Inspiring Delpozo.

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(Vionnet?)

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(Dior?)

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(Capucci?)

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(Balenciaga?)

Bello?

Delpozo, pre-fall 2017.

Ispirazioni autorevoli; i fili della haute couture storica sono avvolgenti, confortevoli e talvolta necessari, direi naturali.

Se poi si considera che il corso delle tendenze considerate di avanguardia si rivolge verso la valorizzazione del brutto, allora possiamo ben dire che qui si fa addirittura una contro-contro-tendenza. O piuttosto si tratta di vincere facilmente?

Bel dilemma. La ragione ci suggerirebbe di non lasciarci incantare da tutta questa poesia fin troppo esplicita, mentre l’istinto andrebbe a braccetto immediatamente con questa estetica senza se e senza ma.

Il guaio è che non siamo mai contenti.

Hommage à Madame Grès.

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Rochas ss17

Bello.

Di lei, Chanel diceva che era solo capace di appendere un po’ di stoffa ad un corsetto (l’invidia è una brutta bestia).

La couturier dai tanti nomi: Germaine Emilie Krebs,  Alix Barton,  oppure semplicemente Alix –  era una donna enigmatica.  E’ passata alla storia comunque con un altro nome: Madame Grès.

Di lei ho già scritto qui.  Ora, a dispetto di quanto detto da Chanel, mi piace sottolineare quanto la sua moda sia un esempio di effettiva  modernità.  Innegabile.  Se non si fosse capito, per me lei ha un posto speciale sull’Olimpo delle madri e dei padri della moda.

La differenza.

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Madeleine Vionnet

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Valentino

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Cristobal Balenciaga

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Cristobal Balenciaga

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Madeleine Vionnet

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Jacques Fath

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Charles James

Bello.

Quando si dice che la differenza sta nei dettagli, si dà per scontato che chiunque sia capace di notarli. Si dicono cose, a volte, che in realtà non stanno né in cielo e né in terra, perché i dettagli sono di per sé sfuggenti. Amano farsi beffa degli occhi poco allenati o frettolosi.

I dettagli  (quei particolari in sordina che eppure reggono l’intera opera sulle loro fragili spalle), richiedono dedizione e premiano solo chi ha la pazienza di affrontare la lenta contemplazione.  D’altra parte sono il frutto di menti e mani che di lentezza hanno fatto un mantra.

Chi avrà la pazienza di aspettare in premio la loro stupefatta scoperta?

Avanguardia non è solo una parola.

A model presents a creation from the Prada Autumn/Winter 2016 woman collection during Milan Fashion Week

Brutto.

Prada, come già altri, si accoda alla nuova onda dei prontisti e annuncia che la sua collezione di borse sarà in vendita subito dopo la sfilata.  Ma dirlo così, semplicemente,  non sembra fare il giusto effetto.

Allora la macchina da guerra della comunicazione più all’avanguardia si mette all’opera per coniare questa perla di slogan: See Now Buy Now.

Altri tempi quando Madeleine Vionnet (era il 1924!) con i suoi abiti in sbieco, perfetti per vestire più taglie, a parte l’orlo che veniva sistemato mentre la cliente sorseggiava un tè, creava la collezione Made While You Wait.

La collezione era per il mercato americano e lei fu tra le prime ad aprire una boutique a New York e certamente con quella collezione fu la prima a sperimentare qualcosa che molti anni dopo si sarebbe chiamato pret-à-porter. Quel titolo, quelle parole significavano una presa di posizione in fatto di innovazione, proposta, novità e conseguente rischio.  Oggi le parole nella moda mi sembrano svuotate di tutto questo, sono spesso utili per riempire vuoti di idee. Sono buone per spacciare per sostanza ciò che è solo apparenza.

Altri tempi quelli di Vionnet, ma soprattutto un altro uso del linguaggio, che seguiva i fatti, concreti, sostanziosi, e non viceversa.

 

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Women of chic are wearing now dresses they bought from me in 1939. Fit the century, forget the year.

Bello.

Il suo nome per intero era Valentina Nicholaevna Sanina Schlee, ma divenne famosa con il solo nome di Valentina. Era arrivata in America dalla lontana Ucraina con molti sogni, una classe innata e una sfolgorante bellezza e con questo bagaglio non indifferente fu capace di vestire grandi star del cinema. Prima fra tutte la Garbo.

Il suo era uno stile misurato, che lasciava però trasparire un lusso sicuro, dichiarato. Non per niente affermava (sfacciatamente): “No matter how broke you are, always travel first class -otherwise you’ll never meet the right kind of people-“

Si intuisce, attraverso i suoi abiti, l’influenza di couturier del calibro di Madeleine Vionnet e  Madame Grès , e come darle torto? D’altra parte scelse le migliori e anche coloro che, agli occhi delle ricchissime borghesi americane, rappresentavano classicità e avanguardia insieme.  Il lusso supremo.

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La boite à musique.

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Bello?

Questa tornata di sfilate dell’haute couture parigina sembra volgersi continuamente verso le due grandi couturier rientrate ufficialmente, dopo lungo oblio, nel novero delle importanti maison. Se da Margiela aleggiava lo spirito di Schiaparelli, da Viktor & Rolf non si fa fatica a riconoscere un tributo (più o meno cosciente o voluto) a Vionnet.  Le danzatrici professioniste dell’Het National Ballet di Amsterdam portano in scena le ballerine statiche dei carillon, che ricordano solo vagamente  quella Isadora Duncan scarmigliata e lunare che rivoluzionava la danza, proprio nello scorcio di ‘900 in cui Madeleine Vionnet, la grande innovatrice della moda, metteva mano alla liberazione del tessuto utilizzandolo in sbieco.

Il duo di stilisti ci aveva abituati a sfilate decisamente più barocche. Qui la decorazione è addirittura solo disegnata, come superflua su un total-cipria. Giusto un ricordo.  Conta la luce, la posa assente, ma molto studiata.  Forse è un ripensamento su anni fin troppo carichi di lustrini e strati di tessuto.

Se così fosse non sarebbe un male. Quello che mi lascia qualche dubbio è l’accostamento a Vanessa Beecroft, che qualcuno ha azzardato.  Un’artista fin troppo in odore di moda..

E poi quel quadro finale, con lo sfondo del cartellone pubblicitario dell’ultimo profumo. Mon Dieu! Dopo tanta sofferta raffinatezza, che caduta di stile.

Vionnet o della semplicità.

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Bello.

Questo è uno dei primi modelli in sbieco realizzati da Madeleine Vionnet risalente agli anni ’20.

Il sogno della couturier era un abito con una sola cucitura e con questo abito ci andò abbastanza vicina (4 cuciture: centro davanti, centro dietro e fianchi).   Hussein Chalayan deve aver tenuto presente la semplicità quasi elementare di questo modello per le prime uscite del defilè in cui esordisce alla direzione artistica per l’alta moda di Vionnet.  Semplicità non vuol dire necessariamente poca sostanza, a volte occorre una certa dose di coraggio per non farsi abbagliare dalla smania di aggiungere.

Madeleine Vionnet era regina indiscussa della tecnica sartoriale, una delle ultime vere inventrici in fatto di forma e lavorazione sartoriale. Talmente colta da essere in grado di applicare la matematica alla sartoria: sezione aurea, spirale logaritmica.  Per questi ed altri motivi ho trovato molto appropriata la scelta di Chalayan alla guida di questa storica maison. Lui che ha sperimentato forme in movimento, abiti trasformisti e materiali del futuro.

Ecco alcuni outfit della collezione:

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Semplicità, dicevo; a qualcuno potrà apparire una moda spoglia, vista anche la scelta dei colori. Credo che questi abiti abbiano bisogno di una visione in movimento, solo così ottengono il risultato che immagino di intuire: confondersi con il corpo, diventare un tutt’uno con il corpo. Anche in questo caso mi torna in mente un’altra immagine del passato: quella di Isadora Duncan che danza seminuda, non a caso una delle grandi estimatrici e clienti di Madeleine Vionnet.

Penso che Chalayan abbia lavorato molto sotto un profilo prettamente culturale piuttosto che formale. Il risultato non è immediatamente percepibile, e anche in questo si avvicina molto alla fondatrice del marchio, i cui abiti spesso erano difficili da capire a una prima occhiata. Bisognava indossarli per rendersi conto di quanto in realtà fosse complesso e innovativo il lavoro sotterraneo da cui nascevano.

L’alta moda è frutto di ingegno e dettagli che si proiettano all’infinito verso la perfezione, solo così ha senso. Sono convinta che osservare un abito da vicino sia quasi l’unico modo per coglierne il vero valore: ci sono lavorazioni che richiedono competenze o un occhio allenato. Il lusso contemporaneo è in questo senso molto diverso dal passato, dove spiccavano i metraggi di tessuto e la vastità dei ricami.

Il vero lusso di questa alta moda è un vero ossimoro: la semplicità delle cose complesse.

Ho visto cose..

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Bello?

Ogni volta che mi allontano dalla moda e dai modanti è la stessa cosa: faccio un’immane fatica a riavvicinarmi. L’ipotesi è che questo non sia il mio posto, non fino in fondo. Mi chiedo come facciano quelli sempre connessi, a cui non sfugge alcuna notizia o notiziola. Come facciano a non sentirsi stufi, almeno ogni tanto.

Certo i fatti si susseguono incalzanti, non si può mancare nel commentarli: Chalayan da Vionnet, i saldi di fine stagione (ma se l’inverno è appena cominciato??), le file idiote davanti a Desigual..

Ma basterebbe anche solo un momento di riflessione per comprendere che: della storia di Madeleine Vionnet pochi sanno davvero qualcosa -e ne ho avuto conferma molte volte-, i saldi sono l’ennesima pessima idea a cui non c’è più nulla da aggiungere. Infine la fila di ragazzi seminudi al freddo a fare pubblicità gratuita ad un marchio dozzinale meriterebbero solo il silenzio, proprio per evitare di partecipare al gioco.

Dare il giusto valore alle cose, ecco quale sarebbe la banale risposta. Le cose che stanno perennemente un gradino più in basso delle esperienze. Ma quante volte, nelle descrizioni dei fatti, ho la sensazione di ascoltare una lista di oggetti che da soli dovrebbero descrivere gli stati d’animo, gli avvenimenti, l’atmosfera..?  Da quando gli oggetti ci qualificano così profondamente?

Non è così.

Gli oggetti, il più delle volte, ci sopravviveranno, ma porteranno appiccicato solo un barlume di noi.  Penso agli oggetti della mia famiglia, appartenuti a persone ormai defunte, mi raccontano così poco. Inventiamo tutti un pezzo di storia attraverso gli oggetti, ci illudiamo che sia realtà.  Gli abiti non sono diversi.

La moda ha nel suo nome stesso il parallelo con modernità.  Io voglio intenderlo come propensione al presente e attitudine al futuro. Vivi l’attimo, si dice, gli oggetti sono un mezzo, ma l’esperienza intima di quell’attimo è il fine. Credo fermamente che la moda non siano gli abiti e nemmeno i loro creatori (perlomeno solo in parte), ma il contesto in cui viviamo.  Solo così la moda non mi risulta estranea e infine posso credere che incida anche nella vita.