Il cinismo è la nostra malattia.

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Brutto.

Quello di giornalisti e commentatori che si permettono di criticare il sistema solo quando il vaso di Pandora è stato oramai scoperchiato. Quello degli ex-qualcosa-nella-moda che sparano a zero con quella punta di stizza (e perfidia) tipica di chi si è sentito espulso.

Il cinismo di esperti di tendenze e gossip, che usano come metro di giudizio i fatturati di questo o quell’altro marchio, come se la bellezza si potesse misurare in soldoni.

E poi il nostro cinismo, noi che non ci stupiamo affatto: è il business baby, e il business, si sa, non deve chiedere permesso.

Ma gli effetti collaterali? Eccoli lì, quelli considerati inevitabili cambiamenti, evoluzioni del sistema, piccole rivoluzioni(?)

Io dico che finalmente c’è qualcuno che dice di NO: Frida Giannini da Gucci (resto convinta che sia lei ad aver lasciato), Raf Simons da Dior, Alber Elbaz da Lanvin.  Lasciare può essere la soluzione migliore.

Ciononostante ancora tutti a dire che è semplicemente il nuovo che avanza; qualcuno sembra addirittura divertirsi un mondo giocando al toto-designer. Poveracci.

Ma credo che il peggio non sia ancora arrivato. Perdiamo i maestri e persino i volenterosi e schivi allievi e guadagniamo gli aggiustatori di tessuti, i paladini del revival, le inossidabili facce da cool. Quelli convinti che stile e styling siano la stessa cosa.

Lo so, oggi vanno per la maggiore, osannati da stampa e social. sono i Grandi Cinici.

Il guaio è che forse hanno persino ragione loro, perché il cuore del sistema somiglia sempre più a un buco nero.

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