La buona moda. La vita buona.

vestiti nel vento

Bello.

E’ trascorso molto tempo dall’ultima volta che ho scritto su queste pagine virtuali.

Molto tempo e molta vita: dolori (tanti purtroppo), viaggi, qualche momento memorabile, incontri, disillusioni e tanto altro ancora.

Il tempo non ha cambiato il nocciolo di quella che sono, la scorza solo si è un po’ inspessita. E la moda? Che fine ha fatto tutta questa storia di abiti e stili e notizie?

Diciamolo che la vita è stata molto più interessante di qualsiasi abito spettacolare sia mai stato pensato e realizzato. Infinitamente più imprevedibile e coinvolgente. Giusto per mettere in chiaro le priorità.

Ho continuato ciononostante a immaginare e cucire vestiti; ho continuato a trasmettere le mie conoscenze ai ragazzi (e questo si, mi ha dato grande soddisfazione!). Ho continuato, insomma, a scrivere la mia piccola storia in fatto di moda, consapevole ancora di più di quanto sia piccola e relativa.

Questo pezzo di strada percorso mi ha permesso di realizzare che non è più tempo di essere contro.  O meglio, è necessario, pur essendo contro, fare grandissima attenzione ai termini, al linguaggio, alla sostanza.

Non si possono alzare muri, non si può scendere a compromessi con la presunzione e l’arroganza. Anche nella moda, come in tutto.

Oggi la più grande trasgressione è la buona educazione, che è compagna dell’onestà e dell’empatia e poi di un’altra di quelle parole antiche: la compassione.

Questa, davvero, sarebbe la più grande rivoluzione, che temo di non riuscire a vedere se non nei miei sogni.

Per Natalie.

Nat

Bello.

Aveva quel sorriso sghembo Natalie, frutto di una bellezza inconsapevole. Si portava dietro una strana e dolcissima tristezza che era probabilmente il frutto di qualche segreto dolore.

Era gentile, sempre, e questa è una virtù a cui non si dà mai la dovuta importanza. Era alta, sottile, sembrava attraversare la vita con noncuranza. Sono sicura che invece ogni cosa le arrivava dritta addosso.

E’ stata una delle mie prime modelle e non credo di averla ringraziata mai abbastanza per il tempo che mi ha regalato, quel tempo in cui tutti eravamo giovani e, per l’appunto, pieni di tempo.

Ora il tempo per Natalie non scorre più, perchè Natalie se n’è andata.

Ho un ricordo vivissimo di quei giorni in cui facevo i miei primi esperimenti di moda, sbagliando per troppo entusiasmo, seguendo solo l’istinto. Lei fa parte di quei ricordi, di quei primi vestiti e di quel tempo in cui non c’erano mezze misure. Ci si muoveva nella vita con un andazzo naif e tanta buona volontà: non c’erano ancora i cellulari e i social e i rapporti non passavano attraverso filtri.

Ci si incontrava per fare cose, sviluppare progetti; si passavano serate a discutere e i miei vestiti allora, quasi sempre, nascevano da quel processo. Tra le facce di quel tempo compare lei: i suoi capelli arruffati e lo sguardo divertito.

Le devo almeno questo, un ricordo e un grazie tardivo.

 

p.s. Le foto sono di Maren Ollmann.

Il mio vestito a fiori.

dark paradise

Bello?

Bisognerebbe ogni tanto passare una notte in un ospedale. Non da pazienti (possibilmente), ma da spettatori. Magari in un pronto soccorso, magari in una stanza di terapia intensiva, con tutta l’umanità dolente o sollecita che la contiene, guardando negli occhi l’essenza di questa cosa fragilissima che chiamiamo vita.

Bisognerebbe aver assistito all’arrivo di un ragazzo in fin di vita dopo un incidente e alle urla incredule di sua madre. Oppure all’impotenza di un medico e alla sua corsa per difenderla questa vita, nonostante tutto.

Perchè lo sappiamo che in un secondo la vita può cambiare, ma finiamo per non ricordarcelo quasi mai.

Bisognerebbe ogni tanto rimettersi al centro, resettare tutta quella confusione che, erroneamente, noi invece chiamiamo  vita. Ricordandoci che l’abito che indossiamo veramente è solo la nostra pelle.

Come scriveva Paul Valery:

Quello che c’è di più profondo nell’essere umano è la pelle.”

Ricordo che indossavo un vestito a fiori la scorsa notte, mentre passavano lente le ore in quel luogo fin troppo colmo di umanità. All’inizio ho pensato che forse fosse un po’ fuori luogo (d’altra parte ero stata colta alla sprovvista), Poi ho capito che non contava nulla, nessuno ci avrebbe fatto caso, perchè, citando la frase di qualcun’altro, l’essenziale è invisibile agli occhi.

 

(Illustrazione di Victoria Brockland, Dark paradise).

L’ultima neve dell’anno.

gold-finger

Brutto?

Lascio questo vecchio anno bisestile con sollievo: si è rivelato fedele alla sua triste nomea.

Molte delusioni, inquietanti geografie di un mondo sempre più in lotta. Incontri fuggevoli, troppo. Qualche illusione in meno, il desiderio impellente di ritrarsi, diradare le comparsate.  Essere againstfashion, ma esserlo davvero, diventa sempre più un esercizio solitario -spargere al vento semi che con molta probabilità finiranno nel deserto-.

Diventa radicale e persino incomprensibile ai molti quello che in principio credevo fosse solo un gesto di disappunto. La moda, per come la immagino, dovrebbe dare allegria e consapevolezza. Oggi mi restituisce sempre più disagio: sembra andare dove io non voglio nè posso transitare. E’ un luogo popolato quasi solo di lupi che nascondono i denti, lanciati in una corsa verso il nulla.

Per questo inforco i miei occhiali da sole nuovi, in un giorno di prima neve; metto su il mio rossetto più rosso e l’unica faccia che possiedo e provo a fare un sorriso tirato.

Perchè restare si può. Nonostante le intemperie e i sassi nelle scarpe, nonostante gli incontri sbagliati e le scelte non azzeccate. Si può far tesoro della vita vissuta e augurarsi caparbiamente un anno migliore. Alla faccia del tempo e di tutto il ciarpame che ci ostacola il passo.

Buon nuovo anno a noi tutti.

Ho visto cose..

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Bello?

Ogni volta che mi allontano dalla moda e dai modanti è la stessa cosa: faccio un’immane fatica a riavvicinarmi. L’ipotesi è che questo non sia il mio posto, non fino in fondo. Mi chiedo come facciano quelli sempre connessi, a cui non sfugge alcuna notizia o notiziola. Come facciano a non sentirsi stufi, almeno ogni tanto.

Certo i fatti si susseguono incalzanti, non si può mancare nel commentarli: Chalayan da Vionnet, i saldi di fine stagione (ma se l’inverno è appena cominciato??), le file idiote davanti a Desigual..

Ma basterebbe anche solo un momento di riflessione per comprendere che: della storia di Madeleine Vionnet pochi sanno davvero qualcosa -e ne ho avuto conferma molte volte-, i saldi sono l’ennesima pessima idea a cui non c’è più nulla da aggiungere. Infine la fila di ragazzi seminudi al freddo a fare pubblicità gratuita ad un marchio dozzinale meriterebbero solo il silenzio, proprio per evitare di partecipare al gioco.

Dare il giusto valore alle cose, ecco quale sarebbe la banale risposta. Le cose che stanno perennemente un gradino più in basso delle esperienze. Ma quante volte, nelle descrizioni dei fatti, ho la sensazione di ascoltare una lista di oggetti che da soli dovrebbero descrivere gli stati d’animo, gli avvenimenti, l’atmosfera..?  Da quando gli oggetti ci qualificano così profondamente?

Non è così.

Gli oggetti, il più delle volte, ci sopravviveranno, ma porteranno appiccicato solo un barlume di noi.  Penso agli oggetti della mia famiglia, appartenuti a persone ormai defunte, mi raccontano così poco. Inventiamo tutti un pezzo di storia attraverso gli oggetti, ci illudiamo che sia realtà.  Gli abiti non sono diversi.

La moda ha nel suo nome stesso il parallelo con modernità.  Io voglio intenderlo come propensione al presente e attitudine al futuro. Vivi l’attimo, si dice, gli oggetti sono un mezzo, ma l’esperienza intima di quell’attimo è il fine. Credo fermamente che la moda non siano gli abiti e nemmeno i loro creatori (perlomeno solo in parte), ma il contesto in cui viviamo.  Solo così la moda non mi risulta estranea e infine posso credere che incida anche nella vita.