Brutto.
I condizionamenti sulle bambine in tema di abbigliamento sottendono a significati che vanno ben oltre la moda e che raramente le stesse mamme si soffermano ad analizzare. Il pensiero comune le vuole iper-femminili, seduttive e persino compiacenti, mentre quando non si adeguano vengono definite maschiacci.
E’ triste constatare che nella sfera dell’infanzia l’emancipazione femminile sembri rimasta ferma agli anni ’60, o giù di lì. L’eroina delle bambine degli anni ’70 era Pippi Calzelunghe, l’eroina di queste bimbe è Violetta (nomen omen).
Nessuno si stupisce se le piccole si esibiscono in balletti da veline o mosse prese dall’ultimo video hard della pop star in voga. Come se quel linguaggio corporeo fosse in fondo una palestra per esercitarsi al tipo di femminilità prevista e prevedibile. Gli abiti, poi, arrivano di conseguenza: paillettes, micro-top e accessori che sono la replica in piccolo di quelli delle loro mamme. Piccole cose che pesano come macigni sulle spalle di queste bambine.
Le loro mamme le chiamano tutte principesse, pensando forse di distinguersi; le vestono obbligatoriamente di rosa/fucsia/violetto. Allestiscono per loro camerette che traboccano di questi colorini melensi tanto da farne indigestione, e poi le bimbe arrivano nei miei laboratori con un cliché ben stampato in testa. A questo punto il lavoro di sottrazione per restituire loro libertà di espressione diventa davvero difficile..
E poi tutte in piazza per i diritti delle donne…
Sigh! E’ vero..