  Abbiamo inoltre sparso i primi semi per una collaborazione a un progetto che le sta particolarmente a cuore e che io trovo entusiasmante. Spero di poterlo raccontare a breve.

In seguito, approfittando della sua lunga esperienza sul campo, le ho proposto una breve intervista su moda e dintorni e lei, con la spontaneità e l’understatement  che la distinguono, ha accettato:

Come definiresti il tuo essere “against-fashion”?

“Premetto che io sono contro la moda inutile, improbabile, ignorante, cioè quella che ignora che il corpo di una donna ha una sezione aurea per cui e’ il vestito che deve adattarsi a questo e non viceversa.  Chi disegna moda deve tener conto di questo, perché un vestito risulti armonioso, elegante e comodo da portare; affinché una donna si senta disinvolta, bella quindi sicura di se.  La moda che non tiene conto di queste regole non è moda.  La moda che non scende in strada non è moda. La moda che non tiene conto del fatto che una donna quando si compra un vestito vuole imbellirsi, evidenziando le parti migliori e se possibile occultare quelle meno felici, e’ una moda nata già morta.  La moda non e’ arte: questa quasi sempre nasce brutta e solo col tempo diventa bella.  Nella moda avviene esattamente il contrario.  E’ inutile fare proclami contrari, cioè cercare di imporre una moda brutta.  Se la moda non e’ bella in partenza, sarà brutta fino alla fine.  Cioè subito. Ecco, in sintesi io sono solo contro la moda che va contro queste regole basilari.  Altrimenti evviva la moda!”

Che cosa pensi dell’ingresso dei social sulla scena della moda?

“Il nostro incontro e’ già una risposta alla tua domanda. Sicuramente la diffusione delle notizie che riguardano la moda e la condivisione di queste con il mondo in tempo reale e’ di vitale importanza e se questi mezzi vengono usati con intelligenza offrono un grande aiuto per creare scambi di idee e generare nuove opportunità di lavoro nell’industria della moda e in tutto ciò che ruota intorno a questa”

Quanto conta oggi la creatività nella realizzazione di una collezione?

“Conterebbe tanto, ma dov’è la creatività oggi?  Oggi la regola è quella di ingigantire le forme, esagerare i volumi, immettere dettagli inutili, se non addirittura peggiorativi.  Oggi lo stilista crede che creatività equivalga a esagerazione.  In sostanza, può darsi che la creatività, in senso oggettivo, oggi non esista.  E’ troppo legata a fattori economici e viene strangolata dalle logiche di mercato.  C’è poi da dire che una volta lo stesso stilista disegnava per una clientela ben definita, adesso deve disegnare per il mondo, come fa?  Per cui io attualmente non so più cosa significhi esattamente questo termine…”.

Poco più di un anno fa, Li Edelkoort, considerata una delle più accreditate trend watchers a livello mondiale, ha proclamato che la moda, così come l’avevamo conosciuta fino ad oggi, è morta. Cosa ne pensi?

“Ha ragione.  Gli abiti che vengono proposti, non sai più per chi sono pensati, a chi potrebbero andare bene…  Io, da addetta ai lavori, dico: -Che bello!…  Ma adesso, a chi lo vendiamo?…-.  Ha ragione, la moda è stata ridotta a semplice merce, direi persino “merce di contrabbando”!  Là dove invece era poesia, magia per rendere più belle le donne.  Oggi la tendenza è opposta, tende addirittura al brutto. Questo dice tutto”.

Infine, a che punto siamo oggi in Italia rispetto all’acquisizione del concetto che moda è anche un fatto di cultura (vedi scuole, fondazioni, musei, mostre, ecc.)?

“Certo che se valuto il concetto di cultura che circola oggi… devo pensare che il livello è molto basso!  Spero che non sia così anche per la moda.  Per esperienza personale però, ho verificato che le stesse istituzioni non sono spesso pronte a ricevere donazioni di oggetti o documenti inerenti la storia della moda, qui in Italia.  Io mi auguro che nascano davvero scuole capaci di insegnare ai ragazzi che cosa è stata la moda nel passato, perchè possano finalmente tornare a immaginare vestiti coerenti con il corpo delle donne”.

 

 

 

 

Storie di donne e di moda – Palazzo Madama, Torino

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Bello.

Che cos’è un abito, un accessorio se non una fonte di ricordi? E’ quella macchina del tempo che ci rimanda a come eravamo in un momento preciso del nostro passato; racconta più di una foto, perché lo abbiamo portato sulla pelle, perché la sua tridimensionalità lo rende concreto.

Da queste suggestioni nasce il progetto di Palazzo Madama, Torino: Torino un secolo di moda. Di questo progetto fa parte la mostra inaugurata ieri e visitabile fino al 18 gennaio 2015, Affetti Personali – Storie di donne e di moda.

L’idea è proprio quella di creare una raccolta che parli di storia della moda attraverso gli oggetti donati dalle torinesi che hanno vissuto personalmente, o per altre vie, quegli anni in cui la città era il luogo della moda italiana.

Attraverso un dono la propria storia diventa così storia di tutti e quindi patrimonio protetto, condiviso e tramandato. Le storie che accompagnano questi oggetti di moda sono state raccolte inoltre su video consultabili sul canale youtube di Palazzo Madama, in modo che anche il racconto orale, prezioso, non vada disperso.

Le donazioni comprendono anche fotografie e attrezzi dei mestieri della moda e permettono di far luce su eccellenze artigiane ormai scomparse, ma fondamentali per annodare i fili di una storia del made in Italy che ancora stenta a trovare una completa esposizione.

Immagino che questo progetto, piccolo ma significativo, sia un bel modo per muovere i primi passi verso la creazione di sedi museali che contemplino la moda e la sua storia come fenomeno culturale anche in Italia.  E chissà che altre città, considerate più glamorous in fatto di moda, non possano prendere spunto da questo esempio collettivo e gratuito.

Performing fashion and art – a short, extraordinary story

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Bello.

L’occasione per parlare ancora del connubio moda/arte me la fornisce un progetto a cui sto lavorando in collaborazione con l’artista Andrea Massaioli: LED/3 times.

Si tratta di una performance che sarà presentata giovedì 20 Novembre a Torino in uno dei luoghi più rappresentativi della città, la Galleria San Federico.

Non ho cambiato idea riguardo alla questione: per me la moda non è arte.  Però la moda può farsi ispirare dall’arte e a sua volta essere fonte di ispirazione o terreno di sperimentazione.

Quale è la sfida più ambiziosa?  Che un abito sia un’espressione artistica e contemporaneamente risulti un oggetto di moda.

Io credo che ottimisticamente ci si possa avvicinare, ma consapevoli che si tratta di una missione impossibile: un abito che è arte smette di essere moda e viceversa.

Con Andrea Massaioli abbiamo lavorato a vista, con incredibile facilità a volte, accumulando segni e necessariamente poi per sottrazione. Credo che il rispetto reciproco per il lavoro dell’altro sia la chiave, ma ancora di più la mancanza di preconcetti di Andrea verso la moda. Questo si che mi sembra eccezionale.

Ecco come vede lui questa storia:

“arte interdisciplinare” ,”arte multilinguistica”…definizioni e banalizzazioni che riempiono e intasano il mondo dell’arte e che richiamandosi alla sperimentazione avanguardistica novecentesca ne fanno una condizione sine qua non affinchè l’artista possa essere molto “contemporaneo”.Uno spruzzo di installazione sonora, un goccio di proiezione video, un pizzico di performance, un quadrettino dipinto velocemente, un’ultima aggiunta di materiali vari riciclati qui e là e il “giovane artista multidisciplinare” è servito. Paradossalmente la possibilità oggi di poter dare alla definizione di arte e creatività un senso di libertà totale ha portato alla omologazione globale di parametri,  griglie e aspettative prevedibili, come quelle della interdisciplinarietà dei linguaggi artistici. Ed è con queste diffidenze che ho incominciato ad avvicinarmi al mondo della moda, ma Adriana, come un Virgilio dantescoin questi mesi mi ha preso per mano e portato attraverso i vari gironi del fashion, con una sensibilità e  conoscenza che mi hanno sorpreso e intrigato. Ho trovato nel mondo dell’haute couture una altissima densità artistica, non solo sperimentale, ma anche artigianale e alla fine sapienziale. Fashion designer che in quanto a creatività non hanno nulla da invidiare ai colleghi “artisti di arte contemporanea”, anzi…E’ chiaro che le contaminazioni esistono, ispirano…ma nei casi eccellenti non  come prima necessità e rimangono semmai  sempre legate a dinamiche interne al processo creativo. Collaborare con Adriana mi ha riportato alla memoria una mostra che ho realizzato insieme a Giorgio Griffa, un artista che ha sempre lavorato nella pittura, e per un lungo periodo di tempo abbiamo lavorato insieme, proprio fisicamente a quattro mani, su carte di varie dimensioni che poi abbiamo esposto. Lavorare con persone stimolanti è un’ottima occasione per uscire dalla solitudine dello studio, collaborare a quattro mani, mischiare le carte, lasciarsi andare per slittamenti di senso…perdersi.

Per chi passasse da Torino il 20 di Novembre, l’appuntamento è alle 18,30 in Galleria San Federico, nel pieno centro della città in concomitanza con l’inaugurazione dell’evento “SAR:TO – La moda illumina Torino”, di cui, insieme a Walter Dang, ho curato la sezione sartoriale.

 

 

Artissima e la moda.

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Bello?

Serpeggia negli ampi corridoi tra uno stand e l’altro, la scorgi chiaramente sui volti e gli abiti degli assistenti: giovani, belli e irrimediabilmente cool.  Ma, cosa ancora più sorprendente, la ascolti nelle parole del giovane artista che ti spiega la sua opera.

Questa attitudine verso la moda (o il design).

Mi sono rifiutata di fotografare manichini da bric-à-brac, improbabili stendini carichi di abiti dismessi e insignificanti, il lounge riservato ai vips.  Tutti esempi di una deriva già vista e che non merita di essere documentata.

Allora non chiamatela artissima. Semmai artina.

La moda racconta la televisione.

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Bello..

A Palazzo Madama, Torino c’è una mostra che sembrerebbe interessante: 1924 -2014 La RAI racconta l’Italia. Un racconto che passa attraverso gli abiti di scena di trasmissioni ormai storiche, varietà, balletti, festival di Sanremo.

La prima sala che accoglie i visitatori è decisamente un bel colpo d’occhio: sono in mostra quattro spettacolari abiti neri indossati da Mina e creati da Piero Gherardi.

Il resto della mostra (una quarantina di capi) staziona in giro per le sale tra mobili antichi e oggetti relativi ad un’altra mostra in contemporanea, senza che ci sia alcun legame tra le due esposizioni.  Questo inoltre consente agli organizzatori di pretendere un biglietto niente affatto a buon mercato: 12 euri.

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Peccato, perché l’argomento ritengo che avrebbe meritato un respiro ben più ampio e un approfondimento anche attraverso foto di scena, video di repertorio e scritti esplicativi decisamente più documentati.