Per Natalie.

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Bello.

Aveva quel sorriso sghembo Natalie, frutto di una bellezza inconsapevole. Si portava dietro una strana e dolcissima tristezza che era probabilmente il frutto di qualche segreto dolore.

Era gentile, sempre, e questa è una virtù a cui non si dà mai la dovuta importanza. Era alta, sottile, sembrava attraversare la vita con noncuranza. Sono sicura che invece ogni cosa le arrivava dritta addosso.

E’ stata una delle mie prime modelle e non credo di averla ringraziata mai abbastanza per il tempo che mi ha regalato, quel tempo in cui tutti eravamo giovani e, per l’appunto, pieni di tempo.

Ora il tempo per Natalie non scorre più, perchè Natalie se n’è andata.

Ho un ricordo vivissimo di quei giorni in cui facevo i miei primi esperimenti di moda, sbagliando per troppo entusiasmo, seguendo solo l’istinto. Lei fa parte di quei ricordi, di quei primi vestiti e di quel tempo in cui non c’erano mezze misure. Ci si muoveva nella vita con un andazzo naif e tanta buona volontà: non c’erano ancora i cellulari e i social e i rapporti non passavano attraverso filtri.

Ci si incontrava per fare cose, sviluppare progetti; si passavano serate a discutere e i miei vestiti allora, quasi sempre, nascevano da quel processo. Tra le facce di quel tempo compare lei: i suoi capelli arruffati e lo sguardo divertito.

Le devo almeno questo, un ricordo e un grazie tardivo.

 

p.s. Le foto sono di Maren Ollmann.

Let’s dance!

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Bello.

Oggi compio 112 anni e sto una meraviglia.

Tra qualche minuto indosserò una tuta da ginnastica e la giacca a vento verde smeraldo e andrò a fare una corsetta al parco.

Poi aprirò le ante del mio guardaroba e sceglierò un vestito che mi assomigli tanto da confondersi con il colore della mia pelle: un rosa antico appena appena scaldato da una punta di ambra.  Trovo assolutamente confortante la sensazione di diventare quasi trasparente e al tempo stesso un punto esclamativo di se stessi.

In tutti questi anni e compleanni ho riflettuto sul potere che hanno su di me i vestiti che metto e tolgo continuamente. A volte dimentico di averli addosso, mi seguono docili e servili. Diventano ininfluenti.  Non è il loro lato migliore.

Preferisco quando mi obbligano a una silenziosa battaglia: io che mi divincolo un po’ e loro che mantengono ferma la posizione di consistenza e volume.  Mi invitano ad assumere forme che non avevo preso in considerazione, smuovono la mia testardaggine.  In fondo a che servirebbe rimanere ancorati a una perenne sicurezza?

Immagino che debbano pensarla così le signore che amano esagerare con tutti quegli addobbi e colori sgargianti, aggiungendone ancora e ancora con il passare del tempo.  Per me però non funziona allo stesso modo.  Il tempo che stratifica in realtà mi ha un po’ stancato.  La tentazione di abbandonare tutto quell’accumulo è sempre più forte e caparbiamente vado alla ricerca di un miele che sia il più limpido e scivoli sulla lingua na-tu-ral-men-te.

Oggi gli abiti che mi assomigliano quasi non esistono. Credo che nemmeno io saprei pensarli e cucirli. Allo stesso modo il profumo: lo cerco da sempre, ma mi sono arresa. Semplicemente non esiste.

E se esistessero, allora sarebbe un peccato trovarli già ora, alla mia tenera età. E’ un piacere ancora cercare e sperimentare i colori e i tessuti e le infinite combinazioni di questa cosa che si chiama moda.

Il galateo e il fashion addict.

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Brutto.

Le settimane della moda settembrine sono ormai dietro l’angolo e già comincia a mancarmi l’aria immaginando le brutture che riempiranno il web e non solo. No, non parlo in modo specifico degli abiti e degli accessori o dei direttori creativi e del giornalismo di moda. Parlo degli appassionati di moda.

Quest’anno, per favore, evitate di fotografare tutti gli inviti alle sfilate che riceverete per poi condividere la cosa con il resto dei comuni mortali. Innanzitutto perché (anche se non ci crederete mai) al resto del pianeta poco ne cale, ma soprattutto perché la notizia potrà farvi brillare per qualche ora al massimo, poi cadrà nel dimenticatoio come la miriade di altre inutili notizie. Vale davvero la pena dimostrare una caduta di stile così evidente per una briciola di pseudo-notorietà?

Stessa cosa vale per quei filmati che durano appena qualche secondo (di solito la fine delle sfilate), che servono giusto a dimostrare: io c’ero e voi no!

Evitate anche di fotografare tutti gli aeroporti del mondo in cui vi capiterà di stazionare, dimostrando (wow!) che siete davvero parte del sistema, visto che vi tocca persino viaggiare per assistere a queste benedette sfilate.

Evitate di commentare la collezione della Miuccia con il solito trito e stantio frasario: A.M.O., adoro!. gorgeous! (ecc. ecc. ci siamo capiti). Per una volta cercate di mettere insieme un commento di almeno due parole. E magari cambiate anche argomento.

Evitate anche di fotografare l’ultimissima, sconosciuta it-girl appena uscita dalla sfilata (lei si che ha capito come ci si veste!). Tanto lo sappiamo tutti che nessuno di voi si vestirebbe mai così, perché sinceramente fa discretamente cagare.

Ai giornalisti. So che fa parte della prassi consolidata, ma potreste evitare di condividere quei pic (a quanto pare molto ambiti) in cui, all’uscita dell’ennesima sfilata, apparite al massimo della vostra forma e con l’ennesima mise da sfoggiare? Se davvero vi piace il genere, perché non vi proponete come indossatori? O fa troppo cafone?

Ma soprattutto chiederei ai direttori creativi di qualsivoglia marchio o marchietto di evitare proclami di ogni genere. Siamo stufi di sentirli descrivere la loro ultima fatica con spiegazioni altisonanti e sempre uguali. Siamo stufi di sentirli parlare di etica e democrazia e poi di sociologia e arte e chissà di cos’altro.. Si mettano bene in testa una volta per tutte che non salveranno il mondo. Perché quello che fanno (che facciamo), in definitiva, è un mucchio di vestiti inutili. A chi serve l’ennesimo vestito?

L’alta moda è arte?

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Bello.

Viktor & Rolf haute couture FW 2015/16, ovvero una ulteriore riflessione su moda e arte.

Quanto c’è di artistico in certi abiti e quanto conta la moda del momento per alcuni artisti? Ci sono artisti che vanno di moda? Ci sono stilisti che più di altri si fanno ispirare dall’arte? Ci sono stilisti che sfruttano l’arte o gli artisti per darsi un tono?

E poi, chi compra alta moda è lo stesso che colleziona arte?

Sembrerebbe di si, visto che uno degli abiti della collezione è stato prontamente acquistato da un collezionista per donarlo ad un museo di Rotterdam. Quindi sembrerebbe scontata almeno una risposta: se va in un museo, questa moda è arte.

Rimane però il dubbio se sia ancora moda…

Quanto pesano questi vestiti? Sono realmente pensati per vestire un corpo piuttosto che essere appesi ad una parete?

Personalmente ciò che mi intriga dell’alta moda è proprio questo non tener conto della realtà, dei limiti e della coerenza. Caratteristica che più di altre la accomuna all’arte. Rimango convinta che moda e arte percorrano strade diverse che si intersecano di sovente.

Ed è proprio a quegli incroci che si assiste a piccoli miracoli di bellezza.

P.s. Va da sé che io non ho verità in tasca, né risposte certe per tutte queste domande. Inoltre so bene che le domande non sono quasi mai sciocche, mentre lo sono a volte le risposte.

Land of nowhere.

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Bello.

Sono stata in luoghi in cui la luce era tutto. Sono poca cosa i vestiti senza la luce, perdono di consistenza, li si può solo immaginare.

D’estate basta poco: il bianco per esempio, oppure stampe sgargianti, una punta di eccesso. D’estate si possono tirar fuori diamanti e strass, tanto fa lo stesso. Basta che sia luce.

Qual era il colore di questa estate?  Non me ne preoccuperei, la luce li contiene tutti. La moda è fugace, ma mai quanto l’estate, di colpo è già ieri.

Mi fanno ridere le tristezze di post-estate, la tintarella trattenuta, le riunioni settembrine.  Il bello è che la luce cambia angolazione, ma non finisce.

A little piece of world.

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Bello.

A(D)DRESS, quartiere S.Salvario, Torino. Durante la notte delle arti contemporanee (09/11/13).

Una festa di vestiti, bambini e genti. Ogni vestito è una storia, storie legate tra loro che insieme formano un cordone lunghissimo e il cordone sfila per le strade, sostenuto dalle mani dei bambini.  Infine diventa una ghirlanda che addobba una piazza.

Sotto i lampioni, sotto la luna, vestiti come bandiere che si tengono per mano.